Marco Damilano, MELONI PREMIER CHIUDE IL TRENTENNIO
SENZA POLITICA ,
Domani, 24 ottobre 2022
Negli ultimi anni l'Italia ha oscillato tra il commissariamento tecnocratico e il populismo, due esperienze che hanno fallito nel tentativo di restituire all'Italia un sistema politico stabile e coerente.
La prima parte dell'ultima legislatura, il governo Cinque stelle-Lega presieduto da Giuseppe Conte, ha rappresentato il punto più alto dell'antipolitica e l'inizio della sua fine. Oggi il movimento 5 stelle, guidato da Conte, è l'opposto del soggetto virtuale delle origini, rappresenta gli interesssi più corposi e materiali dell'elettorato: il sud del reddito di cittadinanza, il ceto medio impaurito dall'impoverimento. Si propone come un sindacato dei cittadini, in difesa dei diritti acquisiti.
La seconda parte è stata caratterizzata dall'unità nazionale di Mario Draghi. Ma ancora una volta la tregua offerta dal governo presieduto dall' ex banchiere centrale non è servita al sistema dei partiti per ricostruire la loro tavola dei valori e la loro presenza nella società. Eppure, trent'anni dopo il 1992, questo serve, partiti in grado di offrire una nuova mediazione, sulla base di valori e interessi. La pandemia, la guerra in Ucraina, l'emergenza energia, la recessione in arrivo, ripropongono l'esigenza per la politica di avere un corpo, cioè l'ossatura fisica di una nuova rappresentanza. La destra, da sempre, conosce bene il proprio elettorato e sa come rappresentarlo e tutelarlo. Il Pd, in crisi di identità, ha una composizione sociale in via di erosione, che è la base del suo declino elettorale.
Giorgia Meloni è in questo punto di incrocio. Incarna una identità politica e culturale di sicura matrice nazional-reazionaria. È una professionista della politica, e della politica di partito, non ha fatto altro nella vita. In più è romana, profondamente romana, da sempre a contatto quotidiano con ik palazzi della politica. La sua non è dunque la vittoria dell'antipolitica modello Movimento 5 stelle.
Le biografie dei nuovi ministri stanno lì a dimostrarlo: in molti di loro hanno percorso tutte le stagioni, dal 1992-1993 in poi, sono in gran parte leghisti, berlusconiani, post fascisti ormai invecchiati. Per questo non ha ragion d'essere il senso di esclusione storico del post-fascismo italiano che Meloni porta con sé, la carica di rivincita, di riscossa e di vittimismo (nella narrazione meloniana il mondo è popolato dalla sinistra che vuole cancellare le radici, le tradizioni) che arriva arriva nonostanta tanti anni di sdoganamento e di partecipazione alla distribuzione delle poltrone di governo e di sottogoverno.
Più che nel 1922, esercizio sterile, tra le cause che hanno portato la sinistra alla sconfitta, le sue radici vanno cercate nel 1992, quando è cominciata la storia dell'ultimo trentennio, in cui si è svolta tutta l'attività politica di Giorgia Meloni, che coincide con la sua vita.
la sua sfida, per chiudere davvero il cerchio, è costruire un partito nazionale che non sia alimentato da una piccola asfittica comunità di iniziati uniti dal culto del capo, declinato al femminile, vistosamente eccitati per il successo (che non appartiene a loro) e gelosi della loro antica amicizia con la premier, pronti a farle un cordone sanitario attorno contro chi prova a salire sul carro senza militanza pregressa. Una sfida che si gioca nel governo, dalla poltrona centrale della sala del Consiglio dei ministri di Palazzo Chigi dove Meloni si è seduta ieri mattina, dopo aver congedato Draghi.
Il centrodestra torna nei ministeri senza un radicale progetto di cambiamento, dalle prime battute il governo sembra destinato all'ordinaria amministrazione, a<lla gestione dell'esistente, ovvero del potere, vuole distribuire più che governare, lo stesso virus che ha soffocato il Pd. Per chi vuole costruire un'alternativa, per la sistra, la missione è inversa: non si va al governo senza una battaglia culturale e un corpo a corpo nella società. Lasciare alle spalle il trentennio senza politica. Chiudere il cerchio.
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