19 ottobre 2022

FORTINI E PASOLINI 2

 


In questi giorni è stata pubblicata dall’editore Quodlibet una nuova edizione di Attraverso Pasolini, l’ultimo libro pubblicato in vita da Franco Fortini nel 1993. L’edizione è a cura di Bernardo De Luca e Vittorio Celotto. Pubblichiamo un estratto della postfazione di Bernardo De Luca.


ATTRAVERSO FORTINI E PASOLINI

di Bernardo De Luca

Per comprendere Attraverso Pasolini è necessario anzitutto collocarlo nella complessiva produzione in prosa di Fortini, e in particolare disvelare le relazioni che intrattiene con la scrittura saggistica. Questo non solo perché si tratta dell’ultima testimonianza organizzata in una forma-libro (la pubblicazione cade nel 1993, pochi mesi prima della morte di Fortini), ma anche perché l’operazione si connota come riorganizzazione e rilettura di materiali diversi: non semplice raccolta, ma saggio di saggi, ermeneutica di testimonianze in cui è coinvolto l’autore stesso.

Da chi si presentava «persuaso della natura cerimoniale dello scrivere» e «rispettoso di ogni possibile istituzione retorica»[1], ci aspetteremmo una rigida perimetrazione dei generi letterari, inclusi forme e modi della saggistica. A differenza dell’immagine cristallizzata, invece, Fortini è stato anche uno sperimentatore, a patto che in questo termine non vi si legga quel «pregiudizio della modernità»[2], secondo il quale è da privilegiare l’innovazione alla conferma. L’ossequio alla tradizione non era genuflessione e immobilità, ma una complessiva redenzione del passato, che implicava la trasformazione. Anche il perlopiù misinterpretato Diario linguistico, epigramma indirizzato proprio a Pasolini, prevede una forma di taciuta redenzione linguistica: «Più morta di un inno sacro / la sublime lingua borghese è la mia lingua».

 

Nell’ambito della saggistica, una forma di sperimentazione si situa a livello macrotestuale, nelle forme del montaggio. Sin da Dieci inverni, «discorso indiretto» e «discorso diretto», critica letteraria e riflessione politica, trovano modi di interazione, illuminandosi a vicenda, grazie alla partizione in sezioni entro un unico contenitore, il libro.  Una caratteristica, questa, notata già a suo tempo da Mengaldo[3] e che forma una prima famiglia di capolavori della saggistica come Verifica dei poteri Questioni di frontiera. Una seconda famiglia, invece, è formata da libri in cui è più difficile segmentare i generi e nei quali Fortini tende a mescidare tipologie di scrittura, sia attraverso la successione dei testi, sia all’interno di un singolo testo. Si tratta, appunto, di libri difficilmente etichettabili in maniera univoca: su tutti, L’ospite ingrato, a cui vanno aggiunti quantomeno I cani del SinaiUn giorno o l’altro Attraverso Pasolini.

 

A monte della contaminazione, in questa seconda famiglia sembra esserci una vitale contraddizione: dove il dettato si fa più individuale, se non addirittura personale, cresce l’esigenza di leggere in esso non «la coerenza d’una persona, che non conta niente» ma invece «le contraddizioni d’una età», come recita la chiusura dell’Avviso del primo Ospite ingrato[4]. Non a caso, i libri citati racchiudono testi che fanno riferimento a grandi campate temporali, che possono raggiungere l’arco di molti decenni. Anche I cani del Sinai, circoscritto ad un evento puntuale (la Guerra dei sei giorni tra Israele ed Egitto, Siria, Giordania), rimonta agli anni dell’infanzia e della Seconda guerra mondiale per affrontare la non pacificata relazione con le proprie origini ebraiche.

Mémoire, scrittura in versi, epigrammi, note di diario, saggi, lettere: difficile sarebbe censire le tipologie testuali che troviamo in questi libri. Più in generale, la nota dominante sembra essere l’indistinzione tra privato e pubblico, tra ciò che viene cristallizzato in una forma (e in quanto tale, indirizzato a precisi destinatari, magari futuri) e ciò che invece resta come traccia, che è non-formato o, al più, legato all’immediatezza del momento di scrittura.

 

Da questo punto di vista, il progetto più ambizioso è sicuramente l’incompiuto Un giorno o l’altro: un monstrum che ha l’obiettivo di testimoniare, fortinianamente, una vita e i destini generali che l’accolgono, in una dialettica feroce tra decisioni, scelte, posizionamenti dell’individuo e gli eventi e le forze storiche sovrapersonali che lo determinano. Il modello più vicino è il Diario in pubblico di Vittorini, ma con una decisa accentuazione del versante privato, dalle note personali alle lettere.[5] Ma soprattutto vi è quella disponibilità dell’io autobiografico a una «reinterpretazione senza requie, tendenzialmente infinita, qui e ora, del passato; un’indagine scortata dalla ragione giudicante in funzione del presente, o meglio del futuro in itinere».[6] Anche qui, il passato viene riproposto e indagato nei suoi frammenti affinché questi ultimi brillino e non restino rovina inerte, reperti silenziosi nei musei delle bibliografie.

 

2.

 

Attraverso Pasolini può essere considerato una costola dello stesso Un giorno o l’altro; in una lettera ad Ernesto Franco, infatti, Fortini parla del libro come «un campione o un frammento» del «magnum opus».[7] La selezione tematica, però, si restringe e circoscrive al rapporto tra Fortini stesso e Pasolini, irraggiandosi sul contesto storico e culturale dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. L’arco temporale, che in Un giorno o l’altro si estendeva dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta, si riduce, ma copre comunque un trentennio; se consideriamo anche gli interventi fortiniani degli anni successivi alla morte di Pasolini, collocati nell’ultima sezione, arriviamo alle soglie di pubblicazione del libro (1992).

 

L’opera è suddivisa in tre sezioni: Verità e poesiaUno scambio di lettere [1954-1966]«La santità del nulla». La partizione mima un canzoniere: alle due sezioni di saggi e versi in vita (I) e in morte (III) fa da cerniera l’intenso scambio di lettere intrattenuto per poco più di un decennio (II). Un’introduzione apre il libro, che al modo di Fortini descrive col senno di poi le testimonianze raccolte, dando per altro non poche indicazioni sulle modalità di lettura, con una postura, potremmo dire, da autore onnisciente, che guida il lettore in questa narrazione sui generis. Il deuteragonista è per lo più silenzioso: escluse le lettere, non vengono riproposti saggi o scritti di Pasolini, se non sotto forma di singole citazioni o brani isolati. L’ordine nella prima e nella terza sezione segue la cronologia degli scritti, mentre quella centrale assume la forma di un’analessi: le due ante di scrittura “pubblica” ruotano intorno all’asse della scrittura privata epistolare.

 

Dal punto di vista strutturale, notevole è il peso che hanno le parti di commento scritte per la pubblicazione del libro. La dialettica tra auto-commento e documenti, segnalata anche dalle differenti strategie grafiche, è diversa per le tre sezioni: in quelle “pubbliche” (la prima e la seconda), le giunture e i commenti sono in corpo minore, e tendono a fornire le sole coordinate contestuali, le occasioni di scrittura; nella sezione epistolare, invece, le lettere vengono riprodotte in corpo minore, mentre le note di commento si espandono, fino a rappresentare una vera e propria narrazione. Probabilmente, la scelta è dettata da due motivi. Il primo, le lettere richiedevano maggiori chiarimenti: allusioni, scrittura immediata, intensità degli scontri e delle polemiche, questi elementi sarebbero stati poco comprensibili senza una cornice narrativa e riflessiva ad accompagnarli. Il secondo, la sezione centrale contiene i momenti di maggiore intensità personale e storica che connota i rapporti tra Fortini e Pasolini. Se è vero che il carteggio si conclude nel ’66 e che altre fasi di tensione e rottura ci saranno fra i due, dal punto di vista dello scontro diretto l’inconciliabilità appare chiara e segna definitivamente il loro rapporto tra il 1956 e il 1959. Ciò, come vedremo, non preclude la stima reciproca e l’essere in qualche modo, l’uno per l’altro, destinatari ombra di molti dei loro scritti.  Non a caso, si registrano nelle note di accompagnamento alle lettere i maggiori interventi di auto-correzione delle proprie idee su Pasolini.

 

A discapito dell’affermazione di “arbitrarietà” che si legge nell’introduzione fortiniana, l’attenta architettura del libro, il commento alle lettere, la disposizione dei materiali, le stesse indicazioni suggerite nello scritto proemiale, fanno pensare che dietro la parabola di Šklovskij citata da Fortini («I nostri avi, gli Sciti, prendevano ogni loro deliberazione due volte, la prima da ubriachi e la seconda da sobri») vi fosse un solo attore: egli stesso. La sobrietà, tuttavia, non è nel ripetere sterilmente ciò che già fu detto, ma nel vedere le ragioni di una contraddizione. D’altro canto, le prime parole del libro sono: «aveva torto e non avevo ragione».

Dal punto di vista strutturale e formale, dunque, potremmo dire che Attraverso Pasolini si muove lungo due direttrici: l’una archeologica, l’altra ermeneutica. La selezione e il montaggio dei documenti, infatti, mira sia a restituire le testimonianze di una vicenda biografica, intellettuale e storica, sia a verificare la tenuta della “passione” e della “ideologia” – secondo l’interpretazione della diade pasoliniana che Fortini suggerisce nell’Introduzione – che animò entrambi. Cioè, da un lato, il progetto per sé e per gli altri che autonomamente elaboravano, dall’altro, «l’ordine intellettuale delle convinzioni e delle ragioni».

 

[…]

 

6.

 

Per Fortini, l’abitare costantemente la contraddizione permette a Pasolini di stare in un regime di doppia verità e identità. Anche in questo caso, l’analisi puntuale delle opere si propone come sineddoche dell’intero. In uno scambio di lettere del 1957, Fortini si sofferma sulla metrica delle Ceneri di Gramsci. Riconosce nella torsione dell’endecasillabo e della terzina una tensione irrisolta. In un saggio risalente a quel periodo (Verso libero e metrica nuova), Fortini avanzava l’ipotesi di una nuova forma di istituzione metrica, non più fondata sull’isosillabismo, ma su di una sorta di metrica accentuativa basata sulla ricorrenza di piedi metrici (sul modello della metrica di Pavese). A partire dall’idea adorniana che la forma sia contenuto sedimentato, l’ipotesi di Fortini riduce l’illusione ritmica a favore di un sistema di nuove convenzioni che diventa nuovo patto di forme comunitarie. Lo sperimentalismo metrico di Pasolini, all’altezza delle Ceneri, mostrerebbe la volontà di situarsi a metà tra il canto dei vecchi metri e la libertà di un ritmo aperto, senza ricorrere a nuove convenzioni. Alluderebbe alle vecchie forme, trasformandole, ma restando sostanzialmente nell’ambito di una ritmicità privata. Una doppia verità: quella antica comunitaria che si traduce però in una prassi individuale. La risposta di Pasolini è chiara: «se dovessi star a pensare a quello che dici tu, […] mi sentirei soffocare». Ma le soffocanti teorizzazioni di Fortini, si traducono poi in una lettura complessiva:

 

È presente, sempre, in Pasolini, un’autentica passione ragionativa; ma si tratta di una passionalità nutrita dalle apparenze della comunicazione razionale. Ne viene che egli si propone quasi sempre di sfuggire all’odioso e tradizionale statuto della poesia lirica (e della sua irresponsabilità) ma, nello stesso tempo, mantiene fermo il divario fra discorso poetico e non poetico. Non poche sue polemiche in versi, soprattutto nell’ultimo decennio, parevano affidare a un elemento simbolico (come l’allusione al ‘verso’) una sorta di immunità dalla confutazione. La contestazione razionale non le sfiorava; se le tentavi, fuggivano nell’extraterritorialità lirica.[8]

 

Un’immunità, anche in questo caso, garantita dalla doppia identità. L’apparenza ragionativa pasoliniana si trasforma, in definitiva, nell’esposizione di sé, nel “disperato teatro” del proprio io, come recita un epigramma fortiniano del 1963, poi inserito nell’Ospite ingrato. Anche nel momento di massima rottura, tra il ’68 e il ’71, viene ribadita, questa volta con accusa più diretta, la natura bifronte dell’identità dell’autore Pasolini: «Pasolini autore di alcune bellissime poesie e prose è la stessa persona di un notissimo protagonista di traffici letterari, politici e mondani; e, per poter ascoltare la sua predica, il suo invito ai valori, i giovani dovrebbero dimenticare quella identità».[9]

 

Anche negli scritti post-mortem, quando Fortini, conscio del mito Pasolini o delle critiche pretestuose, calibra i suoi interventi in base ai suoi interlocutori e alla volontà di costruire un discorso critico autentico, la natura della doppia identità dell’opera e della personalità pasoliniana resta un punto fermo. Ad esempio, il rifiuto della maturità, che investiva direttamente le sue opere e il suo gesto autoriale (commentando il carteggio, Fortini afferma «bisognerebbe chiedersi se Pasolini non sia stato, in questo, identico a tutta una categoria di intellettuali di formazione umanistico-borghese che egli detestava: ossia, nell’opera, spartito fra esasperazione formale e immediatezza tematica e, nella biografia, fra narcisismo radicale e autentica passione per il passato e l’avvenire storico-sociale. Con la conseguenza che l’opera ‘sta in piedi’ là dove le due componenti si esasperano al massimo, divaricate e quasi dissanguate; mentre la biografia corre al suicidio per mancanza di individuazione, di fissazione dell’eros in forme adulte ossia di amore»), il rifiuto della maturità, dicevamo, viene interpretato da Fortini come costruzione di alibi, dunque di diverse identità: «Ecco dunque, davanti a noi, un atteggiamento simbolico, a mezza via tra la ‘figura’ retorica e le tattiche del preconscio. Vorrei chiamarlo costituzione di alibi. […] Perché – pur parlandoci in un linguaggio determinato, pubblico e ricco di connotazioni storiche e letterarie – dichiara e ripete lungo tutta la propria opera di non voler uscire dal luogo dell’inespresso e dell’inesprimibile nell’atto medesimo del discorso»[10].

 

Due anni dopo la morte di Pasolini, Fortini partecipa a un volume collettivo dedicato alla persecuzione giudiziaria che riguardò l’intera esperienza umana e artistica pasoliniana. È uno degli scritti più intensi e incandescenti; come raramente accadeva nei suoi testi, entra nelle maglie della vita intima dell’autore. Fortini non si sofferma sui numerosi processi che Pasolini dovette affrontare, né sull’eventuale persecuzione che ne deriverebbe, ma rimonta più indietro, e si interroga sul problema della corruzione. Quando ci si può dire vittima di corruzione? Il seduttore quando si trasforma in un corruttore?

 

L’argomentazione prende soprattutto in considerazione la sfera erotico-amorosa. L’accusa di corruzione nell’ambito dell’opera viene immediatamente scartata, l’oscenità essendo mediata da canoni formali ben acclimatati e riconducibili a un “catalogo decadentistico”. Diverso il discorso nell’ambito biografico.  La corruzione è, secondo Fortini, il disfacimento per la vittima di un sistema di valori e norme a cui si appartiene. Ma l’atto in sé, in particolare quello erotico, in una relazione ineguale tra ragazzo e adulto, potrebbe essere una virtuosa trasformazione: da un sistema di valori preesistenti, appartenenti a una tribù, ad un altro sistema instaurato dall’atto stesso del seduttore. La divisione dell’individuo tra la norma precedente e una nuova norma può essere ricomposta solo se il corruttore stabilisce una relazione che salvaguardi l’ordine nuovo che egli ha mostrato. E, difatti, non sarebbe un corruttore in questo caso. Diventa tale nel momento in cui, dopo aver indicato un sistema alternativo, si sottrae alla relazione che comporta un “mutamento-crescita” del sedotto: l’abbandono («Solo l’abbandono ossia il non-amore, solo la riduzione alla solitudine – l’interruzione fra seduttore e sedotto –  è corruzione nel senso negativo della parola. Resta che non siamo giudici e non dobbiamo né possiamo pronunciare condanne e dunque nemmeno assoluzioni»). L’opera pasoliniana, quando diventa pedagogia generalizzata, sarebbe anche un rimedio – illusorio – all’abbandono dei sedotti. Ma non è questo che interessa qui. Al fondo, Fortini riconosce anche in questo caso la doppia identità pasoliniana, scaturita dal ruolo di vittima entro il contesto sociale che attraversa il Fascismo, la guerra e gli anni dal dopoguerra al boom economico: «Prima che “corruttore” egli era stato, come tanti di noi, un “corrotto” e una vittima. Era stato, a forza di storia, trascinato fuori di ogni norma e lasciato solo, con una doppia identità, nell’estetico porcile dell’Europa moderna».

 

 

[1] F. Fortini in AA.VV., Poesia italiana contemporanea 1909-1959, a cura di G. Spagnoletti, Guanda, Parma 1959, p. 820, brano poi inserito nella quarta di copertina di F. Fortini, Una volta per sempre. Poesie 1939-1973, Einaudi, Torino 1978.

[2] F. Fortini, I poeti del Novecento [1977], a cura di D. Santarone, con un saggio introduttivo di P.V. Mengaldo, Donzelli, Roma 2017, p. 6.

[3] P.V. Mengaldo, Franco Fortini, in Id., Profili critici del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pp. 59-64, ora in Id., I chiusi inchiostri. Scritti su Franco Fortini, Quodlibet, Macerata 2020, pp. 171-75.

[4] F. Fortini, L’ospite ingrato, in Id., Saggi ed epigrammi, a cura e con un saggio introduttivo di L. Lenzini e uno scritto di R. Rossanda, Mondadori, Milano 2003, p. 865.

[5] L. Leninzi, Fortini blog, in Id., Un’antica promessa. Studi su Fortini, Quodlibet, Macerata 2013, pp. 193-208, a p. 194.

[6] Ivi, 197.

[7] M. Marrucci, V. Tinacci, Governare il magma, ‘Un giorno o l’altro’ a dieci anni dall’edizione, in «L’Ulisse», 19, 2016, pp. 102-106.

[8] Il brano è tratto da Poeti italiani del Novecento, qui con il titolo Pasolini poeta.

[9] Faccio riferimento al testo del 1971 pubblicato su «Quaderni piacentini», in Attraverso Pasolini con il titolo Pasolini non è la poesia. Moralismo e moralità.

[10] Qui Il rifiuto della maturità. Sul tema si veda S. Caporale, «Ripeness is all». Fortini attraverso Pasolini, in «Filologia antica e moderna», xix 37, 2010, pp. 95-117.

Articolo ripreso da: http://www.leparoleelecose.it/?p=45314




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