Nota critica di Luca Alerci
La riedizione di un testo di Elio Vittorini è un evento importante, sempre. Bompiani ha in queste settimane ripubblicato Nome e lagrime, titolo misterioso e dalla storia abbastanza complicata. Nato come racconto sulla rivista Corrente di Vita giovanile a Milano, Vittorini però lo riutilizzerà già due anni dopo come premessa e primo titolo di un romanzo (Firenze, 1941) ma né il titolo né la premessa troveremo per la seconda edizione Mondadori dello stesso romanzo, opera che tutti conosciamo come Conversazione in Sicilia. Si dovrà aspettare il 1972, sei anni dopo la morte dell’autore, perché Mondadori riprenda questo titolo per pubblicare una raccolta di racconti e scritti diversi risalenti agli anni Trenta e Quaranta del Novecento. La stessa raccolta viene oggi appunto riproposta da Bompiani con la cura di Giuseppe Lupo, profondo esegeta di Vittorini.
Seppure molto (forse troppo) si sia scritto e detto su questo intellettuale, il suo è un universo letterario talmente originale, articolato ed enigmatico, che l’esplorazione non sembra possa avere confini. Del resto è questa la natura dei classici, arabe fenici sempre pronte a rinascere, ma è pur vero che per decenni Vittorini è sembrato forse un po’ datato, ingombrante, da incasellare tra i classici solo per dovere. Fortunatamente questo libro ci ricorda il ruolo che ha avuto nelle trasformazioni della cultura e della letteratura italiana.
I testi raccolti sono parte di quel laboratorio che è stata la produzione dell’autore siciliano lungo tutto il suo percorso: un banco di lavoro sparso di immagini, sondaggi, illuminazioni, ed errori. Ogni racconto è come la struttura sintetica dei romanzi della maturità e vi troviamo tutti i temi, i luoghi, talvolta i personaggi, lo stile dei suoi scritti maggiori, tutto però in forma nucleare.
Leggere questi lavori, se vogliamo, è come ascoltare le opere giovanili di Verdi: anch’esse sono simili a prime forme dei grandi lavori successivi, poi rimeditati: cos’è Il Trovatore se non un Ernani portato alla perfezione?
Ma cerchiamo di esplorare alcuni di questi testi, proprio alla ricerca degli indizi e delle anticipazioni di cui abbiamo detto.
Nel racconto del titolo, ad esempio, troviamo subito l’evidente legame con Conversazione in Sicilia, gli stessi dialoghi scarni, asciutti, che rimandano ai processi di costruzione del pensiero, fatti di riduzioni, di risposte che già ci sono ma di cui bisogna scoprire la necessità. Come detto, Vittorini utilizzò il racconto a premessa della prima edizione del suo capolavoro.
Continuando a sfogliare, troviamo un altro titolo emblematico, Le città del mondo, un altro titolo che subirà anch’esso diverse metamorfosi: oltre che per questo racconto sarà utilizzato per un progetto di esplorazione dei grandi centri urbani nell’ambito de Il Politecnico, e diventerà infine il titolo dello straordinario romanzo rapsodico, incompiuto, pubblicato postumo nel 1969. Il tema delle città è davvero cruciale in molti di questi testi, come sapientemente sottolineato dal curatore.
Non potevano poi mancare i racconti sul regime, sulla guerra, sulla resistenza: senza alibi, senza tentativi di revisione, Vittorini presenta il conto del fascismo, soprattutto a sé stesso. Come nel racconto Il mio ottobre fascista dove la fascinazione per Mussolini viene spiegata tramite la storia di un’improbabile e infatti fallita partecipazione di un ragazzino alla marcia su Roma; o come nel drammatico Milano come in Spagna Milano come in Cina.
Molto densi risultano poi altri racconti quali Quando cominciò l’inverno, dove risuona il suo lavoro di quegli anni sugli scrittori americani, Hemingway e Faulkner su tutti, il primo come fabbro di dialoghi, il secondo negli squarci di nuda umanità senza giustizia.
Mi piace concludere citando il gustoso Il signore che voleva assassinarlo, un testo che, per molti aspetti, anticipa le atmosfere e le suggestioni dei racconti di Buzzati.
Emerge da queste pagine, in fondo, il Vittorini che già conosciamo, rigoroso, duro, sfuggente. Ma è anche il Vittorini di cui parlava Consolo, un intellettuale travisato, puro, e perciò spesso strumentalizzato. Questa raccolta ci parla di un mondo disperso, in frantumi, alla ricerca di una voce univoca, di una guida quasi. Vittorini indaga questo sfacelo non nascondendo la propria incapacità, come fosse una volontà incompiuta. Eppure nel sogno progressista del Gran Lombardo di Conversazione in Sicilia già balena un orizzonte nuovo, civile, politico, letterario, pur nel pieno della tragedia bellica. Bisognava guardare lontano quindi, e per questo la sua ricerca doveva pur essa guardare lontano, in America ad esempio, ma bisognava guardare anche vicino, vicinissimo, negli spettri della notte europea di quegli anni terribili.
Pezzo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2023/08/25/vittorini/
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