QUEL CHE DOBBIAMO A MICHELA MURGIA
No, non mi era simpatica Michela Murgia con
quest’aria da “io so tutto”, con questa assoluta superiorità intellettuale. Ma
evidentemente bisognava conoscerla di persona, apprezzarne le doti in un
dialogo, in una conversazione. Non può che essere così, per chi è capace - come
lei - di accompagnarsi verso la morte, senza smettere di lavorare, di pensare,
di difendere i meno fortunati. Mi ricorda la morte di Mariangela Melato, che ha
continuato a recitare fino alla fine, a divertire il pubblico anche quando sapeva
che sarebbe potuta morire da un momento all’altro. Morte privata quella di
Mariangela, morte in pubblico quella di Michela. Ma tutte e due capaci di
offrire la propria intelligenza, i propri studi, la propria vita al nostro
Paese.
Michela Murgia era sarda, veniva da una realtà
forte, che ha amato, ma non se n’è lasciata condizionare. Di più ha amato il
mondo. I vari centri del sapere, la capacità direi giornalistica di capire
subito il valore di una notizia e svilupparla in un articolo, magari in un libro.
Il termine scrittrice le sta stretto: era una donna che formulava l’idea in
diversi linguaggi. Ed ha ampliato il linguaggio della morte, senza perdere il
sorriso, senza cambiare il suo carattere che poteva renderla antipatica.
L’Italia dovrebbe far tesoro di questa donna non comune, che ci ha
letteralmente scioccati con le sue molteplici attività ed è morta troppo
presto. Bisogna dire che l’inizio è deludente. Il ministro della cultura ha
commentato: ”Si è battuta per le sue idee con le parole e con la scrittura.”
Sintetico. Ma le sue idee, ministro, sono idee di un popolo che vuole più
diritti, più libertà, più giustizia, in un’Italia governata dall’indifferenza.
Attilio Gatto
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