30 agosto 2023

MARCO MARINO, Tra magia e realtà. Intorno ad un libro di GAIA GIOVAGNOLI

 


TRA MAGIA E REALTÀ. 

“CHIEDI SE VIVE O SE MUORE” DI GAIA GIOVAGNOLI

di Marco Marino

Del passato, presente e futuro. «Un sistema di oggetti eterni»: è stato definito così quello spazio che chiamiamo «letteratura», usando le parole del filosofo inglese Alfred North Whitehead. Proviamo a soffermarci su questa brillante combinazione di parole. La letteratura sarebbe, quindi, una sorta di sistema solare, in cui i corpi celesti rifulgono e si eclissano, senza sosta, «alla luce della verità». Dico «senza sosta» intendendo «eterno», ma in realtà l’eterno avrebbe una definizione più puntuale: l’eternità, infatti, è il presente che non si traduce in passato; un presente intrappolato nel presente. Un presente che, quindi, non può dirsi che è stato né tantomeno, allora, che sarà. L’eternità se non contempla il passato non comprende neanche il futuro. La letteratura si occuperebbe di questa trappola, in cui tutti i tempi del mondo sono il tempo presente, l’unico e solo tempo, quello che viviamo nel momento in cui ci apprestiamo alla sua lettura. In cui non esiste la storia o l’avvenire, ma solo l’oggetto. Gaia Giovagnoli, in Chiedi se vive o se muore (nottetempo, 16 euro) si confronta con questo sistema di oggetti eterni. E questi oggetti per lei sono i tarocchi.

Le carte. «È difficile dire che significato abbia – e lo stesso vale per ogni figura dei tarocchi. Ogni arcano, maggiore e minore, ha sì un significato generale, decontestualizzato dalla lettura; quando però lo si mette in relazione con gli altri, a seconda dei casi, ciò che vuole dire muta». (p.40). Le carte, e nella tradizione cartomantica e nelle pagine di Giovagnoli, si fanno metodo per la lettura magica della realtà, per approssimarsi a quell’esigenza di verità che profondamente ciascuno di noi serba. È importante sottolineare l’aggettivo magico: che non significa fatto di formule o di anatemi; ma che recupera un’attitudine al mondo che include l’invisibile, l’incomprensibile, quindi l’amore, il dolore, la gioia. Che sono invisibili, incomprensibili, eppure esistono e magicamente influenzano il nostro mondo. Affascinante – a questo proposito – è che lo strumento eterno di cui si avvale Giovagnoli per raccontare la sua storia, risenta delle fallibilità umane. «Il mazzo di tarocchi va gettato via appena iniziano a succedere cose brutte.» (p.47); «“Gettalo via il tuo mazzo, in caso. Lo devi buttare o regalare. Le carte dopo un po’ si ingelosiscono”. Provano invidia» (p.47). Di fronte a questi umori così riconoscibili, possiamo dire che noi siamo le carte, e le carte sono noi?

La cartomante. La cartomante di Giovagnoli si chiama India. India sta con Yari mentre il suo precedente compagno, Leo, ha cercato la morte lanciandosi da un balcone. In questo triangolo, India stende le sue carte. «Chi fa i tarocchi oggi non si mette a divinare, e considera le carte piuttosto come uno strumento utile a guardare dentro se stessi, in una specie di seduta psicologica con candele e incensi. Dicono servano a scavare, dunque, e non a predire il futuro. Ma non è lo stesso? Le carte vedono noi e gli altri, l’alto e il basso; non ti stendono su un lettino e non ti accompagnano solo nei traumi, a volte ti dicono che devi pagare una bolletta in tempo o fare attenzione alla macchina, perché te la potrebbero portare via con il carroattrezzi. Parlano di ieri e oggi e domani, perché sono la stessa cosa» (p.181). Ritorniamo al concetto di eternità. Stavolta, però, si apre un ulteriore aspetto da indagare, che Giovagnoli propone con acume. Se le carte sono i nostri oggetti eterni, quelli che ci permettono di leggere il futuro perché ci permettono di leggere dentro noi stessi, allora quell’eternità di cui tanto vegheggiamo in astratti discorsi metafisici altro non è che uno specchio: siamo noi di fronte a noi stessi, l’eternità a cui siamo destinati o condannati è il nostro riflesso.

Sì, ma, e sia. Quest’estate il mio cartomante di fiducia mi ha proposto una formula diversa dal solito, un tipo di lettura studiata a quanto pare nella scuola di Alejandro Jodorowsky. Avrei dovuto pensare una domanda la cui risposta doveva essere secca, un sì o un no. Davanti a me avrebbe estratto tre carte dal mazzo di tarocchi marsigliesi. La prima avrebbe raccontato il «sì». La seconda il «ma». La terza «e sia». Le prime due mi erano abbastanza chiare: la conferma del desiderio e il suo ostacolo. Ma cosa significava «e sia»? La sua risposta è stata: «E’ quello che accadrà dopo che  e ma vengono rivelati, ovvero dopo che sopraggiungerà ciò che avevi desiderato ma non avevi previsto e l’ostacolo che ti blocca dal raggiungere la risposta. E sia è la consapevolezza che arriva quando si accetta il proprio destino e la propria parte nell’ordine cosmico e nel verdetto dei tarocchi». Ecco, leggere Chiedi se vive o se muore ti offre l’opportunità di capire quell’«e sia»: accettare che la realtà è fatta di magia, dell’invisibile, dell’incomprensibile, dell’eterno attraverso cui osservare chi siamo stati, chi siamo, chi saremo. Accettare che ci sono forze che prescindono da noi, dalla nostra capacità (soprattutto, dalla nostra fragilità) di leggere il mondo e chi lo abita. Che si chiami destino o che si chiami vita. E sia.

 

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