23 agosto 2023

MARIO PINTACUDA RICORDA YANNIS RITSOS

 


DOPO LA SCONFITTA” (di Yannis Ritsos)
commentato da MARIO PINTACUDA

Nel 1967 il colpo di stato militare dei “colonnelli” instaurò in Grecia una spietata dittatura.
Yannis Ritsos, uno dei più grandi poeti greci del ‘900, a causa delle sue idee progressiste, fu deportato nell’isola di Leros e poi a Samo. Durante i primi mesi di prigionia compose trentadue poesie che furono poi riunite nella raccolta “Pietre”; altre trentadue costituirono invece la prima sezione del volume “Ripetizioni”.
Fra queste ultime, analizziamo qui “Dopo la sconfitta”.
La lirica insiste sul tragico “ripetersi”, nella storia ellenica, di momenti di prevaricazione e violenza. L’antica sconfitta ateniese ad Egospòtami nel 405 a.C. prefigura altre, terribili sconfitte, fra cui quella che il poeta avverte nel tragico presente vissuto dal suo Paese.
Conseguenza immediata è la perdita della libertà (“finite le libere / discussioni”, vv. 2-3), la fine di ogni splendore artistico e culturale (vv. 3-4).
Sono palpabili (v. 4), il “pesante silenzio nell’Agorà” e l’avvilente “mestizia” (del popolo oppresso), mentre domina “l’impunità dei Trenta Tiranni” (cioè il potere violento dei militari al potere).
Ogni decisione viene presa “in contumacia” (v. 5), in assenza degli interessati, che possono solo subìre i provvedimenti arbitrari imposti dall’alto.
Impossibile ogni “difesa o apologia” (v. 6), ogni “sia pur formale protesta” (v. 7).
I libri dei poeti vanno “al rogo” (v. 7), mentre “l’onore della patria” finisce (nonostante i roboanti proclami nazionalistici del regime) “nel pattume”.
Anche se fosse consentito ai condannati “chiamare a testimoniare un vecchio amico” (v. 9), questi si rifiuterebbe, per il concreto timore di subire la stessa sorte.
Il poeta allora, con amara ironia, osserva il terribile luogo in cui è imprigionato, esprimendo un sarcastico “hic manebimus otpime”: “stiamo bene qui” (v. 11); ipotizza, addirittura, un “nuovo contatto con la natura” (v. 11), osservando i pochi elementi paesaggistici (“un pezzo di mare, le pietre, le erbe, / o una nuvola al tramonto”, vv. 12-13), che si intravedono “dietro il filo spinato” (v. 12) del lager.
Unica speranza è l’arrivo di “un nuovo Cimone”, che ritrovi sottoterra “la punta di ferro” (v. 15) della lancia dei prigionieri, “arrugginita” (v. 16) ma ancora degna di essere trasportata “in processione funebre o trionfale” (v. 17) ad Atene.
E proprio l’alternativa fra morte e vittoria era l’unica ammissibile in un contesto “estremo” come quello vissuto dal poeta e dalla Grecia tutta in quegli anni così difficili.
La poesia è icastica, lapidaria, priva di ogni compiacimento artistico. Lo stesso Ritsos, che compose questi versi “usando le ginocchia per tavolo”, aveva orgogliosamente prevenuto ogni critica, precisando che quei versi erano stati scritti nei campi di concentramento: “Non ci sentiamo affatto / inferiori, non abbassiamo gli occhi. Nostre uniche pergamene / tre parole: Makrònissos, Ghiaros e Leros. E se maldestri / dovessero sembrarvi un giorno i nostri versi, ricordate solo che furono scritti / sotto il naso delle guardie, la baionetta puntata sempre alle costole” (trad. Crocetti).
E quella “baionetta puntata sempre alle costole” è anche metafora potente di tutte le prevaricazioni che nel corso dei secoli sono avvenute (e avvengono) ai danni della cultura, della libera espressione del pensiero, della dignità dell’essere umano.

Ecco il testo della poesia, nella traduzione italiana di Nicola Crocetti:

DOPO LA SCONFITTA
Dopo la disfatta degli ateniesi a Egospòtami, e un po’ più tardi
dopo la nostra ultima sconfitta, - finite le libere discussioni, finiti anche gli splendori di Pericle,
il fiorire delle Arti, i Ginnasi e i simposi dei sapienti. Ora
pesante silenzio nell’Agorà e mestizia, e l’impunità dei Trenta Tiranni.
Tutto (anche ciò ch’è più nostro) avviene in contumacia, senza la minima
possibilità di un ricorso, d’una difesa o apologia,
d’una sia pur formale protesta. Le nostre carte e i nostri libri al rogo;
l’onore della patria nel pattume. E se avvenisse mai che ci consentissero
di chiamare a testimoniare un vecchio amico, non accetterebbe per timore
di patire anche lui la nostra sorte - e a ragione, il tapino. Perciò
stiamo bene qui, - forse potremo perfino stabilire un nuovo contatto con la natura
guardando dietro il filo spinato un pezzo di mare, le pietre, le erbe,
o una nuvola al tramonto, profonda, violetta, emozionata. E forse
un giorno si troverà un nuovo Cimone, guidato in segreto
dalla stessa aquila, che scavi fino a scoprire la punta di ferro della nostra lancia,
arrugginita, consunta anch’essa, e la trasporti solennemente
in processione funebre o trionfale, con musiche e corone, a Atene.
21 marzo 1968
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "UNIVERSALE ECONOMICA GHIANNIS RITSOS PIETRE RIPETIZIONI SBARRE 1968-1969 cura Poesle di Nicola Crocetti Prefazione di Louis Aragon"
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