Lo storico Rashid Khalidi, docente di studi arabi moderni a New York e titolare della cattedra Edward Said alla Columbia University, il 20 dicembre ha discusso a Democracy Now! del più volte rinviato voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla sospensione dei combattimenti a Gaza e del futuro della Palestina. Secondo quanto riferito, l’amministrazione Biden ha ritardato il voto delle Nazioni Unite e ha spinto altri paesi ad annacquare il linguaggio. L’incessante attacco di Israele a Gaza ha ucciso quasi 20.000 palestinesi e costretto alla fuga oltre il 90% dei 2,3 milioni di persone della Striscia di Gaza. “La situazione a Gaza è indicibile”, dice Khalidi, professore di studi arabi moderni intitolati a Edward Said nella Columbia University. “Stiamo parlando di eventi traumatici che segneranno le generazioni a venire”, ha aggiunto l’autorevole storico statunitense-palestinese che ha poi spiegato come la guerra di Gaza rischi di innescare un conflitto regionale e quanta rabbia stiano suscitando per “intere generazioni” nel mondo arabo e oltre quel mondo il comportamento di Israele e quello del governo degli Stati Uniti. Qui sotto potete vedere il video della trasmissione e leggerne la traduzione di una trascrizione urgente che potrebbe non corrispondere integralmente alla sua forma finale
AMY GOODMAN: Il capo dell’ala politica di Hamas, Ismail Haniyeh, è arrivato al Cairo, in Egitto, per colloqui mentre crescono le speranze che si possa raggiungere un nuovo accordo per un cessate il fuoco e il rilascio di altri ostaggi. Il bombardamento israeliano di Gaza è iniziato 75 giorni fa, il 7 ottobre, poche ore dopo l’attacco di Hamas contro Israele. Le autorità sanitarie di Gaza affermano che finora sono stati uccisi almeno 19.600 palestinesi. Si teme però che altre migliaia di persone siano ancora intrappolate sotto le macerie.
Poco prima di questa trasmissione, Israele ha colpito edifici residenziali nella città meridionale di Rafah, vicino all’ospedale speciale del Kuwait. Un giornalista di Al Jazeera, Hani Mahmoud, era in onda quando è avvenuto l’attacco.
HANI MAHMOUD: Mentre stiamo entrando nel… ooh! Dio mio! L’hai sentito?
DEMOCRACY NOW!: Sì, sì, l’abbiamo sentito!
HANI MAHMOUD: Oh mio Dio! Oh, quello è l’ospedale! Quello è l’ospedale! Quello è l’ospedale! Dio mio! Ragazzi, lo avete sentito?
DEMOCRACY NOW!: Sì, lo sentiamo. Lo stiamo sentendo, Hani. Stai… stai bene?
HANI MAHMOUD: Lo hai sentito? Tutti i detriti.
DEMOCRACY NOW!: Sei… sei in un posto sicuro per continuare a parlare con noi?
HANI MAHMOUD: Perché? Perché? Perché?
AMY GOODMAN : “Perché? Perché?” si chiede Hani Mahmoud, giornalista di Al Jazeera. Al Jazeera riferisce che l’attacco israeliano ha distrutto una grande moschea a Rafah, oltre a due case residenziali. Droni israeliani erano stati visti nel cielo poco prima degli attacchi. In precedenza, un altro attacco israeliano al campo profughi di Jabaliya aveva ucciso almeno 46 palestinesi e ne aveva feriti decine.
Si prevede che oggi il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite voti una nuova risoluzione su Gaza. Martedì il voto è stato rinviato dopo che gli Stati Uniti si sono detti contrari alla bozza della risoluzione. Già l’8 dicembre gli Stati Uniti hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedeva il cessate il fuoco.
Tutto ciò avviene mentre la tensione cresce nel Mar Rosso. Il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin ha annunciato che gli Stati Uniti guideranno una nuova task force militare per proteggere le navi nel Mar Rosso a seguito di una serie di attacchi da parte delle forze Houthi dallo Yemen.
Ora si unisce a noi Rashid Khalidi, il professore di studi arabi moderni intitolati a Edward Said alla Columbia University, qui a New York. È autore di numerosi libri, incluso l’ultimo, La guerra dei cent’anni sulla Palestina. Il suo recente articolo d’opinione per il Los Angeles Times è intitolato “Come gli Stati Uniti hanno alimentato la decennale guerra di Israele contro i palestinesi”.
Professor Khalidi, mi chiedevo se potesse iniziare parlando semplicemente della situazione generale a Gaza. La sua famiglia viene dalla Cisgiordania. Anche lei però ha dei familiari a Gaza. E voglio sottolineare che ho particolarmente parlato del nome del giornalista di Al Jazeera, Hani Mahmoud, perché è così orribile nominare i giornalisti solo dopo che sono stati uccisi, e così tanti di loro sono morti. Il coraggio di Hani Mahmoud è sorprendente mentre lo osserviamo attraversare la Striscia di Gaza e oggi nel bel mezzo di questo attacco. Partiamo da lì, professor Khalidi.
RASHID KHALIDI: Beh, è molto fortunato ad essere ancora vivo. Più di 90 giornalisti sono stati uccisi a Gaza: siamo ormai all’undicesima settimana di questa guerra. Sono stati uccisi anche 283 operatori sanitari e 135 lavoratori delle Nazioni Unite. È il numero di vittime più alto che le Nazioni Unite abbiano mai subito in tutta la loro storia. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Prima ha citato circa 20.000 persone uccise. Probabilmente il numero è molto più alto, perché sono tante migliaia quelle sepolte sotto le macerie o disperse. E probabilmente non conosceremo il bilancio finale delle vittime per molti, molti mesi ancora, quando le operazioni per rimuovere le rovine degli edifici che sono stati distrutti saranno completate.
La situazione a Gaza è indicibile. Quello che sentiamo dalla famiglia di mia nipote non posso descriverlo. È incredibile. Le persone sono alla ricerca dei generi di prima necessità e a volte non li trovano: serve legna da ardere per scaldare l’acqua e per cucinare, non c’è acqua sufficiente perché tutti possano bere, per non parlare di lavarsi. Potrei continuare. È indicibile. È intollerabile.
La cosa più tragica è che questa situazione è chiaramente voluta. Né il nostro governo (Usa) né quello israeliano riconoscono il fatto che ciò che sta accadendo lì sta causando l’impoverimento di oltre 2 milioni di persone. Questo potrebbe essere facilmente fermato, e dovrebbe essere fermato. Non riesco a capire come questo paese, gli Stati Uniti, possa permettere che tutto questo continui. L’idea che attaccare Hamas significhi distruggere più della metà delle abitazioni di Gaza, ferire 50.000 persone e ucciderne 20.000. Per me è incomprensibile che il governo Usa possa essere così insensibile e determinato a non prendere le distanze da Israele, per quanto riguarda la natura fondamentale di questa guerra, che è in realtà diretta contro il popolo di Gaza. Oltre 2 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Questo è il più grande sfollamento nella storia palestinese. L’uccisione di 20.000 persone, di cui quasi la metà erano bambini, non ha precedenti nella storia palestinese. Stiamo quindi parlando di eventi traumatici che segneranno le generazioni a venire, ma questo non sembra essere motivo di preoccupazione per il nostro governo, per non parlare poi del governo di Israele.
JUAN GONZÁLEZ: Professor Khalidi, abbiamo assistito a manifestazioni di massa senza precedenti a sostegno dei palestinesi in tutto il mondo. La maggioranza dei governi dell’Assemblea Generale dell’Onu, la stragrande maggioranza, ha chiesto un cessate il fuoco, ma il Consiglio di Sicurezza continua a rappresentare un ostacolo, soprattutto per il comportamento degli Stati Uniti. Può parlarci di ciò che questo sta facendo alla legittimità delle stesse Nazioni Unite?
RASHID KHALIDI : Beh, penso che stia danneggiando le Nazioni Unite, ma anche la legittimità della posizione degli Stati Uniti. Non è il Consiglio di Sicurezza a bloccare l’azione. È il governo degli Stati Uniti a farlo. L’ultima volta che una risoluzione sul cessate il fuoco è stata presentata al Consiglio di Sicurezza c’è stata un’astensione e 13 voti a favore. E hanno trascorso tre giorni cercando di ottenere una risoluzione che non implicasse un cessate il fuoco, ma una pausa umanitaria. Gli Stati Uniti l’hanno ostacolata per tre giorni. Penso dunque che questo danneggerà non solo le Nazioni Unite, perché sono palesemente impotenti di fronte a questa catastrofe, ma stia danneggiando gli Stati Uniti.
C’è un sostegno enorme in tutto il mondo per porre fine a questa situazione. C’è simpatia in tutto il mondo per i palestinesi. Penso che i sondaggi mostrino un sostegno molto forte anche negli Stati Uniti per porre fine a questa guerra, per lo meno per fermare quello che sta succedendo in modo che gli aiuti umanitari possano arrivare. L’amministrazione Biden è chiaramente impermeabile a tutto questo. E poi penso che i media mainstream, francamente, siano complici. Nessuno sa che quattro grandi sindacati hanno chiesto un cessate il fuoco: la United Auto Workers, gli infermieri, gli elettricisti e i postini. Il New York Times, ad esempio, non si è nemmeno degnato di menzionarlo. Stiamo parlando di una grande rabbia e opposizione alla politica verso l’amministrazione Biden da parte di ampie fasce del popolo statunitense. Loro continuano a lavorare come se tutto ciò non avesse importanza. Trovo molto difficile spiegarlo, francamente.
JUAN GONZÁLEZ: Ci sono stati numerosi resoconti dei media di attacchi contro le truppe statunitensi in Siria e Iraq. Minacciano di espandere il conflitto oltre i soli Territori occupati e Gaza. Ma cosa diavolo stanno ancora facendo le truppe statunitensi in quei due paesi? Il Congresso ha autorizzato la loro presenza lì? I governi di quei Paesi li vogliono davvero lì?
RASHID KHALIDI: Il governo siriano, la dittatura di Bashar al-Assad, certamente non li vuole. Il pretesto per essere in Siria [non udibile] è quello di essere lì contro lo Stato islamico. Non credo, però, che ci sia alcuna autorizzazione per la loro presenza lì. Si suppone che le truppe presenti in Iraq siano impegnate nell’addestramento dell’esercito iracheno, ma in Iraq c’è molta opposizione, anche se il governo iracheno ha accettato la loro presenza lì. C’è molta opposizione nel parlamento iracheno alla presenza delle forze Usa in Iraq.
Credo che quello a cui stiamo assistendo siano attacchi, sia da parte dello Yemen contro il trasporto o il lancio di missili contro Israele, sia quelli contro le truppe Usa in Iraq o in Siria, che sono una risposta a ciò che Israele sta facendo a Gaza. Lo stesso vale, ovviamente, per gli scontri in corso tra Hezbollah e l’esercito israeliano lungo le frontiere settentrionali di Israele. Il timore è che la guerra possa espandersi, che possa diventare una guerra regionale. Siamo nell’undicesima settimana, dal 7 ottobre, e finora, quella paura è stata – o meglio, quella possibilità – è stata contenuta. Ma è sempre lì. Porterebbe, a mio avviso, a conseguenze forse anche più terribili, se la guerra si espandesse oltre Gaza, con un ulteriore aumento dei combattimenti al confine libanese, in Siria, Iraq o fuori dallo Yemen.
AMY GOODMAN : Può parlarci anche di quello che sta succedendo nel Mar Rosso? Ci sono una dozzina di aziende che dicono che non spediranno le loro merci attraverso il Mar Rosso. C’è il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin che annuncia una coalizione di 10 nazioni per proteggere gli interessi commerciali, tra cui Bahrein, Canada, Francia, Italia, Regno Unito, Seychelles. Gli Houthi affermano che i loro attacchi con droni e missili continueranno finché Israele bombarderà Gaza.
RASHID KHALIDI : C’è un’enorme rabbia nel mondo arabo per ciò che sta accadendo a Gaza. Gli statunitensi non vedono, o non vedono abbastanza. Le scene di ciò che sta realmente accadendo a Gaza, invece, vengono viste in tutto il mondo arabo e in gran parte del resto del mondo. La rabbia che provano le persone e la loro frustrazione per la riluttanza dei loro governi a fare di più per cercare di fermare tutto questo è palpabile. In Arabia Saudita la gente non può manifestare. In alcuni altri Paesi sì, possono manifestare. Ma se parli con chiunque, in uno qualsiasi di questi paesi, ti dice che l’opinione pubblica è in fermento. Vedono la passività dei governi arabi di fronte a tutto questo, la loro riluttanza ad agire effettivamente, e la mettono in contrasto con Hezbollah, con le milizie in Iraq e Siria e gli Houthi nello Yemen che si impegnano militarmente.
Penso sia davvero giunto il momento che i Paesi che vogliono imporre il cessate il fuoco inizino a unirsi, siano essi arabi, europei o Paesi del Sud del mondo. Dovrebbero unirsi e dire che ci saranno sanzioni X, Y, Z se tutto questo non si ferma. Per lo meno, se non saranno ammessi a Gaza sufficienti aiuti umanitari, ospedali da campo, sufficiente acqua e cibo e così via. Dovrebbero dire a Israele, che ne è responsabile e agire di conseguenza. Penso che ci siano Paesi che potrebbero farlo, compresi i Paesi arabi. La Giordania ha richiamato il suo ambasciatore, ma questo non avrà molta influenza su Israele. Fermare il trasporto di cibo dal Golfo a Israele – a quanto pare gli Emirati stanno spedendo cibo in Israele – avrebbe invece effettivamente un impatto. Fare cose che minacciano le relazioni diplomatiche avrebbe un impatto. Ora, questo di per sé non è sufficiente, penso si debba fare molto di più.
Le Nazioni Unite, come possiamo vedere, sono paralizzate dal veto dell’ONU – dal veto degli Stati Uniti, dovrei dire. L’Assemblea Generale ha fatto quello che poteva, 153 a 10. Non si può avere un voto più sbilanciato di così. Penso che si debba fare di più per far capire ai cittadini di Washington, in particolare, che ciò è inaccettabile e di fatto insostenibile, che la possibilità che tutto ciò sfoci in una conflagrazione regionale, che è sempre lì, è solo una parte del danno che si sta verificando. Intere generazioni vengono allevate arrabbiate contro gli Stati Uniti, infuriate contro Israele, in tutta la regione. E Israele e gli Stati Uniti dovranno affrontare questo problema per decenni a venire. Siamo visti come complici. Questi sono proiettili di artiglieria Usa, bombe Usa, razzi Usa, aerei ed elicotteri Usa. Ventimila persone sono state uccise principalmente con armi degli Usa, ed erano per lo più civili, a Gaza. La gente non lo dimenticherà. Questo non provoca alcun impatto a Washington. Penso davvero che vivano in una sorta di bolla, un vuoto spazio privo di fatti. Cosa stanno pensando e perché lo pensano, in realtà, va oltre la mia comprensione, come ho già detto.
AMY GOODMAN: Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è in Egitto per discutere una possibile nuova tregua. Il Wall Street Journal riferisce che Hamas sta anche discutendo con i rivali palestinesi, con Fatah, una possibile tregua e lo scenario per governare successivamente la Cisgiordania e Gaza. Naturalmente Netanyahu è completamente contrario a tutto ciò. Può parlarci anche della discussione sui negoziati per gli ostaggi? Abbiamo visto notizie sul possibile rilascio di Marwan Barghouti, può spiegarcene il significato? E cosa pensa possa avvenire dopo?
RASHID KHALIDI: Beh, è un gran numero di domande. Penso che la prima cosa sia la questione degli ostaggi. È stato un grosso problema, perché quello che Hamas ha chiesto finora è essenzialmente uno scambio tutti per tutti, tutti i prigionieri per tutti gli ostaggi. Alcuni degli ostaggi sono militari, molti altri sono civili. Da quello che possiamo capire dalla stampa, quel che dice Hamas è che se vuoi tutti gli ostaggi, dovrai rilasciare tutti i prigionieri. Credo sia improbabile che questo possa avvenire. Uno dei prigionieri che potrebbe essere rilasciato è proprio Marwan Barghouti, un alto leader di Fatah condannato per molteplici omicidi da un tribunale militare israeliano che lui non ha mai riconosciuto. Marwan Barghouti potrebbe benissimo essere un candidato alla presidenza e potrebbe vincere, avere la maggioranza dei voti palestinesi.
Per l’altra questione: se ci sono altre possibilità per quanto riguarda gli ostaggi, ad esempio il rilascio di tutti quelli civili in cambio di un certo numero di prigionieri, non saprei dire. Alcuni resoconti della stampa israeliana dicono che il governo parla di progressi, quando in realtà essi non ci sono stati. Vogliono diminuire la pressione delle famiglie degli ostaggi, che chiedono il rilascio dei prigionieri palestinesi necessari per riportare a casa i loro cari.
AMY GOODMAN: Soprattutto dopo che Israele ha ucciso per errore tre ostaggi israeliani…
RASHID KHALIDI: Sì, li ha uccisi accidentalmente. Molti altri sarebbero rimasti uccisi nei bombardamenti. E poi ci sono gli ostaggi rilasciati che hanno detto: “Eravamo terrorizzati per le nostre vite a causa dei bombardamenti in corso”. Ho letto sulla stampa israeliana resoconti di ostaggi rilasciati, che hanno parlato del tipo di pericolo in cui si trovavano, non tanto a causa dei loro rapitori quanto per la possibilità che sarebbero stati uccisi dai bombardamenti israeliani.
L’altro aspetto di questa questione è quello politico. Hamas ha una posizione nella politica palestinese che non sarà sradicata, qualunque cosa faccia Israele a Gaza. Se Israele sconfiggesse completamente l’intera rete militare e le infrastrutture di Hamas, se uccidesse ogni singolo combattente, cosa probabilmente irrealistica, Hamas continuerebbe ad esistere come movimento politico. Hamas continua ad avere sostegno tra i palestinesi – non il sostegno della maggioranza, secondo quasi tutti i sondaggi che ho visto, ma un certo sostegno sì. Quando i palestinesi riusciranno a mettere insieme un governo – ammesso che riescano a farlo perché, lo sapete, tutti gli altri cercheranno di farlo per loro, gli Stati Uniti cercheranno di imporre loro le proprie intenzioni. Il governo israeliano cercherà, senza dubbio, di fare lo stesso. E gli europei, nel loro stile coloniale, probabilmente proveranno a fare lo stesso. Diranno ai palestinesi cosa è bene per loro e chi possono avere e chi non possono avere nel loro governo. Ma quando – e se – i palestinesi riusciranno a mettersi d’accordo e a formare, ad esempio, una sorta di OLP riformata , non ci sarà modo di escludere Hamas. L’idea che Hamas, a causa di ciò che ha fatto il 7 ottobre, sia completamente escluso dal governo palestinese è una fantasia, una fantasia israeliana, statunitense, europea.
Non si può negoziare con le persone dopo aver preteso che abbiano già accettato i tuoi termini. Non si sarebbe potuto fare in Irlanda, dove dovevi coinvolgere l’IRA. Non si poteva farlo in Sudafrica senza coinvolgere l’ANC. Non si poteva farlo in Algeria senza coinvolgere l’FLN . Si tratta di gruppi che hanno anche compiuto attacchi orribili, in molti casi contro i civili. Si tratta di gruppi che venivano descritti dalle potenze coloniali come terroristi o banditi, oppure con termini diversi in tempi diversi. Ma, dopo tutto, le uniche persone con cui devi veramente negoziare sono quelle con le armi. E finché questo fatto non passerà attraverso le teste dure della gente a Washington, a Parigi e a Londra, non andremo da nessuna parte. Possono scegliere i collaborazionisti, i tecnocrati. Possono selezionare i palestinesi che sono accettabili per loro, quelli che superano qualsiasi prova, che si inginocchiano e condannano Hamas, o qualunque altra prova decisiva venga loro imposta, ma quelle persone non rappresenteranno nessuno, non avranno credibilità, non avranno legittimità e non si avrà alcun vero controllo sulla situazione.
Devi accettare che alla fine dovrai affrontare i tuoi veri nemici, stai guardando una situazione di occupazione israeliana senza fine della Striscia di Gaza, diretta o indiretta. Una situazione che implica una resistenza senza fine a tale occupazione. Quante persone possono uccidere? Se Israele affermasse che ci sono 25.000 o 30.000 militanti armati in Hamas, quanti di loro potrebbero ucciderne? Dieci, dodici, quindicimila? Alla fine ce ne saranno altri, persone che sono ancora lì. Questo significa che una soluzione imposta, con Israele che continua a operare nella Striscia di Gaza, cosa che ha dichiarato di voler fare, provocherà una resistenza continua. Quindi, nulla sarà risolto.
La ricostruzione e la fine della miseria del popolo di Gaza non potranno avere luogo finché non avranno luogo cambiamenti di questo tipo, dall’occupazione a una sorta di governo palestinese. L’idea che i paesi arabi entrino e facciano il lavoro sporco per Israele e gli Stati Uniti è una fantasia. Gli Emirati, i Sauditi, gli Egiziani e i Giordani non andranno a governare per conto di Israele. Non succederà. Ci deve essere un governo palestinese dei territori palestinesi.
E questo dovrà, in un modo o nell’altro, coinvolgere tutti i gruppi all’interno dello spettro politico palestinese. I palestinesi sono stati divisi da loro stessi, si sa, per ragioni che hanno a che fare con la disfunzione palestinese, ma sono stati divisi anche dalle politiche divide et impera degli Stati Uniti, di Israele e degli europei. Finché questo continuerà, questa piaga purulenta continuerà e ci sarà violenza. E non si tratterà solo di violenza causata dagli uomini duri di Hamas. Sarà la violenza causata dagli orrori inflitti ai palestinesi da 56 anni di occupazione, da 75 anni di colonialismo, e dal fatto che le persone, inevitabilmente, necessariamente, resistono all’occupazione. A Washington e in Israele devono venire a patti, prima o poi, con il fatto che la governance palestinese è una questione che deve essere decisa dai palestinesi. E questo semplicemente non è nella loro mentalità, se si legge ciò che viene da Washington o da Israele o da molti governi europei.
JUAN GONZÁLEZ: Professore, ci restano solo un paio di minuti, ma volevo chiederle – lei ha detto che esiste un indiscutibile legame tra l’ebraismo e il popolo ebraico e la Terra Santa, eppure che Israele – lo Stato israeliano è un progetto coloniale. Di recente nel suo articolo sul LA Times ha definito l’assalto a Gaza “l’ultima guerra coloniale dell’era moderna”. Potrebbe approfondire?
RASHID KHALIDI: Giusto. Sicuro. Questo risale alla natura del sionismo. Il sionismo è un progetto nazionale, che lo distingue da ogni altro progetto di movimento coloniale di coloni. Ma, allo stesso tempo, era un progetto coloniale autoidentificato. L’Agenzia di Colonizzazione Ebraica, l’Agenzia di Colonizzazione Ebraica Palestinese, è il termine che quell’organizzazione, che esisteva fino al 1958, applicava a se stessa. Questo fu accettato dai primi leader sionisti. Sostenevano di avere diritti sulla Terra Santa e che esisteva un legame tra il popolo ebraico e la terra di Israele. Tutto ciò è vero, esistono un tale attaccamento e una tale connessione, ma il sionismo è un progetto coloniale europeo, sostenuto dall’imperialismo, dall’imperialismo britannico, che intendeva sostituire una popolazione indigena con una popolazione ebraica. Come ha detto Ze’ev Jabotinsky: “Vogliamo trasformare la Palestina nella terra di Israele”. E ciò significava una trasformazione demografica, l’espropriazione della popolazione e il furto delle loro terre, come accade in ogni scenario coloniale di insediamento. Quindi, Israele è sia il risultato di un progetto nazionale, il sionismo, sia il risultato di un progetto coloniale di insediamento. Puoi camminare e masticare una gomma allo stesso tempo. In realtà non c’è contraddizione.
Ed è un progetto unico, in quanto non si è trattato semplicemente di un’estensione della popolazione e della sovranità della madrepatria. Il sionismo aveva le sue ambizioni indipendenti: fondare uno stato ebraico, non uno stato britannico – era sotto la protezione della Gran Bretagna, ma aveva scopi propri, scopi separati e indipendenti. Quindi è un fenomeno unico nel mondo moderno, anche se ha imparato tutto dagli inglesi. I primi leader dell’esercito israeliano furono addestrati da specialisti della controinsurrezione coloniale britannica a far saltare le case sopra le teste dei loro residenti, a sparare ai prigionieri e ad attaccare i villaggi di notte. Questa è la controinsurrezione britannica, che fu trasmessa agli israeliani – membri del Palmach e dell’Haganah negli anni ’30 affinché aiutassero gli inglesi a combattere i palestinesi. E questi sono i fondatori dell’esercito israeliano. Moshe Dayan è stato addestrato da specialisti britannici della controinsurrezione. Yigal Allon, Yitzhak Sadeh e molte delle figure di spicco di quello che poi divenne l’esercito israeliano hanno avuto questo addestramento. Israele sta utilizzando le leggi rimaste da allora, i Regolamenti di Difesa (Emergenza) del 1945, in base ai quali le persone vengono messe in detenzione amministrativa, senza alcuna accusa, senza processo, senza condanna, niente. Vengono semplicemente messi in prigione e tenuti lì. È un regolamento d’emergenza britannico del 1945. Questo è un tipico strumento coloniale.
Si tratta quindi di una guerra coloniale, combattuta per mantenere la supremazia di questo gruppo, che ha preso il controllo del paese, a scapito della popolazione indigena palestinese. Il legame del popolo ebraico con la terra d’Israele è, a mio avviso, incontrovertibile. Ma ciò, di per sé, non giustifica i metodi coloniali che sono stati utilizzati per stabilire e mantenere la supremazia di Israele sull’intera Palestina, dal fiume al mare.
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