“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
17 aprile 2025
LE MONDE SI CHIEDE: L' OCCIDENTE ESISTE ANCORA?
Marco Bresolin, Von der Leyen avverte Trump: "L'Occidente non esiste più, l'Ue è pronta al nuovo mondo, La Stampa, 17 aprile 2025
BRUXELLES. «L’Occidente, per come lo conoscevamo, non esiste più: il mondo è diventato un globo anche a livello geopolitico». Nel bel mezzo dei negoziati con gli Stati Uniti per raffreddare le tensioni commerciali, e alla vigilia della visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca, Ursula von der Leyen lancia un messaggio chiaro a quello che sin qui è stato il principale partner e alleato dell’Unione europea: «Uno degli effetti secondari positivi (di questa situazione, ndr) è che sto avendo innumerevoli colloqui con capi di Stato e di governo in tutto il mondo che desiderano collaborare con noi al nuovo ordine». E dunque serve «un’Unione europea pronta a lanciarsi in un mondo più ampio e a svolgere un ruolo molto attivo nel plasmare questo nuovo ordine mondiale che sta arrivando» e che aiuterà a superare l’attuale «disordine mondiale».
Con un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit, la presidente della Commissione ha mandato segnali fin troppo chiari ai protagonisti di questo disordine. Vladimir Putin, ovviamente, ma è impossibile non leggervi anche una frecciata a Donald Trump. «L’Europa è ancora un progetto di pace - ha spiegato - e noi non abbiamo amici o oligarchi che dettano le regole. Non invadiamo i nostri vicini e non li puniamo. Al contrario, ci sono dodici Paesi in lista d’attesa per entrare a far parte dell’Unione Europea. Si tratta di circa 150 milioni di persone».
Von der Leyen ha poi ribadito quelli che sono i quattro punti fermi della strategia per contrastare i dazi imposti da Donald Trump. Primo: «Dobbiamo cercare una soluzione negoziale e in parallelo mettere a punto contromisure sia per i beni che per i servizi e tutte le opzioni sono sul tavolo». Secondo: «Dobbiamo essere molto vigili per evitare che la guerra tra Cina e Usa faccia sì che i beni cinesi finiscano nel nostro mercato». Terzo: «Dobbiamo costruire nuove partnership e stabilire relazioni commerciali più ampie». Il quarto punto è che «dobbiamo liberarci delle barriere nel nostro mercato unico, integrarlo ulteriormente e armonizzarlo».
Sul primo punto, alla luce degli scarsi risultati ottenuti nel primo round negoziale, von der Leyen è tornata a minacciare di colpire il settore dei servizi digitali «che è controllato all’80% da poche imprese americane» le quali «non vogliono perdere l’accesso al nostro mercato» che offre «enormi profitti». Per sbloccare lo stallo che si è creato dopo il faccia a faccia tra il commissario Maros Sefcovic e i suoi omologhi americani, la presidente accarezza l’idea di andare di persona alla Casa Bianca per trattare direttamente con Trump, anche se la mossa non sarebbe esente da rischi. Ma il problema per il momento non si pone perché un invito ancora non c’è e von der Leyen spera che la visita di Meloni possa in qualche modo agevolarlo.
A prescindere dall’esito dei colloqui con Washington, l’Unione europea è determinata ad andare avanti con il suo piano per diversificare le sue relazioni con i partner globali. «In questo momento - si vanta von der Leyen - potrei avere conversazioni per 24 ore al giorno. Questo vale dall’Islanda alla Nuova Zelanda, dal Canada agli Emirati Arabi Uniti, così come per India, Malesia, Indonesia, Filippine, Thailandia, Messico e Sudamerica. Tutti chiedono più scambi commerciali con l’Europa e non si tratta solo di legami economici: si tratta anche di stabilire regole comuni e prevedibilità. L’Ue è nota per la sua prevedibilità e affidabilità, che stanno iniziando di nuovo a essere considerate un valore aggiunto».Quest’ultima sottolineatura è anche una risposta indiretta a Donald Trump che vorrebbe spingere l’Ue a rivedere i suoi standard normativi, in campo agroalimentare, ma anche in quello ambientale e tecnologico. Per von der Leyen, però, non si torna indietro. Nemmeno sul Green Deal. «L’ecologia è parte della nostra identità perché il nostro futuro dipende dalla decarbonizzazione, che continuerà con o senza gli americani». Qualche esempio? «C’è una ragione se la Cina fa grandi investimenti nella mobilità elettrica o se i Paesi del Golfo, che hanno grandi riserve di petrolio e di gas, investono pesantemente nell’idrogeno verde»
Sul fronte delle spese militari, von der Leyen difende il suo piano per incentivare il riarmo, anche perché «dall’esperienza abbiamo imparato che non ci sono limiti alle ambizioni imperialistiche di Putin». Spiega che «possiamo continuare» a comprare armi americane anche se «personalmente sostengo la necessità di aumentare la produzione in Europa». Magari attraendo nel Vecchio Continente proprio la produzione delle imprese Usa.
Del resto, la presidente della Commissione è convinta che il Vecchio Continente sia il miglior posto al mondo in cui vivere. «In Europa, i bambini possono frequentare buone scuole, indipendentemente dal livello di ricchezza dei genitori. Abbiamo emissioni di CO2 inferiori, un’aspettativa di vita più alta. Dibattiti controversi sono consentiti nelle nostre università» ha sottolineato facendo un paragone implicito con gli Stati Uniti. «Questi e altri sono tutti valori che devono essere difesi e che dimostrano che l’Europa è più di un’unione. L’Europa è casa nostra. E la gente lo sa, la gente lo percepisce».
Thomas Piketty: "Piuttosto che una cura di austerità, l'Europa ha bisogno di una cura di investimenti", Le Monde, 15 marzo 2025
Di fronte all’ondata trumpista, è urgente che l’Europa riacquisti fiducia in se stessa e offra ai suoi cittadini e al mondo un altro modello di sviluppo. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo cominciare ad abbandonare la costante autoironia che troppo spesso prende il posto del dibattito pubblico nel nostro continente. Secondo l'opinione prevalente in molti ambienti dominanti, l'Europa vive al di sopra delle proprie possibilità e dovrebbe stringere la cinghia. L'ultima versione di questo discorso è che la spesa sociale dovrebbe essere tagliata per concentrarsi sull'unica priorità che conta: la corsa con Donald Trump e Vladimir Putin sulla spesa militare.
Il problema è che in questa diagnosi tutto è sbagliato. Dal punto di vista economico, la realtà è che l'Europa ha tutti i mezzi – se ciò si rivelasse utile – per perseguire più obiettivi contemporaneamente. In particolare, da anni registra solidi surplus nella bilancia dei pagamenti, mentre gli Stati Uniti presentano un deficit enorme. In altre parole, sono questi ultimi a spendere sul proprio territorio più di quanto producano, mentre l'Europa fa esattamente il contrario e accumula i propri risparmi nel resto del mondo (e in particolare negli Stati Uniti).
Negli ultimi quindici anni, il surplus medio annuo in Europa ha raggiunto il 2% del prodotto interno lordo (PIL), un livello che non si vedeva da oltre un secolo. Si osserva nell'Europa meridionale, così come in Germania e nell'Europa settentrionale, con livelli che in alcuni paesi superano talvolta il 5% del PIL. Al contrario, gli Stati Uniti hanno accumulato deficit medi pari a circa il 4% del loro PIL dal 2010.
La Francia è a metà strada e ha una bilancia dei pagamenti quasi in pareggio (con un deficit inferiore all'1% del PIL). La verità è che l'Europa ha fondamentali economici e finanziari più sani degli Stati Uniti, così sani che il vero rischio è da tempo la sottostima della spesa. Più che di una cura di austerità, l'Europa ha bisogno soprattutto di una cura di investimenti se vuole evitare una morte lenta, come ha giustamente diagnosticato il rapporto Draghi. Ma deve farlo a modo suo, in modo europeo, dando priorità al benessere umano e allo sviluppo sostenibile e concentrandosi sulle infrastrutture collettive (formazione, sanità, trasporti, energia, clima).
L’Europa ha già superato gli Stati Uniti in termini di salute, con un divario nell’aspettativa di vita che continua ad ampliarsi a favore dei primi [ 80,6 anni in media nell’Unione Europea e 77,4 anni negli Stati Uniti , nel 2022] . Tutto questo mentre si spende poco più del 10% del PIL per la salute del continente , mentre gli Stati Uniti si aggirano intorno al 18%, a dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, dell'inefficienza del settore privato e dei costi aggiuntivi che genera, con buona pace di Elon Musk e dei suoi.
L'Europa deve continuare a sostenere i propri operatori sanitari affinché possano proseguire in questa direzione. Ha inoltre i mezzi per superare definitivamente gli Stati Uniti in termini di trasporti, clima, formazione e produttività, a patto che effettui gli investimenti pubblici necessari.
Se necessario, l'Europa potrebbe anche aumentare le spese militari. Di questa necessità resta ancora da fornire la prova. Investire miliardi di euro in armamenti è un modo semplice per dimostrare che si sta facendo qualcosa per contrastare la minaccia russa, ma non ci sono prove che sia il modo più efficace. I bilanci europei sommati superano già di gran lunga quelli russi. La vera sfida è spendere insieme queste somme e soprattutto creare strutture che consentano di prendere decisioni collettive per proteggere efficacemente il territorio ucraino.
Per finanziare la ricostruzione del Paese, è giunto il momento che l'Europa si impossessi non solo dei beni pubblici russi (300 miliardi di euro, di cui 210 miliardi in Europa ), ma anche dei beni privati, stimati in circa 1.000 miliardi, la maggior parte dei quali in Europa, e di cui fino ad oggi sono state sequestrate solo poche briciole. Ciò richiederà l'istituzione di un vero e proprio registro finanziario europeo che registri finalmente chi possiede cosa nel nostro continente, uno strumento essenziale anche per combattere la criminalità grave e attuare una politica di giustizia sociale e fiscale.
Nessun quadro democratico
La domanda essenziale resta. Perché l'Europa, che è piena di risparmi e di fatto è la prima potenza economica e finanziaria mondiale, non investe di più? Una spiegazione classica è di tipo demografico: di fronte all'invecchiamento, i paesi europei si preparano alla vecchiaia accumulando ingenti risparmi nel resto del mondo. Tuttavia, sarebbe più utile spendere queste somme in Europa per consentire alle giovani generazioni di progettare il futuro.
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Un'altra spiegazione è il nazionalismo: ogni paese europeo sospetta che il vicino voglia sperperare il prodotto del suo lavoro e preferisce tenerlo sotto chiave. La globalizzazione commerciale e finanziaria ha alimentato profonde preoccupazioni – in Svezia dopo la crisi bancaria del 1992 o in Germania durante la crisi post-unificazione del 1998-1999 – e ha portato in Europa a una ritirata verso il risparmio e il "ciascuno per sé", che non ha fatto che peggiorare dopo la crisi del 2008.
Ma il fattore principale è prima di tutto politico e istituzionale. Non esiste un quadro democratico in cui i cittadini europei possano decidere collettivamente come utilizzare al meglio la ricchezza che producono. Attualmente, queste decisioni sono di fatto lasciate a pochi grandi gruppi e a una sottile fascia sociale di dirigenti aziendali e azionisti. La soluzione potrebbe assumere diverse forme, come ad esempio un'Unione parlamentare europea fondata su un nucleo duro di paesi . Quel che è certo è che la domanda di Europa non è mai stata così forte e che i leader devono rispondere con audacia e fantasia, andando oltre i sentieri battuti e le false certezze.
https://www.lemonde.fr/idees/article/2025/03/15/thomas-piketty-plutot-que-d-une-cure-d-austerite-l-europe-a-besoin-d-une-cure-d-investissement_6581149_3232.html
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