Il mondo moderno si
caratterizza per l'estrema articolazione e complessità di un sapere
impossibilitato ormai a trovare una sistemazione unitaria. La nostra
è l'epoca dell'iperspecializzazione. Leibniz, che erroneamente si
considererebbe solo un filosofo o un matematico, fu l'ultimo a
tentare di riunire tutti i campi del sapere in un'opera titanica di
oltre 120 volumi.
Franco Giudice
L’ultimo genio
universale
Gottfried Wilhelm von
Leibniz (1646 – 1716)
Scrivere una biografia è impresa quanto mai ardua. Se non altro per la necessità di riassumere nello spazio ragionevole di un libro la storia di una vita che, oltre a essere inafferrabile per definizione, è stata ovviamente sempre molto più complessa e variegata di qualsiasi resoconto. Senza questa consapevolezza, che implica scelte selettive e inevitabili omissioni, il biografo farebbe la stessa inutile fatica di quei cartografi descritti da Borges che, dovendo tracciare la mappa dell’impero, ne realizzarono una le cui dimensioni coincidevano puntualmente con esso.
Non è però semplice trovare il giusto equilibrio tra l’aspirazione alla completezza e il vincolo della sintesi. E se questo vale per le biografie in generale, per alcune vale ancor di più. Soprattutto quando si tratta di personalità fuori dal comune e straordinariamente poliedriche, come nel caso di Gottfried Wilhelm Leibniz. Ma è proprio ciò che è riuscita a fare Maria Rosa Antognazza, offrendocene appunto un superbo e pionieristico ritratto a tutto tondo. Pubblicato in inglese nel 2009 da Cambridge University Press, il suo libro ha anche il pregio di essere avvincente e di godibile lettura, qualità ben rese dalla traduzione italiana di Stefano Di Bella.
La sfida con cui si è cimentata Antognazza era davvero immane. Leibniz fu uno dei maggiori protagonisti della vita culturale europea del Seicento, un genio versatile che conseguì risultati sostanziali e durevoli in molte e diverse aree del sapere: dalla filosofia alla matematica, dalla fisica all’astronomia, dalla storia alla linguistica, dall’etica alla teologia. Ma fu anche un diplomatico, un ingegnere, un bibliotecario, un promotore di società scientifiche, un uomo di corte impegnato in una serie incredibile di questioni politiche, amministrative e tecnologiche. L’intensa corrispondenza che intrattenne con mecenati e intellettuali, sia europei sia di paesi lontani come la Russia e la Cina, è così ampia da non avere forse eguali tra i suoi contemporanei.
Un ulteriore elemento di complicazione proviene poi dalle sue stesse opere. Quelle da lui pubblicate rappresentano soltanto una piccolissima parte della sua produzione intellettuale. Che si è rivelata, alla luce dei manoscritti che ci ha lasciato, davvero sterminata: «una massa di migliaia e migliaia di lettere e di centinaia e centinaia di abbozzi di trattati, frammenti, schizzi, annotazioni». Basti pensare che, una volta ultimata, l’edizione integrale delle sue opere, avviata nel 1923 e tuttora in corso, sarà costituita da ben 120 volumi.
Si può dunque comprendere perché i molteplici interessi di Leibniz, insieme alle difficoltà oggettive di maneggiare una mole così imponente di testi, abbiano quasi inevitabilmente finito per favorirne un approccio settoriale. Che iniziò già nel 1717, un anno dopo la sua morte, con l’Éloge scritto da Fontenelle per l’Académie Royale des Sciences, di cui era segretario. Preoccupato infatti di non riuscire a trattare in una narrazione biografica unitaria i diversi contributi di Leibniz alla filosofia e alle altre scienze, Fontenelle decise di analizzarli separatamente, abbandonando «l’abituale ordine cronologico» e seguendone uno tematico. Da lì in avanti il corpus degli scritti leibniziani è stato via via suddiviso «tra un esercito di studiosi in rappresentanza dell’intera enciclopedia del sapere».
Questo approccio ha portato non solo al frazionamento del sistema intellettuale di Leibniz, ma anche a privilegiare alcune sue componenti a discapito di altre. Certo, molti studi recenti hanno l’indubbio merito di aver chiarito importanti aspetti specifici del suo pensiero e della sua vita. A mancare finora è stato però un lavoro di ampio respiro, che collocasse Leibniz nel suo preciso contesto storico, e che fosse al tempo stesso il più esaustivo e dettagliato possibile. Una lacuna colmata da Antognazza, che ricompone «l’uomo smembrato da Fontenelle e dai suoi epigoni» in un quadro unitario e armonico.
Le attività teoriche e pratiche di Leibniz, in apparenza così eterogenee, rivelano – a ben guardare – un progetto dominante e comprensivo che scaturì da un sogno molto audace: «ricondurre la molteplicità della conoscenza umana a un’unità logica, metafisica e pedagogica, centrata intorno alla concezione teistica propria della tradizione cristiana e finalizzata al bene comune». Tanto più poi se consideriamo che Leibniz crebbe e visse in mondo attraversato da profonde divisioni politiche e confessionali, quello cioè del Sacro Romano Impero tedesco all’indomani della pace di Westfalia (1648).
Fu invece proprio tale contesto ad alimentare le aspirazioni di Leibniz. E per perseguirle si smarcò subito dalla rigida ortodossia luterana dei suoi docenti dell’Università di Lipsia, aderendo a quell’eclettismo filosofico che, ormai ben radicato in altre aree dell’impero, proponeva modelli enciclopedici e pedagogici innovativi per la riforma del sapere e della società nel suo complesso.
Così, non appena
completò la sua formazione accademica, agli inizi del 1668 Leibniz
era già in grado di abbozzare un piano globale per il progresso di
tutte le scienze. Che non era però qualcosa di astratto, poiché il
suo obiettivo pratico era il miglioramento della condizione umana e
di conseguenza la celebrazione della gloria di Dio. Al quale se ne
aggiungeva un altro non meno ambizioso: la riconciliazione delle
diverse chiese cristiane sulla base di principi razionali
universalmente condivisibili.
Una «visione originaria» insomma, che avrebbe catalizzato gran parte delle energie e dell’entusiasmo di Leibniz per il resto della sua vita, nella convinzione che i diversi ambiti del sapere potessero e dovessero integrarsi in modo unitario nel sistema intellettuale e morale di una persona. Di qui il grande progetto di una scientia generalis, destinata a essere esposta in un’«enciclopedia dimostrativa», che comprendeva tutta la conoscenza disponibile, insieme ai metodi della sua scoperta nel passato e a quelli del suo futuro sviluppo. E che era strettamente legato alla creazione di una characteristica universalis: un linguaggio cioè di simboli logici per eliminare le ambiguità delle lingue naturali e risolvere in modo pacifico ogni tipo di controversia. Il tutto in vista del bene supremo, che per Leibniz consisteva nella ricerca dell’autentica felicità del genere umano.
È dunque alla luce di questa «visione» che Antognazza ricostruisce la biografia intellettuale di Leibniz, che si snoda in due parti. La prima racconta gli anni dei suoi studi universitari a Lipsia, a Jena e ad Altdorf, per arrivare al 1668 quando il giovane luterano diventò consigliere giuridico presso la corte cattolica di Magonza. E culmina in un lungo soggiorno a Parigi (1672-1676), coronato da due viaggi a Londra e uno in Olanda, che segnò un momento chiave della sua formazione. Egli infatti ebbe modo non solo di ampliare le sue conoscenze, soprattutto nel campo della matematica, ma anche di entrare in contatto con tutti quelli che avevano una reputazione nel mondo scientifico e filosofico europeo.
La seconda parte invece
copre gli ultimi quarant’anni della sua vita come consigliere di
corte e bibliotecario del duca di Hannover, incarico che Leibniz fu
costretto ad accettare quando sfumò la prospettiva di stabilirsi
definitivamente a Parigi. E che videro l’urto tra i suoi sogni e la
realtà, tra l’aspirazione a portare avanti i suoi ambiziosi
programmi giovanili e la pretesa dei suoi datori di lavoro che egli
si applicasse a servire gli angusti interessi della loro famiglia. In
questi anni, nonostante il fardello degli incarichi amministrativi,
Leibniz continuò a diffondere le sue idee in saggi, lettere e
articoli per riviste, senza mai rinunciare al suo grande progetto
ecumenico.
In questo libro, appassionato e ricco di informazioni, il lettore troverà una guida sicura per districarsi nella filosofia di Leibniz, per seguirne la complessa struttura metafisica, dove le monadi sono le «unità reali» di cui è fatto tutto l’universo, per capire perché ognuna di esse riflette l’«armonia universale» dell’eterno disegno divino, e perché quello che Dio ha scelto di creare è il migliore dei mondi possibili.
Ma troverà anche
un’accurata descrizione della sua attività più propriamente
scientifica. A partire dall’invenzione del calcolo infinitesimale
che realizzò nel 1675, indipendentemente da Newton, e di cui ci
viene documenta la genesi, la formulazione e la diffusione. E lo
stesso vale per le ricerche nel campo della fisica dove, in polemica
con la meccanica cartesiana, egli contribuì a chiarire il concetto
di forza, fondando la nuova scienza da lui denominata appunto
«dinamica».
Ma più di tutto, forse,
il lettore apprezzerà l’attenzione per i contributi meno noti di
Leibniz alla medicina, che andavano dalla proposta di un servizio
sanitario pubblico alla compilazione di statistiche per registrare le
principali cause di malattie e decessi. Un ulteriore esempio di come
i suoi studi fossero sempre finalizzati al benessere della
collettività.
Il Sole 24Ore – 3
gennaio 2016
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