Rocca Busambra, foto di f.v.
E’ in corso di stampa un Quaderno che si ricollega idealmente, sin dal titolo “nuova busambra”, ad un
progetto di Francesco Carbone. Anticipiamo in questo
spazio un breve articolo, alleggerito dalle note, dedicato al poeta Giacomo
Giardina.
FRANCESCO CARBONE E
RENATO GUTTUSO SULLA POESIA DI GIACOMO GIARDINA
Appunti
di Francesco Virga
Si erge solenne
la montagna della mia
poesia
che al suo centro si apre
come un enorme ventaglio[…]
Giacomo Giardina, Rocca
Busambra, 1931
Rocca Busambra è
stata la principale musa ispiratrice di
Giacomo Giardina (Godrano, 1901- Bagheria, 1994). Lo prova, tra l’altro, l’epigrafe del suo primo libro, pubblicato
dell’Editore Vallecchi di Firenze nel 1931, dove, a parte le dediche al Duce e a F.T. Marinetti, le parole più
sentite sono rivolte: “Alla montagna natia, seminata di pecore, che
mi ha reso poeta”
La
Rocca, con una metafora che si ritrova anche nelle sue ultime composizioni,
viene rappresentata come un enorme “ventaglio”. Essa gli appare ora “rameggiata
di cerri scuri” e “verniciata
di sole” (Cfr. Quand’ero pecoraio, pag.15), ora come una“grandiosa tavolozza dei colori del mondo”(Ibid.
pag.152). La montagna, insieme al bosco che le fa corona, è il cuore e la linfa vitale della sua poesia,
a tal punto da fargli dire, come se si
rivolgesse alla propria amante: “lontano
da te non posso vivere”.
Tutto
questo Renato Guttuso l’aveva colto immediatamente. Anche per questo in tutti i
ritratti che gli ha dedicato si trova
Rocca Busambra.
Tra la ricca corrispondenza di Giacomino con letterati ed artisti coevi,
che sarebbe opportuno recuperare e pubblicare, spicca quella intrattenuta con
il pittore bagherese. Particolarmente significativa la lettera
scritta da quest’ultimo all’amico, il 22 giugno 1972, dove si afferma:
Cosa è cambiato da allora? Molto dall’esterno, ma ‘di dentro’ poco o
nulla. Battiamo sempre lo stesso chiodo, quello che ci siamo portati addosso dalla nascita, forse con più
esperienza e sapienza, forse con meno freschezza. Ma in fondo anche con
freschezza perchè il nostro amore della verità e della realtà è un amore che
non può finire. (sottolineatura mia)
Lo stesso Guttuso due anni dopo, in un
foglietto opportunamente riprodotto nel prezioso volume edito dal “Movimento
Comunità di Base” di Ciccino Carbone, scriverà:
Caro Giacomo, fin
dall’ormai lontana adolescenza ho imparato ad amare la tua poesia, la fresca
indipendenza della tua immaginazione, il tuo sentimento della natura e della
gente umile. Ricordo brani bellissimi di un tuo romanzo che meriterebbe di
vedere la luce. A te, al tuo lavoro, è legato uno dei miei primi dipinti ( del
’28, mi pare) che ti raffigurava davanti alla tua Rocca Busambra, circondato
dalle pecorelle. Dove sia quel quadro non si sa, ma ho fiducia che prima o poi
salterà fuori.
La lettera si chiude con uno schizzo, quì accanto riproposto,
in cui si abbozza l’antico ritratto. Il documento è
importante anche per il riferimento ad
un “romanzo” inedito del poeta di cui si sono perse le tracce.
La prima scoperta del poeta pecoraio si
deve, come è noto, a Filippo Tommaso
Marinetti. E’stato proprio il padre del futurismo italiano a presentarlo
alla I Mostra
Siciliana del Sindacato Fascista di Belle Arti che si tenne a Palermo il
3 aprile 1928. Certamente, se Marinetti non avesse intravisto nei versi di Giardina una singolare
incarnazione del suo credo poetico, Giacomino, come lo chiamavano i suoi
compaesani, sarebbe rimasto un venditore
ambulante e uno dei tanti poeti contadini ignorati e dimenticati.
Anche se la critica ha successivamente
considerato riduttiva e forzata
l’interpretazione del Marinetti, Giardina deve comunque gran parte della sua libertà espressiva e del
suo spirito antiaccademico al movimento futurista. D’altra parte il futurismo,
nel suo versante artistico, al di là della deriva fascista italiana, nel resto
del mondo ebbe sviluppi ed un seguito progressista. Non a caso Trockij e
Majakovskij seguirono con simpatia il
movimento futurista.
Un altro grande estimatore dell’opera poetica
del Giardina è stato Francesco Carbone.
Si deve a quest’ultimo la prima sottolineatura del posto privilegiato che occupa la natura nella vita e nell’opera del
godranese:
la natura
è nozione primaria di una forza originaria che genera, è l’idea stessa di
nascita, origine, generazione, struttura persistenza, è legge che regola i
fenomeni, include la riflessione su tutto ciò che ha o cui si attribuisce una
nascita, un destino, un ciclo vitale e
una morte. Giardina percorre così il tempo in una sorta di
andata e ritorno caratterizzati da durate e tensioni capaci di incessanti
ricambi, di sorprendenti rigenerazioni (…).
D’altra
parte il poeta pecoraio ha
sperimentato sulla propria pelle i cicli vitali della natura, provando anche la
morte in vita. Il poeta, infatti, ha vissuto come una forma di morte
l’afasia e l’arresto del proprio spirito creativo. C’è voluto un
maieuta come Francesco Carbone per risvegliarlo da un lungo letargo. Cosìcchè
si deve, in gran parte, al fondatore di Godranopoli la seconda fioritura della
poesia di Giacomo Giardina, i cui frutti migliori si ritrovano oggi nel volume prima citato, nell’antologia Dante ambulante al mio paese ( ila palma, Palermo 1982) e nella
raccolta di scritti inediti e varianti (1928-1980), intitolata La corona di latta, curata da Aldo
Gerbino (IPSA Editore, Palermo 1995). Carbone ha saputo cogliere, inoltre, un aspetto del Giardina, ignorato da altri:
il lavoro di Giardina contiene, (…), forti
cariche di sobillazione, una ironia sottile e provocatoria, le quali si
incaricano di sommuovere dalla base le lunghe fissità dei contesti
agro-pastorali in cui la sua poesia è nata ed è cresciuta; di scuotere i
precedenti ristagni e gli attuali ibridi conformismi della cultura contadina, i
cui valori e la cui memoria sono sempre state le ragioni portanti della scrittura di Giardina(…).
Non può sorprendere, pertanto, che Ciccino se
lo sia trovato accanto, negli anni settanta, nel suo generoso tentativo di
animazione socio-culturale della comunità godranese.
Francesco
Virga
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