Prendo dall' inserto culturale del 24 Ore di oggi la recensione di Remo Bodei alla nuova edizione italiana del capolavoro di Montaigne.
MONTAIGNE, IL
SISMOGRAFO DELL’ANIMA
di Remo Bodei
«Se gli altri si lamentano perché parlo troppo di
me, io mi lamento perché loro nemmeno pensano a se stessi». Montaigne legittima
così l’ininterrotto colloquio con se stesso durato oltre un quarto di secolo.
Nel presentare la sua particolare versione del precetto delfico «Conosci te
stesso!», non cerca però risposte definitive. Pur sapendo che «ognuno di noi è
più ricco di quanto pensi», pur penetrando nelle «profondità opache delle
pieghe interne» del proprio spirito, pur analizzando una miriade di esperienze
(comprese quelle in apparenza più banali e quotidiane), egli non rinviene
alcuna essenza, alcun autentico nucleo dell’io.
Lasciandosi trasportare dal moto ondoso degli
umori, dei pensieri e delle fantasie, ne osserva piuttosto la natura fluida e
inafferrabile come l’acqua. Sa che il soggetto cambia in ogni istante, che l’io
di ora è diverso da quello di poco fa e che è trascinato lontano da sé dal
perpetuo mutamento del tutto: «Il mondo non è che una continua altalena. Tutte
le cose vi oscillano senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le Piramidi
d’Egitto, e per l’oscillazione generale e per la propria. La stessa costanza
non è altro che un’oscillazione più debole. Non descrivo l’essere. Descrivo il
passaggio: non un passaggio da un’età all’altra o, come dice il popolo, di
sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto».
Come non perdersi e dissolversi in questa
incalzante metamorfosi? Come darsi una qualche consistenza? Come non diventare
preda di un luttuoso senso di caducità e di un paralizzante timore della morte?
Nota acutamente Fausta Garavini che i Saggi «non sono, come si è
creduto e ancora sovente si crede, un breviario di saggezza ben temperata, un
prontuario di morale salutifera, ma lo specchio delle paure e delle difese di
un essere che si scopre frammentario e diversificato». Eppure, proprio grazie a
questi ripetuti tentativi di plasmare l’anima, è possibile aumentare il “peso”
della propria vita, offrendole un baricentro mobile su cui, di volta in volta,
far perno: «con la mia prontezza nell’afferrarla voglio fermare la sua velocità
nel fuggire, e con l’intensità dell’uso compensare la fretta del suo scorrere;
quanto più breve è il possesso della vita, tanto più profondo e più pieno devo
renderlo». Il progetto di registrare attentamente le variazioni del proprio io
nasce in Montaigne dalla constatata labilità dell’esistenza. Nel suo orizzonte
familiare e sociale la morte è onnipresente: delle sue cinque figlie ne
sopravvive una sola, mentre le guerre di religione tra la Lega cattolica e gli Ugonotti
insanguinano la Francia e la peste, la sifilide e il tifo diffondono il
contagio.
Con l’indebolirsi del prestigio delle autorità
politiche e religiose tradizionali, la coscienza degli individui più sensibili
è pertanto costretta a trasformarsi in una specie di Atlante che regge il mondo
sulle proprie spalle, che cerca di soppesare il vero e il falso senza trovare
soluzioni che prescindano dal punto di vista dei singoli. Tutto contribuisce a
minare le certezze, a mettere in dubbio le pretese di verità assoluta, a
rovesciare pregiudizi etnocentrici e antropocentrici confutando l’inferiorità
dei “selvaggi” e ipotizzando un’intelligenza degli animali.
Da simili esperienze e riflessioni trae alimento
lo scetticismo di Montaigne, il suo invito alla tolleranza e il suo ruolo di
mediatore tra le fazioni in lotta, che «con spaventosa impudenza si palleggiano
le ragioni divine», mutandole secondo il variare dei loro interessi. Svolge
questo ruolo non restando super partes, ma da combattente cattolico
contro gli Ugonotti, da temporaneo prigioniero della Lega nella Bastiglia, da
Signore che ospita due volte nel suo castello il capo dei calvinisti, Enrico di
Navarra, e da fratello di Thomas e Jeanne, convertitisi al protestantesimo.
Quando il mondo traballa, anche la vita interiore
oscilla e tende a separarsi dalla vita pubblica. Con i libri della sua
biblioteca Montaigne innalza così un baluardo verso l’esterno: «Bisogna
riservarsi una retrobottega tutta nostra, del tutto indipendente, nella quale
stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra
solitudine». Questo rifugio è tuttavia periodicamente violato dagli obblighi
istituzionali, come la carica di sindaco di Bordeaux, e dalle missioni
diplomatiche.
Per quanto nessun esercizio ci prepari
adeguatamente alla morte («siamo tutti principianti quando ci arriviamo»), la
soluzione che Montaigne elabora negli ultimi anni della sua vita, in contrasto
con la tradizionale meditatio mortis e con l’arcigna austerità della
morale stoica, consiste nella scoperta dei piccoli piaceri che costellano la
vita e che la rendono, malgrado tutto, desiderabile. Assume perciò un
atteggiamento sempre “più disteso” nei confronti della morte, imparando a
frequentare la gioia. Non attendiamo, dice, il termine dell’esistenza, ma
dividiamola in moduli separabili e autonomi: «Il mio piano è scomponibile in
qualsiasi punto; non è fondato su grandi speranze: ogni giornata ne costituisce
il termine. E il viaggio della mia vita procede nello stesso modo». Bisogna
dunque scegliere la confidence avec le mourir contro ogni sua
esorcizzazione, sforzandoci però di individuare zone protette: «Mi ravvolgo e
mi rannicchio in questa bufera, che mi deve accecare e rapire con furia e con
un assalto improvviso e insensibile».
Intesi non come un genere letterario, ma come un
procedimento analogo a quello degli orafi nel valutare la purezza di un
metallo, i Saggi mettono alla prova i pensieri e umori nel loro
incessante variare nel tempo, servendosi come reagenti, per rendere evidenti le
idee e l’espressione linguistica che le ricopre, di innumerevoli citazioni di
autori antichi e moderni. Questa colossale edizione dei Saggi, con il
testo originale a fronte dell’«Esemplare di Bordeaux» (1588), si avvale della
nuova traduzione di Fausta Garavini e dell’imponente apparato critico di André
Toumon. Come volume che inaugura la collana dei «Classici della letteratura
europea», diretta da Nuccio Ordine (una delle poche rimaste sul mercato
italiano), sarà seguito nell’autunno prossimo dalla prima edizione mondiale de La
regina delle fate di Edmund Spencer e dall’unica edizione bilingue in
Europa del Don Chisciotte di Cervantes.
C’è da invidiare chi non si è mai accostato ai Saggi:
leggere Montaigne è una delle maggiori gioie intellettuali che sia dato provare.
Aveva ragione Nietzsche a sostenere che «per il fatto che un tal uomo abbia
scritto, è aumentato il piacere di vivere su questa terra».
Nessun commento:
Posta un commento