Prendo da La Stampa di oggi questo pezzo di Massimo Gramellini:
La dissolvenza della casta
Lavorano tutti per Grillo, ormai.
Per Grillo o per qualcosa di molto peggio, perché dopo giornate come quella di
ieri risulta ancora più difficile (anche se indispensabile) separare la
politica da «questa» politica e la democrazia da «questi» partiti. Cominciamo
dalla Regione Lombardia, dove non è passata la mozione di sfiducia contro il
presidente Formigoni. L’esito era abbastanza prevedibile, avendo il
centrodestra la maggioranza in Consiglio. Quel che non era prevedibile neanche
in una gag di Crozza o in un incubo di Bersani era che al momento del voto il
primo firmatario della mozione contro gli yacht di Formigoni fosse assente
perché impegnato a prendere il sole su una spiaggia greca. Si chiama Luca
Gaffuri, un cognome che è già un indizio.
Hanno fatto apposta a mettere la
mozione ai voti mentre ero in vacanza, si è difeso maldestramente il gaffeur,
capogruppo del Partito democratico. E sì che ne avrebbe avuto di tempo per
esplorare la Grecia: in yacht, in motoscafo e persino in gommone. Ad aprile il
Consiglio regionale lombardo, stremato dagli straordinari della Minetti e del
Trota, si era infatti autoelargito un ponte di tre settimane.
Al Senato di Roma, intanto,
andava in scena il salvataggio del molto onorevole senatore Sergio De Gregorio,
già fondatore dell’associazione Italiani nel Mondo (poveri italiani, ma
soprattutto povero mondo), imputato di bazzecole quali associazione a
delinquere, truffa e false fatturazioni per 23 milioni di euro (tutti soldi
nostri, tranquilli) nell’inchiesta sui fondi pubblici versati al cosiddetto
giornale «Avanti!» di Valter Lavitola. I giudici avevano chiesto l’arresto di
De Gregorio e la giunta per le immunità, schiacciata dall’evidenza dei fatti,
si era dichiarata per una volta d’accordo. Ma nel segreto dell’urna
centosessantanove senatori hanno votato contro il trasferimento in carcere del
sant’uomo. I berluscones sodali suoi, certamente. Ma anche altri che a parole
lo avevano criticato. Chi? Si sospetta di qualche leghista, di qualche
terzopolista e persino di qualche democratico smanioso di ricambiare certi
favori fatti in passato (ricordate il salvataggio di Tedesco?) o fattibili in
futuro: incombe il verdetto del Parlamento sul transito alle patrie galere di
un altro specchiato galantuomo, il tesoriere Lusi.
Sulla torta quotidiana della
Casta mancava soltanto la ciliegiona e a metterla sono stati i pasticcieri dei
tre partiti maggiori, che hanno colto l’occasione delle nomine delle Autorità
(Comunicazioni e Privacy) per dare vita a una famelica e scientifica
spartizione di posti. L’aspetto insopportabilmente ipocrita della faccenda è che
per darsi un tono i partiti avevano sollecitato l’invio dei «curricula» di
alcuni fra i giuristi più prestigiosi, Zagrebelsky su tutti. Naturalmente
nessuno li ha presi in considerazione. Ne hanno fatto carta da cesso, ha
sintetizzato Di Pietro con la consueta brutalità, supponendo ottimisticamente che
li avessero almeno srotolati. Più probabile invece che giacciano intonsi in
qualche cassetto. I nomi giusti erano già stati scelti dai capi bastone nelle
segrete stanze. Alle Comunicazioni vanno amici fidati e benissimo pagati, che
entro sessanta giorni dovranno decidere se assegnare gratuitamente o meno le
frequenze televisive a chi li ha nominati. Mentre a occuparsi di privacy
arrivano la moglie di Bruno Vespa e il democratico Antonello Soro, politico
serio e perbene, ma la cui competenza in materia di informazione e informatica
risulta assai opinabile, trattandosi di un medico specializzato in
dermatologia.
Chissà perché fanno così. Forse
pensano che i cittadini siano stupidi e che a tenerli buoni basti il taglio
ipotetico di qualche auto blu, mentre loro vanno avanti ad autoassolversi e
lottizzare. Ma è più probabile che non possano fare altrimenti e che, con
l’avvicinarsi del giudizio elettorale, la paura si associ al menefreghismo
nell’ispirare comportamenti suicidi. Quello a cui stiamo assistendo impotenti è
il «cupio dissolvi» di una generazione politica.
Massimo Gramellini, La Stampa 7 giugno 2012
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