12 giugno 2012

Kandinsky, astratto sinfonico




Nella Parigi surrealista degli anni Trenta Kandinsky inventa una nuova dimensione spaziale inaugurando un linguaggio che sarà alla base della ricerca artistica degli anni successivi. Ad Aosta una grande mostra ricostruisce quel momento.
Di seguito potete leggere un articolo di Sebastiano Grasso, pubblicato domenica scorsa sul Corriere della Sera,  dedicato alla Mostra.














Kandinsky, astratto sinfonico. Ritratto di un artista «dissonante» in bilico tra la cultura francese e quella italiana

«Tutto ciò che era inerte, fremeva; tutto quello che era morto, riviveva», scrive Wassily Kandinsky (1866-1944), ex docente di Diritto romano all'Università di Dorpat, in Sguardi sul passato (1913). «Non soltanto le stelle, la luna, le foreste, i fiori tanto cantati dai poeti, ma anche il mozzicone nel portacenere, il bottone di madreperla che vi fissa dal ruscello, bianco e paziente, il filo di corteccia che la formica stringe con tutte le sue forze e trascina fra l'erba alta, verso mete indeterminate e importanti (...). Tutto mi mostra il suo volto, il suo essere profondo, la sua anima segreta che tace più spesso invece di parlare. Fu così che ogni punto, ogni linea immota o animata per me diventavano vive e mi offrivano la loro anima. Questo bastò a farmi scoprire, con tutto il mio essere e tutti i miei sensi, le possibilità dell'esistenza di un'arte da determinare e che oggi, in contrasto con l'arte figurativa, è chiamata "arte astratta"».

Dopo Kandinsky e Monaco, Kandinsky e i suoi contemporanei, Kandinsky e la Russia, Kandinsky e i suoi vicini di casa, poteva mancare Kandinsky e l'arte astratta fra Italia e Francia? Certo che no. Ci ha pensato Aosta, che, al Museo archeologico, espone 30 fra olî e disegni del padre dell'astrattismo, un lavoro di Francis Picabia; due di Joan Miró, Gianni Monnet e Mauro Reggiani; tre di Jean Arp, César Domela, Atanasio Soldati, Ettore Sottsass e Sophie Taüber-Arp; cinque di Alberto Magnelli, Piero Dorazio, Luigi Veronesi e Alessandro Mendini; sei di Gillo Dorfles.

In rassegna, anche cinque ritratti di Kandinsky, tutti del 1934, di Florence Henri. Ricostruita la Sala da musica che, nel 1931, all'Esposizione internazionale di architettura a Berlino, aveva delle decorazioni murali in ceramica, disegnate dall'artista russo. Mostra curata da Alberto Fiz.
Rapporti con la Francia. Chiusa dai nazionalsocialisti la Bauhaus di Berlino (l'anno prima era toccato a quella di Dessau), nel 1933, Wassily e la moglie Nina vanno a Parigi prima e poi, su indicazione di Marcel Duchamp, si spostano a Neuilly-sur-Seine, a qualche chilometro dalla Ville Lumiére. Negli undici anni di permanenza — durante i quali va in Usa, Inghilterra, Norvegia, Messico e Italia — Kandinsky incontra Miró, Mondrian, Magnelli, Man Ray, Ernst, i Delaunay, Léger, Brancusi, Arp.

Ed ecco, nella mostra aostana, alcune testimonianze sull'influenza esercitata dal pittore russo su Arp (Il figlio dell'ombelico, Torso-anfora), Domela (Studio, Composizione), Magnelli (Grande viaggio, Coalizione sorprendente), Miró (Uccelli nella notte), sulla Taüber (Sei spazi con croce, Composizione in un cerchio) che, nel '38, ottiene la cittadinanza francese.

Già nel 2007, a Palazzo Reale di Milano, Luciano Caramel aveva curata la mostra Kandinsky e l'astrattismo in Italia 1930-1950. A parte le vacanze a Genova, Firenze, Pisa e Forte dei Marmi, Kandinsky nell'aprile-maggio 1933 espone alla Galleria del Milione a Milano.

Dopo la morte, la Biennale di Venezia gli dedicherà una sala personale (1950). Sono proprio queste presenze a stimolare interessi e confronti degli artisti di casa nostra, soprattutto di quelli di Forma 1 e del Mac (Movimento arte concreta). Valga per tutti, ad Aosta, l'esempio di Trenta (1948) di Atanasio Soldati, che riprende, persino con lo stesso titolo, un'opera di Kandinsky del '37. O, ancora, Sviluppo orizzontale di una cornamusa dolcissima, Il ponte di Carlo, Prometeo, La comunicazione di Dorazio. E che dire delle Metamorfosi di Monnet, della Composizione con più figure e del Giardino di Dorfles, delle Composizioni di Reggiani, dei Motivi astratti di Sottsass? E, su un altro piano, dell'«arte applicata» di Mendini? Si vedano Kandissi, Kandissa e Kandissone, rispettivamente divano, specchio e arazzo.

Un discorso a parte meritano le Composizioni di Veronesi. Come Kandinsky, Veronesi considera pittura e musica un tutt'uno. L'artista russo lo aveva scoperto ascoltando il Lohengrin di Wagner. «I violini, i profondi toni dei bassi e, soprattutto di quell'epoca, gli strumenti a fiato, rendevano per me tutta la forza di quell'ora pre-notturna — ricorderà nel suo Ruckblike —. Vidi nella mente tutti i miei colori; erano lì davanti ai miei occhi: linee selvagge, quasi pazze. Non mi permettevo di credere che Wagner avesse descritto musicalmente "il mio momento". Mi divenne comunque chiaro che i dipinti potevano sviluppare la stessa forza che aveva la musica».

E, volendo Kandinsky la «presa diretta», optava maggiormente per l'acquerello, perché riusciva a realizzare quel «ritmo pittorico» che per lui difficilmente l'olio era in grado di dare con altrettanta rapidità. Wagner, ma anche Stravinsky, Prokof'ev e, soprattutto, Schönberg. Da qui una serie di opere, soprattutto dedicate alla natura, da lui stesso definite «sinfoniche»: Studi, Impressioni, Improvvisazioni, Composizioni. Che, per Will Gromann, si potrebbero paragonare all'oratorio Le stagioni di Haydn. Armonia e ritmo portano Kandinsky verso una concezione del colore come suono, in cui dominano, gradualmente, l'azzurro, il rosso, il giallo.

Musicalmente dissonanti, piuttosto che armonici, sono i poli fra i quali, d'ora innanzi, andrà la sua pittura: «Mi sembrava che l'anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale quando l'inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita. Sentivo, a volte, il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano». L'angelico poeta di cieli astratti Veronesi non poteva che sottoscrivere.

Sebastiano Grasso, Il Corriere della sera 10 giugno 2012


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