01 febbraio 2021

IN MEMORIA DI DOMENICO CARRARA


“LA VITA NUN TENE CREANZA”. IN RICORDO DI DOMENICO CARRARA

di Alfredo Palomba

È come se cambiasse la qualità dell’aria, quando muore un amico. Poi tutto si normalizza, l’aria torna quella di sempre, l’aria stanca, l’aria soddisfatta, l’aria piena di sé, l’aria che a volte non hai il tempo di inspirare ed espirare ma che è la tua, quella che riconosci, che invecchia con te. L’aria, nel bene o nel male, di tutti i giorni. Ma, per un po’, l’aria cambia, e ti ritrovi in bocca e in testa qualcosa di più rarefatto, che rende più rarefatto il contorno di ciò che fai, delle cose che dici e scrivi, delle relazioni, del chiacchiericcio quotidiano. Perfino il caffè, che prepari apposta pesante, caricando la macchinetta oltre il pensabile, perché devi bertelo quasi bruciato, perfino il caffè è un’acquetta e ti viene di maledirlo e poi maledici l’amico che è morto, rovinandoti il caffè, e la giornata, e le giornate prima.

Perché l’amico non si limita a morire. L’amico comincia a rarefare la tua aria sparendo, all’improvviso, una domenica. Vieni a sapere della sua pensata gloriosa attraverso le notizie sui giornali locali, e complimenti, pensi, complimenti davvero, Dome’. Una passeggiata in Valcamonica, pensi, una passeggiata tra i boschi, in montagna, proprio una grande idea del cazzo, il 24 di gennaio, poi. Senza esperienza, senza attrezzatura, senza conoscere il posto, senza nemmeno il cellulare. Un poeta che se ne va in giro per i monti, manco fossi Thoureau, manco fossi Chris McCandless, Dome’, ché poi Chris McCandless ci è morto pure lui, per fare il romanticone, è morto in un pullmino nel bel mezzo dell’Alaska e chissà a quanti ha rarefatto l’aria, come hai fatto tu con me e con un sacco di altra gente.

Ma poi, questa manfrina del poeta silenzioso che muore da solo, all’improvviso, nel silenzio, appunto. Tutta questa coerenza del cazzo. Invece di comprarti una tv, farti un abbonamento a Netflix, guardarti Breaking Bad, “toccare le femmine, andare a rubare” come le persone normali.

Nemmeno riesco a pensarci, a te in fondo a quel dirupo.

Per tutti questi giorni, pochi, in verità, in cui per noi sei stato sospeso tra la vita e la morte, io ho sperato che fossi diventato pazzo, che avessi preso e te ne fossi andato a barboneggiare da qualche parte, facendo perdere le tue tracce, troppo impazzito per pensare alla tua famiglia e ai tuoi amici che se la facevano addosso per la paura. Tanto a un pazzo si perdona tutto e il pazzo, prima o poi, lo si ritrova – ché tanto tu eri un poeta, ti avremmo ritrovato subito, non siete una razza di furbi, voialtri – lo si riporta a casa, lo si cura e, nel frattempo, si va a trovarlo e gli si portano i cioccolatini e lo si compatisce un po’. Io ho sperato che tu fossi solo uscito di testa e invece eri in un burrone e allora, sembra così assurdo, sono arrivato ad augurarmi che tu sia morto subito, che ti sia spezzato il collo cadendo, che non abbia avuto il tempo di renderti conto di nulla. Non so pensarti solo, in agonia, al buio e al freddo, senza poter chiedere aiuto a nessuno, terrorizzato, non posso pensarci eppure eccoci qui, grazie, Dome’, ti ringrazio per avermi rovinato anche questa impossibilità. Con l’elicottero, ti hanno dovuto recuperare, alla faccia del poeta silenzioso e dimesso.

Un orrore, amico mio, te lo dico con tutta la sincerità che posso, dal fondo della mia aria rarefatta: questa storia è un orrore e io non so se sarò disposto a perdonarti presto, è una settimana che per colpa tua bevo solo caffè di merda e ho questo sasso nello stomaco che non va né su né giù. Il mio amico scrittore Davide Morganti ha detto, parlando della tua morte schifosa, “La vita nun tene creanza”. Poi ha aggiunto che eri “nu bellu guaglione” e di sicuro tenevi un sacco di femmine, e pure per questo è una tragedia. Franco Arminio invece ha scritto che dovevi morire per vedere il tuo nome pubblicato sui giornali. Boh, io preferisco la versione di Davide, a ogni modo una tua poesia qui ce l’allego, perché è bella ed è come te, anche se a te ormai non cambia più nulla.

Vorrei avere gli occhi
di tutti gli schiacciati,
dei cacciati dagli altri,
dei mai adeguati, dei
fraintesi e degli offesi,
dei privati di riposo,
dei morti d’indifferenza
o d’arroganza o fretta.
Vorrei avere quegli occhi
sbarrati e un po’ randagi,
farne quasi una bandiera,
la speranza di un riscatto;
non in un mondo a venire
ma nei giorni che cammino,
quelli che scappano di mano,
quelli che appena sfioriamo.

Ora quegli occhi ce li hai, Dome’, contento tu. Io però preferivo i tuoi.

Pezzo ripreso da    pubblicato domenica, 31 Gennaio 2021


Nessun commento:

Posta un commento