Casa Sanguineti
Articolo ripreso da https://life.unige.it/edoardo-sanguineti
Sopravvivono, non so, / ma dieci frasi, forse
In una delle poesie di Postkarten, la 24, Edoardo Sanguineti, partendo dal ricordo del padre «ho insegnato ai miei figli che mio padre è stato un uomo straordinario: (potranno / raccontarlo, così, a qualcuno, volendo, nel tempo)», arriva a definire in cosa consista davvero la sopravvivenza dell’essere umano.
Per lui, materialista storico e foscoliano convinto e anche, ovviamente, letterato e studioso di letteratura, l’autentica sopravvivenza, o almeno quella a cui possiamo ambire, sta tutta e solo nel ricordo delle parole che sono state pronunciate: «di un uomo sopravvivono, non so, / ma dieci frasi, forse (mettendo tutto insieme, i tic, / i detti memorabili, i lapsus): / e questi sono i casi fortunati».
Un uomo ideologico
Di Edoardo Sanguineti (di cui nel 2020 ricorrono, nel contempo, il primo decennale della morte e il nono della nascita) sono certo ben più di dieci le frasi che ricordano coloro che hanno avuto modo di incontrarlo nei lunghi anni delle sue innumerevoli attività. Perché memorabili non sono stati solo i suoi corsi universitari, le formulazioni critiche contenute nei suoi saggi e, naturalmente, le sue poesie: era memorabile con lui anche la semplice conversazione, quella con noi studenti a fine lezione, nel suo studio o nel bar. Perché era nelle conversazioni che Sanguineti riusciva a esprimere meglio quella curiosa miscela di gentilezza e distacco ironico che lo caratterizzava e che era segno non solo di una cultura ma anche, come appunto lui voleva, di una ideologia. Perché Sanguineti era uomo ideologico: «sono un chierico rosso, e me ne vanto» (Postkarten 60), nel senso più pieno della parola, non si limitava a registrare il reale, voleva capirlo e interpretarlo in tutte le sue manifestazioni, quelle economiche e politiche come quelle artistiche, dalla letteratura alle arti visive, dalla musica al cinema.
Collège de "Pataphysique"
Da Genova a Torino, Salerno e poi di nuovo Genova
A Genova era nato il 9 dicembre del 1930, in Salita di Santa Maria della Sanità: «Non ho mai visto la strada di Genova in cui sono nato [...]: solo una volta sono giunto all’attacco della sua salita, ma non mi sono spinto oltre», ricorderà nel 2003 in una breve nota dedicata alle strade genovesi. Ma si era trasferito subito a Torino, a soli quattro anni, ed è stata Torino la città della sua formazione culturale, dei suoi studi, delle sue amicizie, degli inizi della carriera universitaria (sotto la guida di uno studioso per molti versi così distante da lui come Giovanni Getto) e del suo esordio capitale come poeta con la raccolta Laborintus (1956). A Genova ci tornò solo nel 1974, dopo una parentesi di sei anni a Salerno, come professore ordinario di Letteratura italiana e c’è rimasto, appunto, sino alla morte. E sono proprio gli anni genovesi quelli dei suoi frequentissimi viaggi dentro e fuori l’Europa, le cui tracce si depositano sempre più numerose nella sua poesia.
Su magazzinosanguineti.it moltissimi dettagli sulla vita e le opere di Edoardo Sanguineti.
Poeta on the road
Fa un po’ strano pensarlo in questi termini a chi ne ha conosciuto l’eleganza inappuntabile (ne era rimasta affascinata Inge Feltrinelli, raccontava, sin dal loro primo incontro). Persino i suoi ultimissimi versi, quelli che oggi chiudono la raccolta postuma Varie ed eventuali (2010) e che sono stati scritti solo pochi giorni prima della morte avvenuta il 18 maggio 2010, sono versi in viaggio, indirizzati all’amico e poeta Nanni Balestrini: «caro Nanni, ritorno da Bologna: / ti scrivo qui, dall’autostrada, in fretta», il compagno di strada nella neoavanguardia, nell’antologia I Novissimi (1961) e poi nella fondazione del Gruppo 63.
E proprio il viaggiare, anche in senso simbolico, era davvero la cifra caratteristica della sua impostazione di studioso, insieme alla curiosità davvero onnivora verso la cultura in tutte le sue possibili manifestazioni (non a caso nel suo Atlante del Novecento italiano del 2001 trovava spazio un grande padre dell’antropologia culturale come Ernesto De Martino). Sanguineti poteva quindi affrontare con lo stesso inappuntabile rigore filologico e critico un poeta eccentrico e da molti dimenticato come il suo amatissimo Gian Pietro Lucini e una istituzione riconosciuta come Dante, a cui aveva dedicato la sua tesi di laurea. E allo stesso modo, poi, poteva apparire nella campagna pubblicitaria di una marca di jeans (e sospettiamo sia stata forse l’unica volta in cui ne ha indossato un paio) o aprire, leggendo le sue poesie, un concerto di Elio e le Storie Tese.
Classico e novità: ogni testo ci parla
Anche il professor Sanguineti era, nei suoi corsi universitari, un viaggiatore e un onnivoro. Gli argomenti trattati nelle lezioni erano tradizionalmente sempre due, prima un classico (magari un classico minore o minimo), poi qualcosa uscito proprio in quei mesi in libreria (Palomar di Calvino o una raccolta di articoli di Manganelli: erano ben frequentate, in quegli anni, le librerie).
Queste due parti però non erano giustapposte ma complementari. La formula su cui tutti noi, suoi allievi, siamo cresciuti, ovvero che ideologia e linguaggio sono sinonimi, voleva proprio dire questo: che ogni testo ci parla comunque, attraverso il linguaggio e lo stile che utilizza, della realtà storica e culturale che lo ha generato, e che proprio per questo non possono esistere testi irrilevanti o addirittura muti.
«La strada di Genova che, naturalmente, più conosco è via Balbi, sede dell’Università. Vi ho passato tanto tempo della mia vita, variamente percorrendola e sostando»: proseguivano così quelle righe che citavamo prima dedicate alle strade di Genova.
A via Balbi Sanguineti ha dedicato una delle sue poesie più famose e terribili:
Stracciafoglio 13
io sono qui che mi interrogo ancora sopra il significato che si può assegnare
alla ragazza bella, lunga, bianca di bianca cera, che ci è rotolata al rallentatore, giù
per la scalinata della Biblioteca Universitaria, un mattino, in via Balbi, frantumandosi
molle, gradino dopo gradino, colorandosi di ecchimosi, paralizzandosi e paralizzandoci
nel sangue, ai nostri piedi esterrefatti, muta:
certo, voleva (e vuole) dire
qualcosa, a noi due, che non afferrò più: (e che la Croce Verde ci ha cancellato, e basta):
Edoardo Sanguineti
Nel profondo, c’era questo sentimento di sgomento
«Nel profondo, c’era questo sentimento di sgomento», così si autocommentava Sanguineti. La caduta «al rallentatore» della giovane ragazza veniva allegoricamente a indicare tutte le tensioni degli anni di piombo (la poesia è del marzo 1979), nello stesso momento in cui Sanguineti sceglieva la strada dell’impegno politico diretto e veniva eletto deputato come indipendente del PCI.
Sarebbe bello oggi, in tempi così diversi ma non meno pieni di sgomento, che la città e l’Università decidessero di dedicargli in via Balbi una targa, magari proprio questi versi.
Video di letture di poesie di Edoardo Sanguineti
Sul canale YouTube della Biblioteca Universitaria di Genova, due video di letture del poeta, a cura, tra gli altri, anche di docenti e dottorandi dell'Università di Genova in collaborazione con la Biblioteca Universitaria di Genova, dove è conservata la biblioteca di Sanguineti.
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