17 febbraio 2022

L' UOMO VITRUVIANO VISTO DA ARIANNA BONINO

 




Ho il sospetto che non capiti solo a me, ma praticamente quando cerco qualcosa nella mia borsa, nel cruscotto della macchina o sul fondo di un cassetto, pare davvero che l’orizzonte degli eventi di un gigantesco e insondabile buco nero abbia trovato il suo habitat naturale nei contenitori di cui sopra e che tutto ciò che ci cade dentro - negli anni - venga risucchiato in una dimensione inesplorabile e misteriosamente magnetica. Ogni tanto la voragine risputa fuori qualcosa, in genere in modo inappropriato.

Stamattina ero alla ricerca delle chiavi dell’auto e rimestavo nella borsa senza guardare, affidandomi al solo tatto, che, a quanto pare, è dotato di spiccata fantasia e senso dell’umorismo, dato che ogni santa volta fa emergere da quel porto sepolto cianfrusaglie insospettabili e del tutto inutili alla bisogna.

Ed ecco che mi capita tra le dita una moneta, un euro: niente di stravagante, ci mancherebbe. Solo che, forse per la prima volta, mi sono soffermata un attimo ad osservarlo come si deve: lui, l’uomo vitruviano.

In effetti mi capita tra le mani praticamente tutti i giorni e mi guarda dritto negli occhi dalla sua dinamica apertura alare, ma non l’avevo mai preso in considerazione di per sé. Eppure quel giovanotto ha attraversato indenne i secoli e ho idea che farà ancora molta strada.

Erano i primi anni dell’ultimo decennio del Quindicesimo secolo quando Leonardo disegnò il famoso uomo vitruviano. L’evento coincide – quasi profeticamente - con la fine di un’epoca. Meglio, sembra proprio segnare l’inizio di una nuova era, inizio storicamente attribuito alla scoperta dell’America: nasceva così l’Età Moderna.

L’uomo vitruviano in realtà non è un’opera imponente per dimensioni: misura 34,3 x 24,5 centimetri, poco più di un comune A4, in pratica. Ma la sua grandezza non è certo un fatto dimensionale.

Leonardo decide di rielaborare un antico simbolo, quello appunto dell’uomo inscritto nel cerchio e nel quadrato, anche se poi il suo restyling finisce per essere una vera rivoluzione della rappresentazione convenzionale della figura umana.

A questo punto, è doveroso andare fino in fondo (o in cima, forse), dato che non tutte le cose spariscono in voraci buchi neri: Vitruvio, quindi. Architetto e storico vissuto poco prima di Cristo, Marco Vitruvio Pollione nei dieci libri che compongono il corpo del suo celebre “De architectura”, dedicato ad Augusto, e precisamente nel primo capitolo del terzo libro ha lasciato un’ampia descrizione delle misure dell’uomo espresse secondo le convenzioni della metrologia antica: il “centro” dell’uomo nel suo ombelico e con un compasso ideale puntato su tale centro si definisce in un tratto il cerchio in cui la figura sarà inscritta, una circonferenza che tocca tangenzialmente le dita di mani e piedi aperti. E questo è l’homo ad circulum.

Ed è sempre Vitruvio che indica come trovare anche l’homo ad quadratum: esattamente come accade nel quadrato tirato a squadra. Il testo di Vitruvio muove da tre concezioni decisive:

la misurazione antropomorfica basata sul sistema greco

la geometria, della quale è metafora l’immagine dell’uomo inscritto nel quadrato e nel cerchio

la centralità di alcuni strumenti architettonici (squadra e regolo).

Quindi Leonardo ha rielaborato il modello antropometrico con l’intento di dare la sintesi scientifica perfetta di tutte le misure fisiche dell’uomo in modo da permettere all’artista che voglia di poterlo rappresentare in modo ineccepibile e ideale.

Dati, strumenti, regole: ed ecco una perfetta anatomia che prende forma. Come lo sappiamo? Dalla lunga e specifica didascalia che Leonardo ha dedicato al suo disegno:

«Vetruvio, architetto, mette nella sua opera d’architectura, chelle misure dell’omo sono dalla natura disstribuite in quessto modo cioè che 4 diti fa 1 palmo, et 4 palmi fa 1 pie, 6 palmi fa un chubito, 4 cubiti fa 1 homo, he 4 chubiti fa 1 passo, he 24 palmi fa 1 homo ecqueste misure son ne' sua edifiti.

Settu apri tanto le gambe chettu chali da chapo 1/14 di tua altez(z)a e apri e alza tanto le bracia che cholle lunge dita tu tochi la linia della somita del chapo, sappi che ‘l cientro delle stremita delle aperte membra fia il bellicho. Ello spatio chessi truova infralle gambe fia triangolo equilatero. Tanto apre l’omo nele braccia, quanto ella sua altezza. Dal nasscimento de chapegli al fine di sotto del mento è il decimo dell’altez(z)a del(l)‘uomo. Dal di sotto del mento alla som(m)ità del chapo he l’octavo dell’altez(z)a dell’omo. Dal di sopra del petto alla som(m)ità del chapo fia il sexto dell’omo. Dal di so pra del petto al nasscimento de chapegli fia la settima parte di tutto l’omo. Dalle tette al di sopra del chapo fia la quarta parte dell’omo. La mag(g)iore larg(h)ez(z)a delle spalli chontiene insè [la oct] la quarta parte dell’omo.

Dal gomito alla punta della mano fia la quarta parte dell’omo, da esso gomito al termine della isspalla fia la octava parte d’esso omo; tutta la mano fia la decima parte dell’omo. Il membro virile nasscie nel mez(z)o dell’omo.

Il piè fia la sectima parte dell’omo. Dal di sotto del piè al di sotto del ginochio fia la quarta parte dell’omo. Dal di sotto del ginochio al nasscime(n)to del membro fia la quarta parte dell’omo. Le parti chessi truovano infra il mento e ‘l naso e ‘l nasscimento de chapegli e quel de cigli ciasscuno spatio perse essimile alloreche è ‘l terzo del volto »

Ma non di sola carne è fatto l’uomo.

Ci sono le emozioni, i sentimenti, i pensieri che, guarda caso, si vanno ad affollare sul viso, la parte “meno fisica” del corpo, forse proprio perché sede di specifiche strumentazioni destinate alle svariate forme della comunicazione.

Ora: esistono reti neurali in grado di riconoscere i singoli dettagli della foto di un viso, di raccoglierli come dati e di raffrontarli con le informazioni precedentemente immesse nel sistema di AI. Il risultato è che la rete neurale, attraverso questa elaboratissima, operazione, è capace di scovare le emozioni che il proprietario di quel volto stava provando in quel momento e magari “rispondere” coerentemente.

L’uomo vitruviano è il modello sovrapponendo al quale la nostra anatomia, riusciamo a calcolare lo scarto che ci separa dalle proporzioni di un prototipo perfetto.

Mi chiedo se questo metodo possa valere anche per cose apparentemente meno fisiche e le nuove frontiere dell’AI si muoverebbero proprio in questa direzione: analizzare l’emozione, ridurla - o meglio ricondurla - ad un criterio scientifico di individuazione, a quanto pare.

Però, in fondo, come la bellezza fisica sfugge in un’ultima analisi a criteri assoluti e totalmente univoci di definizione, forse ancor più sfuggente è la fotografia delle emozioni leggibili in un volto.

Oppure è solo una questione di tempo e attraverso una fotografia sarà davvero possibile non solo stabilire quanto sia bello il soggetto ritratto, ma anche quanto sia felice, innamorato, nostalgico.

Come sempre mi perdo dietro a mille pensieri, esattamente come le chiavi si sono perse chissà dove. Adesso mi tocca rovesciare la borsa sul tavolo, sperando che quel maledetto buco nero le sputi fuori e che lo faccia in fretta o dovrà vedersela con me, il burlone…certo che però delle volte anche lui non scherza: adesso ha sputato fuori lo specchietto per il trucco che si è aperto sul tavolo, accanto ad un accendino e qualche caramella ormai démodé. La mia faccia si riflette lì dentro e mi accorgo che davvero la dice lunga.

Se la vedesse una rete neurale saprebbe di sicuro dare subito un nome a queste emozioni: asterischi, caro Vitruvio.

Asterischi.

ARIANNA BONINO



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