Perché ora serve il teatro
Francesca ContiniIl teatro è fatto di corpi, di incontri, di accoglienza. E di molte domande. Scrive Francesca Contini, attrice e regista: “Mi sono chiesta perché i primi luoghi a pagare un prezzo altissimo sono stati quelli della cultura…. Perché il primo green pass agostano vietasse a molti minorenni di accedere a uno spettacolo di burattini all’aperto o a un sito archeologico… Ora mi chiedo perché chi è privo di super green pass e ha 12, 13, 14, 15, 16, 17 anni non può entrare in un teatro, in una biblioteca pubblica, in un cinema, a visitare una mostra. Mi sono chiesta e arrabbiata in modo furibondo quando, legittimati di fatto da norme modificate durante la pandemia sul diritto di manifestare, il 28 gennaio i poliziotti hanno manganellato e spedito all’ospedale le ragazze e i ragazzi delle scuole superiori a Torino, Milano e Napoli. Ma le avete viste le immagini?”
Il teatro è fatto di corpi, voci, sguardi e respiri di persone che condividono lo stesso spazio. Il teatro è lo spazio dell’incontro, tra passato e presente, tra reale e fantasia, tra emozione e ricerca. Ma il teatro è sempre anche un progetto, un ponte gettato verso il futuro e verso l’altro. Il teatro sembra a molti un fatto anacronistico in questa realtà ipnotizzata dal virtuale e da una sensorialità che vuole stimolare soprattutto il puro mentale (pensiamo agli enormi investimenti economici che riguardano il mondo del metaverso, ormai sulla bocca di tutti quelli che contano).
Un inciso: io credo che proprio per questo il teatro sopravviverà. Apre uno spazio magico, denso, poetico e, soprattutto, potente. Uno spazio di resistenza umana. Uno spazio che potrà a continuare ad essere occupato da tutti, anche da quelli che hanno poco o niente. Anche da quelli che non contano. Forse dovrà uscire dalle sale in cui l’accesso è consentito a persone in grado di pagare biglietti salati. Dovrà inventare forme diverse di rappresentazione o recuperare quelle antiche più popolari. Fine dell’inciso.
Durante la pandemia ci simo visti costretti a optare per soluzioni in rete per portare avanti e concludere i percorsi intrapresi con i partecipanti dei nostri laboratori teatrali. Ho avuto da subito la sensazione che, per me, quella fosse una soluzione posticcia, da accettare solo e esclusivamente in una condizione di reale emergenza. L’abbiamo fatto quasi tutti nel 2020, nel primo lockdown. Ore e ore di fronte a innumerevoli rettangolini che contenevano altrettante facce. Ma nel 2021, con il secondo lockdown, la misura era già colma. L’unico laboratorio che ho portato avanti a distanza durante quel periodo l’ho gestito chiedendo ai partecipanti di spegnere le telecamere. Non ne potevo più di quell’estetica standardizzante, onnipresente e che rendeva tutte, tutti e tutto simile. Mi respingeva. Invece le voci, le improvvisazioni visionarie che emergevano dallo schermo nero avevano più senso. Devo ringraziare le e i partecipanti che si sono fidati e mi hanno seguita perché l’esito di quel lavoro è stato “Da_Krapp” uno spettacolo in presenza, presentato al Cinema Teatro Rondinella di Sesto San Giovanni nel mese di ottobre 2021, in cui tutta la voglia di incontrarsi è esplosa dando luogo a un risultato a detta di molti spettatori che sono riusciti a vederlo, molto emozionante. Nello spettacolo trattavamo di solitudine e di clausura e di memoria e di desiderio…
Durante questo periodo di pandemia sono piena di dubbi e lontana da qualsiasi certezza. Mi sono posta e continuo a pormi molte domande. Procedo un po’ a caso nel fare riaffiorare le domande.
Mi sono chiesta perché i primi luoghi a pagare un prezzo altissimo sono stati quelli della cultura, già fiaccati da anni di indifferenza all’interno delle decisioni economiche e politiche del nostro paese. Mi sono chiesta perché il primo green pass agostano vietasse a molti minorenni di accedere a uno spettacolo di burattini all’aperto, o ad un sito archeologico, o ad un qualunque luogo di cultura all’aperto ma gli permettesse di accedere ai tavoli di una pizzeria o di un ristorante. Ora mi chiedo perché chi è privo di super green pass e ha 12, 13, 14, 15, 16, 17 anni non può entrare in un teatro, in una biblioteca pubblica, in un cinema, a visitare una mostra e, oltretutto, viene discriminato in classe con trattamenti personalizzati. Facciamo un esercizio teatrale. Chiudiamo gli occhi e ricordiamoci come ci sentivamo a quell’età e a come ci saremmo sentiti se ci fossimo trovati nella situazione che stanno vivendo loro.
Mi interrogo sulla legittimità di applicare una norma di questo tipo anche a persone adulte (ormai una risicata minoranza) che per vari motivi non sono in possesso del super green pass. Amesty International ha recentemente affrontato la questione prendendo posizione in relazione alla legittimità di queste norme (1).
Mi sono chiesta e arrabbiata in modo furibondo quando, legittimati di fatto da norme modificate durante la pandemia sul diritto di manifestare, venerdì 28 gennaio i poliziotti hanno manganellato e spedito all’ospedale le ragazze e i ragazzi delle scuole superiori a Torino, Milano e Napoli. Ma le avete viste le immagini? Io non ci ho dormito e non riuscivo a parlare d’altro. Se non avete visto le immagini qui le potete vedere e non dormirci nemmeno voi (2, 3).
Ma torniamo al teatro. Mi chiedo perché si spinga il virtuale, anche attraverso le ridicole piattaforme pseudo-governative, come soluzione per il teatro anche per un ipotetico futuro in cui la “sicurezza” avrà il primo posto nei confronti di tutto il resto, della relazione, dei baci, degli abbracci, dell’incontro con lo sconosciuto e, perché no, anche del rischio che l’incontro necessariamente può avere. Indosseremo dei simpatici occhiali e ci godremo l’illusione della presenza restando seduti ognuno nel suo comodo e sicuro salotto? Attenzione, sembra fantascienza, ma per il cinema la cosa sta già accadendo e lo dimostrano i dati che evidenziano il calo drastico del pubblico in sala.
Il teatro, quello che piace a me e cerco di praticare, accetta il rischio e in parte ne è attratto. Il teatro che piace a me non può avere luogo nel virtuale. Sento che il teatro sopravviverà. Continuerà a dare senso alle persone che lo fanno, che lo vivono, che lo cercano. Sopravviverà a costo di tornare ad essere piccolo, nascosto, clandestino. Durante questa pandemia ho avuto la fortuna di poter continuare a provare. È stato lo spazio di maggiore libertà, maggiore progetto, maggiore emozione. Maggiore speranza mentre là fuori imperversava, e tuttora imperversa, un clima di terrore e una comunicazione che ci divide sempre di più e non propone speranza. Nessuna speranza per chi non è ricco. I ricchi, si sa, se la cavano sempre in qualche modo. Possono permettersi molte cose, anche chiudersi in un bunker nella peggiore delle ipotesi. Con le loro scorte d’acqua e di cibo… (4, 5). Ora però mi rilasso, respiro e penso che io non invidio i potenti. Non vorrei mai essere come loro. Non vorrei mai avere un bunker privato. Preferisco la “mia stanza tutta per me”, fragile, libera, con del tempo a disposizione per creare, oziare o divagare, se il mio processo me lo chiede. Preferisco avere un tempo e uno spazio in cui non dover essere necessariamente “performante a livello produttivo” o “assolutamente sicura”. Uno spazio che possa accogliere gli altri. Anche se pochi. Anche in attesa. Coltivando, in questa attesa che si fa attiva, quello che da sempre dà senso al teatro e forse alla vita stessa: l’incontro.
Francesca Contini, attrice e regista
Qui per sapere qualcosa di più di Francesca Contini: http://continifrancesca.blogspot.com/p/bio_19.html?m=1
Note 1- https://www.amnesty.it/posizione-di-amnesty…/2- https://www.ilfattoquotidiano.it/…/morte-di…/6472339/3- https://www.torinotoday.it/…/scontri-studenti-arbarello…4- https://valori.it/bunker-e-evacuazioni-cosi-gli-ultra…/ 5- https://www.corriere.it/…/apocalisse-lusso-senza..
Fonte: Goccia a goccia. A scavar pietre e nutrire arcobaleni
Articolo ripreso da https://comune-info.net/perche-ora-serve-il-teatro/
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