“Lo spostamento verso il rosso” di Aleksandr Skidan #1
[A partire da oggi presento in tre parti il componimento Lo spostamento verso il rosso di Aleksandr Skidan, tradotto da Elisa Baglioni, che ha curato il volume La poesia è secondaria. Poesie scelte (Quodlibet, 2022), da cui è tratta anche la nota introduttiva. ot]
A cura di Elisa Baglioni
Aleksandr Skidan è un intellettuale di spicco della Russia contemporanea. Nato a Leningrado nel 1965 si è affacciato al mondo letterario negli anni spasmodici del crollo dell’URSS e dell’avvio alla fase neoliberista. Critico raffinato, le sue riflessioni sulla poesia russa di fine millennio si possono leggere nell’intervista-conversazione contenuta originariamente nel volume La poesia è secondaria, da cui è tratto anche il testo qui presentato.
Le posizioni estetiche di Skidan sono strettamente legate ai cambiamenti sociali e storici in corso. L’immaginario lirico, per il poeta pietroburghese, è minacciato dalla logica conformante del tardo-capitalismo e da un sistema ideologico repressivo giunto in Russia sotto le mentite spoglie di una terra promessa, eppure, in questa apparente terra inospitale e desolata si salva uno spiraglio che apre a nuovi spazi lirici, tessuti variegati di connessioni fonosimboliche, ritmiche occasionali di versi a misura fissa, echi distorti delle voci del passato letterario. Nelle poesie che compongono la raccolta Lo spostamento verso il rosso (2005) la realtà esterna si impone con violenza nel vissuto, quella violenza che Skidan rappresenta attingendo a linguaggi alieni alla lirica, come se il lessico burocratico, il linguaggio analitico della filosofia e quello critico letterario soffocassero ogni possibilità di rappresentazione. Nella poesia Lo spostamento verso il rosso, che dà il titolo alla raccolta con cui ha vinto il prestigioso premio Belyj nel 2006, la scomparsa dell’amica A., morta suicida, è raccontata da un io che non può fare a meno di parlare con la voce delle opere di Dostoevskij, Blok, Benjamin, Nietzsche e Derrida, negandosi la possibilità del racconto autentico del lutto. In controluce compaiono gli elementi della tradizione poetica pietroburghese: nella descrizione di una Pietroburgo post-apocalittica, relitto e reliquia, nel paesaggio desolato di alcuni luoghi simbolo della città, come la prospettiva Nevskij, frequentata da una risma di personaggi privi del fascino che un tempo incantava i passeggiatori gogoliani e nella vocazione cosmopolita dei riferimenti letterari.
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Lo spostamento verso il rosso
Questi ingressi di case paiono sepolcri saccheggiati.
Tombe invase e profanate dalla porta di servizio della storia – in un’epoca che di per sé è già morta e sepolta.
Altri producono l’impressione di labirinti, le cui fughe portano ai ricordi affaldati del periodo glaciale.
La doppia esposizione consente di scoprirne la natura trasparente, allucinatoria.
Si distaccano dalla retina alla stregua di intonaco logoro e crepato, sul quale appaiono strati geologici recenti.
In successione, sulla patina fluttuante dei contorni che colano e non fanno in tempo, non sono in grado di comporre un’immagine, lo sguardo si sofferma su stigmate di una trasparenza irradiante, quasi della vuotezza.
Così il tempo compie un giro della morte.
E insieme alla lenta infiltrazione nella pupilla della sua sostanza vischiosa, densa, la storia inizia a coincidere con la propria origine: la violenza.
Il punto di cristallizzazione.
La solidificazione messianica del corso degli eventi.
Disincarnarsi qui equivale a recuperare la vista.
La cicatrice splendente di magnesio che cuce i suoi brandelli deformati.
L’eco, che si separa dall’umida natura della voce e si disperde nell’acqua stagnante dell’amnesia. I relitti di un’espropriazione generale.
Fra poco questi ingressi acquisiranno tutt’altro aspetto.
Il cordoglio passerà di moda (è già passato).
Siamo di fronte agli ultimi bagliori della verità storica – alle sue rovine.
Il continuum della storia deve saltare in aria.
[…]
testo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2023/07/22/skidan-1/
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