20 luglio 2023

ANTIGONE, un libro immortale che non finisce mai di stupire

 


Esce domani per Mimesis L’Antigone. Recitativo per voce sola di Stefano Raimondi. Ne proponiamo in anteprima i primi dieci frammenti, ripresi da https://www.leparoleelecose.it/?p=47329

 

1.

 

Provengo da due fori obliqui nelle caviglie del padre. Edipo era il suo nome. Un nome paesaggio; un nome di terra e di sangue; un nome tenuto lontano, incastrato tra le rocce; un nome ceduto dalla paura, dalla violenza del sangue. Un sangue mischiato nella vicinanza: troppa per essere giusta, nulla per essere buona.

 

  2.

 

Sono nata da un inganno sudato, stremato dalla cecità, dal buio ventrale della passione, dalla sbordatura della riconoscenza. Come uno zampillo sono uscita da una sorte sbagliata, da uno sguardo malsano, incistato tra le carni vogliose delle madri, dalle reni sfrenate dei padri.

 

 3.

 

Ho voluto l’amore dei fratelli, della terra voltata, rimasta a cerchio sulle tombe chiuse. Ho voluto l’amore di una legge strappata, slabbrata da me, che ho spostato la morte, i corpi smangiati dall’odio fratricida. Li ho solo spostati nell’ombra, li ho solo lavati dal sole, dal coro dei vermi che sentivo arrivare felice. Li ho solo sdraiati diversamente senza chiedere, senza domandare. È questa la mia condanna.

 

4. 

 

Li ho solo girati su un fianco, costringendoli a guardarsi eternamente, senza scampo come un sogno mai finito, come un duello mai concluso. Polinice l’ho schiacciato più in fondo, coprendolo di polvere, dove sgorgano i perdoni. Creonte vedeva lo sporco sotto le mie unghie e piangeva.

 

5.

 

Da piccola correvo, giocavo anch’io all’incrocio di tre vie. Erano sempre tre le mie strade: due sapevano, una come andare e l’altra come ritornare, ma la terza mi faceva paura: non portava da nessuna parte. Era la strada rotta. La chiamavamo così, io e i miei fratelli, senza sapere nulla del fato. Era una via che sembrava una piazza, girava e girava protetta, serrata da un cerchio. Le vie, le altre, tentavano la fuga ma tornavano, ritornavano come una palla lanciata in salita.

 

6.

 

Non giocavo sempre da sola. Ismene era taciturna come un tramonto che aspettava di scoppiare. Lei tagliava i fili dalle vesti delle mie bambole. Pensava di liberarle dagli incantesimi e invece le scuciva piano, piano denudandole, sconce.

 

7.

 

Perché vi racconto ancora di me? Sapete già tutto oramai. Sapete del padre, del figlio non solo con la madre ma anche nella madre. Sapete di lui e di come faceva ribrezzo e paura saperlo devoto. Sapete di Laio e di come Tiresia avesse detto il segreto di Delfi e delle nuvole nere su Tebe: erano sciami di mosche, erano la sfortuna.

 

8.

 

Giocasta – la madre inferriata – tremava col ventre ad ogni desiderio; tremava col figlio, tremava sul figlio, tremava del figlio e ad ogni sussulto, lo sperma ci costruiva disperati e votivi: figlio dopo figlio, figlia dopo figlia. 

 

9.

 

A Tebe mi chiamavano L’Antigone, quella dello schifo, della schifezza. Sono L’Antigone anche per i bambini che quando mi vedono si toccano il ventre, sputandosi le mani. Sono L’Antigone per i mercanti che al mio passaggio girano le anfore nei banchi. Sono L’Antigone per i disperati che spalancano il cencioso mantello al mio passaggio. Dicono sia un saluto.

 

10.

 

Eppure Polinice l’ho solo trascinato nell’ombra per amore. Più lo spostavo, più tradivo la legge; più tradivo, più m’imprigionavo tra la tomba vorace che m’aspettava. Ero come un gesto rivoltoso. Ero come un sogno trasandato: ero una disubbidienza.

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