L’ ULTIMO GIORNO DI
ROBESPIERRE
Giorgio Mascitelli
Da
nazioneindiana
9 luglio 2023
La caduta di Robespierre.
Ventiquattr’ore nella Parigi della Rivoluzione di Colin
Jones ( trad.it. di Alessandra Manzi, Neri Pozza, Milano, 2023, euro 38) è un saggio
storico sul 9 termidoro che riesce a coniugare un ampio apparato di rigorosa
documentazione con una piacevolezza della lettura e della narrazione storica.
Lo storico inglese imposta il suo lavoro su un’analisi estremamente puntale
condotta con la necessaria acribia di quel 27 luglio 1794 che fu nel contempo
l’ultimo giorno di vita di Robespierre e la conclusione del potere giacobino e
della fase più radicale della Rivoluzione francese.
Tra i meriti storiografici di questo
saggio, almeno per il lettore che non è storico di professione, va indicata in
primo luogo la dimostrazione che la caduta di Robespierre non fu frutto di un
piano accurato, di una congiura dei suoi avversari, ma di una casuale
convergenza tra i colleghi di Robespierre e Saint Just nel comitato di salute
pubblica, definitivamente intimoriti dal discorso tenuto dall’Incorruttibile la
sera prima al club dei giacobini, dunque da una parte giacobina e montagnarda
con la componente centrista e moderata della Convenzione, che trova un suo provvisorio
leader in Tallien, dovuta innanzi tutto alla paura di essere inseriti nelle
prossime liste di proscrizione e poi all’odio e allo spirito di vendetta, che
unisce deputati della Montagna e della Pianura, estremisti e moderati.
L’analisi puntuale di queste circostanze permette di evidenziare come
quell’oggetto storico che in seguito sarebbe stato chiamato Terrore non riposa
su una struttura stabile, una volontà di potenza definita e un’organizzazione
efficiente di un sistema di potere, come quello delle purghe staliniane, ma su
pratiche espressione di mentalità e di responsabilità eterogenee e diffuse. Lo
stesso potere di Robespierre, che pure è accusato di tirannide dai suoi rivali,
non appare fondato su un nucleo di acciaio di fedelissimi, che ci sono ma non
così efficienti, e sul controllo di apparati di repressione, ma sulla parola,
su un eloquio abbacinante che incarna agli occhi di molti la virtù. Infondo
questa lettura suggerisce che il 9 termidoro può anche essere descritto come
crisi o caduta della parola di Robespierre: l’improvvisa mozione d’ordine di
Tallien alla Convenzione impedisce all’Incorruttibile di prendere la parola,
che trascorre in silenzio in cella il pomeriggio e, anche quando verso sera
viene liberato dagli uomini della Comune, e portato alla Maison Commune non è
in grado, ancora sorpreso, di formulare un discorso all’altezza della
nuova situazione, infine il ferimento della mascella gli leva definitivamente
la facoltà di parlare.
In secondo luogo la scansione da
cronaca, in cui i capitoli sono dedicati ai vari momenti del giorno e i
paragrafi a luoghi della città dove sta accadendo qualcosa di significativo o
semplicemente di ben documentato, favorisce una rappresentazione della Parigi
rivoluzionaria di tipo annalistico, in cui il lettore coglie anche vari aspetti
della vita quotidiana. Nel libro non si muovono solo i grandi protagonisti di
cui parlano i manuali, ma cittadini semplici che si trovano coinvolti, talvolta
loro malgrado, negli eventi. Questa impostazione è importante perché permette
di comprendere che la più grande protagonista della giornata è la confusione,
la ridda delle voci ora false ora vere ora troppo frammentarie ora superate che
si susseguono non consentendo né alla cittadinanza di comprendere con esattezza
cosa è successo alla Convenzione, né ai contendenti quale sia l’equilibrio
delle forze e dei favori: man mano che nel corso della giornata si delinea
l’evidenza che lo scontro è tra la Comune, roccaforte robespierrista, e la
Convenzione, centro dei suoi nemici, si chiarisce anche che il suo terreno è la
capacità di imporre la propria versione dei fatti, che non a caso viene vinta
dalla seconda, grazie al controllo delle stamperie e alla maggiore persuasività
dei propri rappresentanti, con cui riesce a diffondere le proprie
deliberazioni e, in definitiva, le proprie ragioni. Questa impostazione è anche
importante perché mette in scena anche il 9 termidoro come punto di crisi
definitiva del movimento sanculotto. I militanti delle sezioni parigine della
Comune sono colti nelle loro incertezze, nei loro timori, dubbi e nei loro
rancori che non sono diversi da quelli dei deputati della Convenzione e, quando
sono messi di fronte alla scelta, si schierano prevalentemente con questa
perché sembra incarnare lo spirito rivoluzionario che antepone le istituzioni
repubblicane al singolo per quanto prestigioso.
Eppure questa scelta dei sanculotti
comporta l’annientamento della Comune, che esce distrutta come Robespierre
dalla giornata, e con esso l’abbattimento dello stesso contropotere
rivoluzionario, che è l’unico baluardo contro forme di restaurazione e
ripiegamento. Jones sottolinea che la presa di posizione del comitato di salute
pubblica, dei deputati montagnardi e della stragrande maggioranza delle sezioni
parigine è coerente con i principi rivoluzionari e non ha nulla a che fare con
la reazione termidoriana dei mesi successivi, ma nel contempo la sconfitta
della Comune determina la liquidazione del processo rivoluzionario e non a caso
molti dei protagonisti di quella giornata seguiranno Robespierre sulla
ghigliottina o periranno nelle violenze della jeunesse dorèe. Ci troviamo
dunque di fronte a un’antinomia tragica tipica di molti eventi storici, ma come
emerge dalla descrizione della giornata il processo rivoluzionario si
trova già in un vicolo cieco perché ha cominciato a rivolgersi contro i suoi
sostenitori più fedeli: non a caso la Parigi del 27 luglio è solcata da
manifestazioni popolari che protestano contro l’introduzione di un tetto ai
salari voluto anche da Robespierre e messo in atto con cura dalla Comune.
Sottolineando la qualità narrativa del
testo non intendevo dire che Jones scrive molto bene, cosa vera ma comune ad
altri storici, quanto al fatto che questo tipo di articolazione narrativa
consente al testo di avere un’impostazione assolutamente particolare e inedita
su questa vicenda perché sviluppa una visione sul 9 termidoro non con il senno
di poi, ma per così dire in diretta, in cui i fatti narrati conservano
l’incertezza del frangente e non sono riportati ex post, come accade in molti
testi storiografici. Essi appaiono dunque sotto la lente della possibilità e
non dell’ineluttabilità. Si recupera così una dimensione che è quella
dell’inconoscibilità e della parziale aleatorietà degli esiti, che visse ogni
contemporaneo di quegli eventi storici.
L’organizzazione narrativa del testo è
insomma uno dei motivi del suo valore storiografico. Questo non significa che
sia una scrittura di tipo letterario perché da essa si distingue per due motivi
tanto evidenti quanto fondamentali: in primo luogo qualsiasi tipo di
osservazione anche su un singolo tratto caratteriale di uno dei personaggi,
qualsiasi aneddoto, qualsiasi conversazione riportata indirettamente, anche la
più interlocutoria, è giustificata sempre dal ricorso in nota a testimonianze e
documenti; in secondo luogo la struttura e la lingua di questa narrazione non
si avvalgono di quegli strumenti stilistici e retorici tipici della narrativa (
per es. la focalizzazione interna o il libero indiretto). Ciò non toglie che in
qualche misura il testo di Jones abbia qualche omologia con opere narrative.
Certo l’organizzazione di tipo cronachistico, che non si fissa su un
protagonista o un gruppo di protagonisti, ma segue quel che accade a Parigi in
quelle ventiquattro ore richiama romanzi come Vita e destino, in cui non vi è né un intreccio né
un protagonista unico, ma storie che si sviluppano parallelamente e
trasversalmente o anche un romanzo come Una
mattina ci siam svegliati di Nanni Balestrini che ricostruisce
tramite le voci raccolte dei protagonisti la grande manifestazione a Milano il
25 aprile 1994, favorendo una rappresentazione corale dell’evento in questione.
Questa caratteristica permette di fare
alcune rapide considerazioni non solo su questo notevole libro, ma in generale
su ciò che ci suggerisce sui rapporti tra scrittura narrativa e storica:
in primo luogo il libro dello storico inglese mostra che ci possono essere
delle influenze tra scrittura storica e letteraria molto più interessanti e produttive
di quello scrivere storia in prema persona che, giustamente, Enzo Traverso
ne La tirannide dell’io,
di cui ho già parlato qui, considera
problematico. In secondo luogo questo aspetto positivo è, almeno in parte,
dovuto al fatto che non vi è una dimensione di memoria individuale e dunque si
supera appunto ogni pretesa di tirannide dell’io a favore di una dimensione
collettiva, che prevede e in parte tematizza il conflitto delle memorie
divergenti. In terzo luogo questi rapporti con la letteratura sono mantenuti
entro limiti accettabili dall’uso rigoroso delle fonti, che limitano ogni
eventuale abuso della memoria. In quarto luogo questa contaminazione positiva è
possibile perché Colin Jones non sottomette mai la narrazione storica
totalmente schiacciata sul presente e funzionale alle esigenze dell’ideologia
attuale, cioè non cade mai in quello che Traverso chiama il presentismo.
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