MARIA OLIVERI, Le impudiche paste delle vergini, Il Genio editore, Palermo aprile 2023
Dobbiamo a Maria
Oliveri un piccolo gran libro dedicato, con sapienza e passione, alla
storia di un antico dolce siciliano, presente in forme diverse in tutta l’area
mediterranea.
L’antropologa Rita
Cedrini, in Prefazione, oltre a confermare il rigore scientifico con cui
l’autrice ha condotto la sua ricerca, non manca di notare il suo talento
narrativo.
Il libro è articolato in
due parti; nella prima Maria, oltre a citare i principali studiosi siciliani di
tradizioni popolari, dimostra di padroneggiare il metodo seguito dall’antropologia
culturale contemporanea nell’accostarsi ai mille volti dell’alimentazione
umana. Il cibo, infatti, come ha dimostrato tra gli altri C. Lévi-Strauss,
non serve solo a nutrirci. Il cibo ha un grande valore culturale perché, oltre
a rispondere ad uno dei bisogni primari di cui ci ha parlato B.
Malinowski, è strettamente legato al soddisfacimento di tanti altri non
secondari bisogni.
L’ autrice mostra una
profonda conoscenza della sterminata letteratura esistente sull’argomento.
Oltre agli antichi classici greci e romani – a partire da Esiodo, riletto con
le lenti di J. G. Frazer, A. Momigliano, O. Kern e C. G. Jung – Maria cita
frequentemente, in modo puntuale, le opere del Pitrè, di Antonino Uccello e di
Antonino Cusumano. Ricostruisce sinteticamente, in modo efficace, gli antichi
miti intorno alla Magna Mater (pp. 24-26), ad Artemide Efesia (la
dea dalle mille mammelle pp. 27-28) e al culto di Iside che, dall’
Egitto si diffonde presto in tutto il Mediterraneo trasformandosi, in epoca
cristiana, nel culto della Madonna che allatta (pp. 29-33). Particolare
attenzione il libro riserva al legame del mito di Iside al culto di S. Agata
(pp. 34-39).
Sulla mitica figura di Iside
mi sembra il caso di soffermarsi un po'; non a caso il libro si apre con un
Inno a Iside, risalente al III o IV sec. A.C. , dove si possono leggere queste
parole: “ io sono la prima e l’ultima […] la venerata e la
disprezzata […] la prostituta e la santa […] la sposa e la
vergine […] la madre e la figlia […] la scandalosa e la
magnifica”(p. 3). Maria Oliveri ricorda che il suo culto si afferma
in Egitto a partire dal VII sec. A.C. Una famosa statua rappresenta Iside che
allatta Horus. La raffigurazione dell’allattamento al seno simboleggia il
nutrimento fisico e spirituale insieme: nell’antico Egitto, infatti, il latte
di Iside rendeva immortale il faraone (p.29). Dall’Egitto il culto si diffonde presto
in tutto il Mediterraneo.
La prima parte del libro
si conclude con una bella ricostruzione dei diversi riti di lattazione nel
meridione d’Italia ed una interessante storia dell’allattamento nella città di
Palermo nel corso degli ultimi due secoli (pp. 40-48).
Nella seconda parte, più
ampia della prima, l’autrice affronta il tema principale della sua opera
intorno alla storia del dolce denominato minni di virgini a
Palermo e altrove con altri nomi, offrendo anche le diverse ricette del dolce. Questa
è sicuramente la parte più brillante del libro che esalta quella che Rita
Cedrini ha giustamente definito la “capacità fabulatoria” di Maria.
L’ impudico dolce,
come è noto, attrasse l’attenzione anche di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che,
nel suo capolavoro, ironicamente si domanda: “Come mai il Santo Uffizio, quando
lo poteva, non pensò di proibire questi dolci?”.
Il dolce in effetti ha la forma di un candido seno ricoperto di glassa, che nasconde un ripieno di crema di ricotta, sormontato da ciliegie candite che somigliano tanto ai capezzoli. Insomma il nome che le monache palermitane del monastero delle Vergini diedero alla loro creatura è assolutamente appropriato: minni di virgini.
Il dolce a Palermo, come
dimostrano alcuni versi di Giovanni Meli, è già diffuso nel Settecento: “Di li
Virgini su’ li beddi minni / Quantu eccellenti su’ tutti lu sannu / Saluti a
cui ci spenni li ninni / Cui nu’nni
mancia ci vegna un malannu / […] / Biniditta la mamma chi li vinni / Biniditti ddi
manu chi li fannu” (p. 53). Dalle ricerche fatte dalla Oliveri risulta che il
dolce fosse una specialità delle monache del Monastero delle Vergini di
Palermo.
Il dolce, in forme
diverse, si diffonde in tutta l’Italia meridionale e Maria, con meticolosa
cura, li descrive puntualmente indicando le varianti delle diverse ricette (pp.
57-101).
Nella sua bella
conclusione Maria, dopo aver ricordato con A. Cusumano il valore simbolico del
dolce, precisa: “Le impudiche paste delle vergini non alludono a nulla di
osceno, con buona pace del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pani e dolci
a forma di mammella presenti in molte zone del meridione sono frutto della
stratificazione di diverse culture presenti nel bacino del Mediterraneo,
culture che nel corso dei secoli si sono incontrate e vicendevolmente
influenzate” (p.103). E pensando al nostro presente, con I.E. Buttitta afferma:
“Nuovi miti, riti, linguaggi e scenari culinari si sono imposti in tutti gli
ambienti sociali determinando il progressivo depotenziamento dei significati e
delle funzioni religiose dei cibi festivi e la dispersione dei loro valori
simbolici”. Così gli uomini d’oggi hanno smarrito la memoria di tanti antichi
pani e dolci, hanno spezzato il loro legame col passato, hanno perso
un’identità culturale che non sarà facile recuperare.
Palermo 30 maggio
2023 FRANCESCO VIRGA
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