MAESTRI, MERCANTI, ALCHIMISTI E FILOSOFI al MONASTERO di S. MARTINO delle SCALE. Le maioliche della Spezieria.
di ROSARIO DAIDONE
Della nascita e delle vicende storiche della spezieria annessa all’antico Monastero benedettino di San Martino delle Scale, frazione del comune di Monreale, non si possiedono notizie certe per una quasi totale assenza di citazioni nei documenti pervenuti.
Ma non è di poca importanza che soltanto un fuggevole accenno in essi sia riferito ad una infirmaria esistente nel convento nel 1530 (n. 1) giacché in quel periodo essa doveva possedere le caratteristiche di una modesta occasionale attività, limitata quasi esclusivamente alle cure dei monaci e un’attrezzatura strettamente necessaria alla lavorazione e alla conservazione di pochi farmaci (n. 2)
Sul cortile del monastero. opportunamente chiamato “corte dei misteri”, si affaccia, insieme all’apoteca, l’officina, ora spoglia, comunicante internamente, com’era d’uso, attraverso una porta, oggi murata, con l’apoteca. Un comune laboratorio che sembra avesse assunto nuova energia soltanto ad iniziare dalla fine del XVI secolo quando doveva essere fornita dell’atanor e di alambicchi, di giare e di orci di terracotta con e senza smalti; di mortai di marmo e di bronzo e degli attrezzi adatti alle frantumazioni, alle distillazioni, alla preparazione degli infusi, dei decotti e di altre sostanze ricavate dagli oli e dalle piante officinali coltivate dai monaci nel loro viridarium. Ma di tutto questo poco o nulla sembra essere sopravvissuto nell’abbandono in cui il locale fu lasciato per moti anni.
Soltanto alla fine del Cinquecento, assunto un nuovo ruolo, l’apoteca doveva esser dotata di un bancone, di scansie e armadi dove erano riposte le 47 maioliche pervenute che costituivano, pur tenendo conto delle perdite accidentali, pressappoco l’intero corredo vascolare di quel periodo. Un armamentario di pregevole valore, ma ancora di piccole dimensioni se si tiene conto che in genere le spezierie coeve aperte al pubblico possedevano centinaia di contenitori tra bocce, albarelli di elettuari e di sciroppi, versatoi, pilloliere, cilindri e orci di diverse dimensioni. Maioliche di pregio di Faenza, Casteldurante e Urbino che nel corso del XVI secolo arrivavano in Sicilia tramite i mercanti genovesi residenti nell’isola.
Alla dispersione degli arredi che a partire dalla fine del ‘500 si trovavano nella spezieria martiniana avrà contribuito la confusione venutasi a creare in seguito alla soppressione degli ordini religiosi e al conseguente abbandono del monastero da parte dei frati nel 1866. Ma anche in seguito al rinnovamento del locale e durante il periodo della sua potenziata attività proseguita nei secoli successivi, più che di una vera e proprio presidio aperto al pubblico, la spezieria di San Martino doveva configurarsi ancora come un riservato prezioso luogo di cultura alchemica come indica il ruolo di primo piano riservato alla presenza, in alto nelle lunette, dei ritratti degli alchimisti e dei filosofi dipinti a tempera con le loro cornici a festone e le note esplicative in latino.
Una visione laica coniugata con la devozione religiosa poiché nel soffitto azzurro pieno di stelle campeggia l’immagine di Gesù dipinta all’interno di una corona di foglie accompagnata da un monito scritto in latino in un nastro spezzettato che avverte:
“Le medicine possono curare i corpi degli uomini, ma soltanto Dio cura le malattie dell’anima”.
In verità se pochi sono i santi rappresentati nelle pitture murali della spezieria, fatta eccezione per i fratelli anargirici Cosmo e Damiano di origine araba che affiancano San Luca, protettore dei medici, dipinti al centro della rappresentazione frontale, sacre miste a profane sono anche le immagini dipinte nelle maioliche pervenute non direttamente commissionate alle fabbriche. Evidentemente di conforto religioso meglio potevano godere i monaci in altri ambienti di più sereno raccoglimento come la basilica o la biblioteca con la sua quadreria.
Delle 47 maioliche di San Martino non si trova traccia documentale relativa al periodo della loro acquisizione, ma diventano esplicite e documentate le loro vicende dopo il 1866 in seguito al decreto di espoliazione dei beni ecclesiastici quando furono trasferite, insieme al mortaio di bronzo firmato dal maestro Antonello da Tortorici nel 1481, al Museo Nazionale di Palermo il 4 aprile del 1878 e in seguito confluite nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis. Qui si trovano oggi, quasi tutte, insieme alle numerose altre maioliche di varia provenienza ed epoca che il museo palermitano custodisce nei suoi depositi.
L’individuazione delle maioliche martiniane, fatta nel 1878 dal Professore Giuseppe Meli nelle vesti d’ispettore della pinacoteca del Museo Nazionale di Palermo, ha rivelato tra le faentine la presenza del monumentale vaso cilindrico con le immagini dell’Annunciazione e della Carità Romana allestito a Faenza nell’officina di Francesco Mezzarisa che reca la scritta “IN FAENCIA F R M e la data del 1558. Un’opera di notevole importanza nella storia della maiolica, documento materiale che si associa al fenomeno della circolazione in Sicilia delle opere rinascimentali prodotte nelle più rinomate fabbriche italiane. (FOTO 1)
E’ interessante notare che, se attentamente si legge l’atto che appartiene alle mie ricerche nell’Archivio di Stato palermitano, stipulato nel 1556 dallo speziale Castrogiovanni di Ciminna col mercante Giovan Battista Castruccio, le maioliche faentine della spezieria, già assegnate a quella fornitura (n. 3), non corrispondono, se non nelle forme diffuse nel periodo, a nessuna delle maioliche che vennero commissionate al Castruccio, genero e continuatore dell’attività mercantile di Giovanni Brame proprietario di un intero palazzo con botteghe, ancora oggi individuabile sul Cassaro, scomparso il 10 aprile 1554.
Tra i più importanti mercanti d’arte del Cinquecento palermitano, Giovanni Brame nel 1546 si era incaricato di far eseguire a Faenza, nella stessa bottega di Francesco Mezzarisa anche le maioliche di Pietro Boeri che servirono da modello a quelli ordinati da Castrogiovanni (FOTO 2).
Fu nel periodo di permanenza nella città romagnola che il Mezzarisa detto Risino dedicò al suo importante committente la famosa targa con l’immagine della Deposizione datata 1544, legato della Marchesa di Torrearsa, anch’essa custodita nel Museo di Palazzo Abatellis. (FOTO 3)
Nemmeno i vasi attribuiti a Emiliano Capra detto Saladin sembra fossero appartenuti alla spezieria di Ciminna (FOTO 4).
Le numerose apoteche siciliane del periodo erano infatti assai ricche di maioliche provenienti dalla Romagna come testimonia la spezieria palermitana all’insegna di San Cosimo e Damiano che alla morte del titolare, Francesco Pontiano, possedeva ben 233 maioliche faentine, elencate nell’inventario del 1610, probabilmente già acquisite tramite Brame o Castruccio. Del corredo disperso di questa spezieria poteva far parte una delle due bocce, segnalate da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi, in cui si legge Joane castru fecitt / fieri in F.. Ma/stro miliano salatino (Sèvres, Musée national de la ceramique, inv. 5078) in nome del medaglione con le immagini dei santi Cosimo e Damiano che reca nel medaglione (FOTO 5).
Alcune delle maioliche possedute dal Monastero di San Martino, attribuibili allo stesso Emiliano Capra recano delle immagini che secondo la studiosa Carmen Ravanelli Guidotti sono ispirate alle xilografie di Bernard Salomon nell’edizione di Damiano Maraffi “Figure del Nuovo Testamento” edita a Lione nel 1554 (n. 4). Ma altri cinque albarelli del gruppo pervenuto, fabbricati a Faenza alla fine del’ ‘500, non associabili allo stile del Capra, sono piuttosto da attribuire all’officina di Virgiliotto Calamelli decorati con medaglioni e trofei nel gusto caro ai laboratori e alla clientela siciliani tanto da essere spesso confusi, nelle aste e nel mercato antiquariale, con le maioliche di produzione palermitana allestite a ridosso del XVI secolo (FOTO 6).
In verità il mercante Castruccio, godendo della notorietà e del prestigio ereditati dal suocero, dovette interessarsi alla fornitura di varie spezierie attraverso contratti notarili dei quali è noto solo quello stipulato con lo speziale Castrogiovanni (n. 5) eccezionalmente fornito di precise richieste relative alle immagini da dipingere in ogni maiolica, delle scritte farmaceutiche da apporre su ogni contenitore, delle misure che ognuno di essi doveva possedere date dai segmenti di spago allegati e che doveva avere, notizia di notevole valore, a modello le faentine possedute da Pietro Boeri (nota 5)
Soltanto tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII, in seguito alla crisi che colpì l’attività mercantile genovese, cessate le importazioni continentali, si riattivarono le fabbriche siciliane. Arrivarono a Palermo i fratelli Lazzaro da Naso (ME); si spostò a Burgio e a Sciacca un’intera colonia di maestri calatini; approderà più tardi a Collesano Giovanni Saldo da Polizzi. Essi daranno vita, nello stile delle ultime maioliche faentine, caratterizzate dai medaglioni e dai trofei, a una produzione capace di soddisfare le esigenze locali e delle quali ebbe modo di rifornirsi il Monastero da quando intensificò l’attività della spezieria.
Della bottega palermitana di Geronimo Lazzaro si trovano tra le maioliche di San Martino tre maioliche decorate da Andrea Pantaleo tra le quali è interessante segnalare l’albarello con la figura del cherubino dai capelli a ciuffi come era solito dipingerli il buon Pantaleo che reca la data del 1614 (FOTO 7).
Esso dovrebbe risalire all’attività svolta dal decoratore monrealese a Sciacca dove si era traferito dopo la chiusura dell’officina dei fratelli nasitani in seguito alla morte di Geronimo Lazzaro. A testimoniare il trasferimento del pittore, più volte supposto dagli studi e mai documentato, viene ora in aiuto la boccia inedita di collezione privata datata 1610 con la firma del monrealese e la scritta “fatta a Xacca” che dovrebbe ormai porre fine alle incertezze. (FOTO 8).
Tra le maioliche del monastero appartiene invece al ritorno a Palermo di Pantaleo e alla officina Lazzaro-Oliva l‘albarello con difetti di colatura dello smalto che reca un ritratto di giovane nel medaglione e la data del 1620. L’officina in cui l’opera venne allestita era quella ereditata da Paolo Lazzaro dal suocero mastro Antonino Oliva in seguito al matrimonio contratto con la figlia Isabella. In questa officina Pantaleo presterà per un lungo numero di anni la sua opera con regolare contratto di lavoro stipulato l’8 settembre del 1618. L‘interesse da parte dei benedettini del gruppo di maioliche decorate da Andrea Pantaleo appare del tutto naturale se si tiene conto che il decoratore di Monreale, se non apprese l’arte dai monaci, col Monastero di San Martino dovette avere intensi rapporti di ordine culturale e artistico (FOTO 9).
Tra le maioliche pervenute non a caso è presente un solo albarello assegnabile a Caltagirone decorato con minute foglie stilizzate blu e cinta mediana bianca, se si tiene conto che i manufatti calatini diventeranno numerosi sul mercato palermitano soltanto tra la fine del XVII e nel corso del XVIII secolo (FOTO 10).
L’appartenenza al gruppo martiniano di tre albarelli di fabbricazione burgitana testimoniano il protrarsi dell’attività della spezieria benedettina nel Seicento e il suo estendersi alla seconda metà del secolo come testimonia il possesso dei quattro albarelli dello stazzone di Collesano, (uno datato 1661 e un altro 1664) decorati da Giovanni Saldo da Polizzi attivo nella cittadina madonita intorno a questi anni (FOTO 11 e 11 bis).
La presenza dei quattro albarelli di Montelupo decorati “a palmette” testimonia della occasionalità dei rifornimenti martiniani legati alla disponibilità che offriva il mercato palermitano della fine del Cinquecento (FOTO 12).
Di un certo interesse potrebbe risultare la ricognizione dei due grandi vasi con le anse anguiformi, sicuramente di produzione continentale, che per un certo periodo furono custoditi nella biblioteca del monastero come si legge nei documenti relativi alla ricognizione Meli.
Come si è potuto osservare il Monastero di San Martino possedeva opere pregevoli, soprattutto le faentine di grandi dimensioni che erano probabilmente servite “da mostra”, per l’abbellimento dell’apoteca pressappoco nello stesso periodo in cui vennero eseguiti le pitture parietali, in corso di restauro, nelle quali sembra ormai possibile, attraverso una prima indagine, trovare con molte cautele, il termine post quem della loro realizzazione che potrà essere chiarito alla fine dei lavori (FOTO 13).
E’ nostra convinzione che i frati, non avendo acquistato i vasi faentini direttamente alla chiusura delle spezierie dismesse nel corso del XVI secolo, abbiano attinto a quelle disponibili sul mercato soltanto alla fine del secolo quando, avendo deciso l’abbellimento del locale, s’incaricavano di dare prestigio anche al corredo vascolare di cui fanno parte anche le maioliche del gruppo attribuibile a un maestro durantino attivo a Faenza, allestite in un periodo in cui tanto numerose erano le commissioni che il decoratore Emiliano Capra non riusciva ad evaderle tutte (FOTO 14) .
A conforto di questa tesi occorre allegare l’osservazione che, fatta eccezione per il mortaio di bronzo firmato da Antonello Da Tortorici datato 1481, che potrebbe essere stato acquistato dai frati in anni lontani dalla sua realizzazione, nessun’altra testimonianza materiale si possiede relativa all’attività svolta dalla spezieria nel corso del XVI secolo (FOTO 15).
Alla ricognizione storica che abbiamo faticosamente tentato di condurre a causa del silenzio delle carte del monastero non contribuisce il libro mastro, scrupolosamente consultato da Fabio Cusimano (n. 6), ma si configurerebbe, come un’operazione sinergica di grande valore culturale se i vasi appartenuti ai benedettini fossero ricondotti alla sua sede originaria oggi che con intento museale la spezieria è stata aperta al pubblico. La loro presenza nel locale contribuirebbe a rafforzare il vanto che l’antico monastero possiede per le altre presenze artistiche e le diverse prestigiose attività che i frati conducono nello spirito della regola del loro ordine che associa il lavoro alla preghiera.
Rosario DAIDONE Palermo 16 Luglio 2023
NOTE
(nata 1) Giornale Mastro dal 1462 al 1866
(nota 2) Molto probabilmente nel centro cittadino di Monreale esisteva una spezieria pubblica considerando come filiazione da una antica apoteca quella ancora attiva nei primi anni dell’800 intestata a Francesco Aghilleri fornita di maioliche dell’Opificio del Barone Malvica (Cfr.Terzo fuoco a Palermo 1760-1825, Ceramiche di Sperlinga e Malvica, Cat. Mostra a cura di L. Arbace e R. Daidone , Palermo, giugno 1997)
(nota 3) L’Ipotesi avanzata da Giuliana Gardelli (1999) di attribuire i vasi posseduti dalla spezieria del monastero di San Martino come appartenenti alla aromateria Castrogiovanni di Ciminna non tiene conto che nell’atto stipulato dal mercante Castruccio con lo speziale Castrogiovanni, stipulato l’8 luglio del 1556, per l’acquisto a Faenza di 316 vasi, di cui mi sono già occupato nel 1997 le figure richieste per i medaglioni dettagliatamente descritte nel “memoriale” di Castruccio, non si trovano tra le sopravvissute faentine del Monastero di San Martino e che la data apposta da Francesco Mezzarisa nel vaso cilindrico con tre piedi con le immagini dell’Annunciazione e della Carità Romana, assunto a capo dell’intera fornitura, è quella del 1558, fuori tempo rispetto a quella imposta dal contratto per la consegna entro e non oltre il mese d’aprile del 1557 (Cfr R. Daidone, Il vasellame rinascimentale di un’aromateria siciliana, in “CeramicAntica”, anno VII, n. 10 [76], novembre 1997, e R. Daidone., La spezieria palermitana di Johannes Aloisius Garillo, in “Faenza”, bollettino del Museo internazionale delle ceramiche, N° LXXXIV) Dimostrare ancora una volta che le maioliche faentine possedute dal Monastero di San Martino non corrispondono alla fornitura della spezieria Castrogiovanni, serve, a nostro avviso, a stabilire che esse furono acquistate dai frati tra quelle provenienti da varie dismesse aromaterie, disponibili sul mercato nell’ultimo quarto del secolo XVI in concomitanza degli abbellimenti pittorici della loro spezieria disponendo nel passato di più modesti contenitori.
(nota 4) Cfr. C. Ravanelli Guidotti, L’Istoriato, libri a stampa e maioliche italiane del Cinquecento, (1993). Bernard Salomon detto Bernardo Gallo nato a Lione nel 1508 ca. e mortovi nel 1561, incisore a bulino e xilografia, incise soprattutto soggetti sacri; le opere maggiormente note sono le 228 tavole del Vecchio Testamento e le 116 delle metamorfosi di Ovidio.
Nota 5) Documento da me rinvenuto nell’Archivio di Stato palermitano (notaio Matteo Di Gangi, Vol. 4344, st. I) trascritto e pubblicato dallo scrivente nella rivista CeramiAntica nel 1997.
Per quanto riguarda i modelli, lo speziale Pietro Boeri, come si evince dall’inventario redatto alla sua morte (3 aprile 1587) possedeva diverse maioliche di Faenza, oltre ai vasi acquistati direttamente nel 1562-63 dal figlio Andrea a Casteldurante nella bottega dei fratelli Picchi di cui sono pervenuti diversi esemplari con lo stemma della loro spezieria: la torre alchemica e il bue divise da una banda orizzontale di cui ci siamo già occupati.
(Nota 6) Cfr. Fabio Cusimano “Infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est. Le vicende della Farmacia dell’Abbazia di San Martino delle Scale, in Medieval Sophia; Gennaio-giugno 2008. Le notizie riportate dallo studioso si trovano nella“Panhormi, Chronica Monasterii Sancti. Martini de Scalis urbis In due volumi manoscritti, che fornisce una documentazione che va dal 1347 al 1803; nel Giornale Mastro che va 1462 al 1866 e nel resoconto delle trattative intorno alla cessione dei vasi intercorse tra il Monastero e il Museo Nazionale fino al 1878.
- Le maioliche del Monastero sono state pubblicate da Maria Reginella nel contributo al catalogo della Mostra Aromataria allestita a cura dello scrivente nel Museo di Palazzo Abatellis dall’ottobre 2005 al gennaio del 2006. Cfr. “Aromataria” (a cura di R. Daidone) Maioliche da farmacia e d’uso privato, le collezioni di Palazzo Abatellis, Palermo, ottobre 2005 (pagg. 163-203)
Della targa con la Deposizione di Francesco Mezzarisa si è occupata Maria Giuseppina Mazzola a pag. 208 dello stesso Catalogo.
Rosario DAIDONE Palermo 16 Luglio 2023
Testo e immagini riprese da https://www.aboutartonline.com/maestri-mercanti-alchimisti-e-filosofi-al-monastero-di-san-martino-delle-scale-monreale-le-maioliche-della-spezieria/ su autorizzazione dell'Autore.
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