“Il tempo che ti è assegnato è così breve che se
perdi un secondo hai già perduto tutta la vita, perché non dura di più, dura
solo quanto il tempo che
perdi. Se dunque hai imboccato una via, prosegui per quella, in qualunque
circostanza, non puoi che guadagnare, non corri alcun pericolo, alla fine forse
precipiterai, ma se ti fossi voltato indietro fin dopo i primi passi e fossi
sceso giù per la scala, saresti precipitato fin da principio, e non forse, ma
certissimamente.”
FRANTZ KAFKA
«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K.,
perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato». C'è
tutto Kafka, in questo provocatorio, disarmante, dirompente incipit de "Il
processo" (1925), il capolavoro del praghese, uno dei più grandi romanzi
di sempre. Un incipit illuminante, di caravaggesca luce: di una luce, cioè, che
apre squarci di oscurità, che rende immediatamente palpabile tutta l'assurdità
che può improvvisamente devastare la vita di ciascuno, nel segno di una
giustizia miope e paradossale, ingiusta e feroce. Di quella giustizia che
avrebbero continuato a raccontare scrittori come Friedrich Dürrenmatt e
Leonardo Sciascia. Di quella giustizia che sempre serpeggia nella vita, e che
sempre può azzannare. «Non posso né voglio essere altro che letteratura»,
diceva quell'immenso scrittore dell'esistenza (della colpa d'essere nati, della
vita come inevitabile colonia penale). Lui che non smetteva mai di lasciarsi
sorprendere dalla vita, dall'amore. Come gli accadde con Dora Diamant,
nell'estate del 1923, un anno prima che la tubercolosi lo uccidesse, il 3
giugno. Per lei Franz lascia Praga, la famiglia, la solitudine: per seguirla
nella Berlino antisemita di quegli anni, quella giovane ebrea che gli era scesa
nel cuore. E che incarnava una malìa, un incantesimo. Quello stesso incantesimo
che Kafka aveva dipinto in una sua pagina di diario, un paio d'anni prima:
"Si può ritenere che la meraviglia della vita sia sempre a disposizione di
ognuno in tutta la sua pienezza, anche se essa rimane nascosta, profonda,
invisibile, lontana. Tuttavia c'è, e non è né ostile né ribelle. Se la si
chiama con la parola giusta, con il suo giusto nome, essa arriva. Questa è
l'essenza dell'incantesimo, che non crea, bensì chiama". Già: la
meraviglia della vita. E dell'amore.
Una noterella di qualche anno fa, sull'immenso Kafka (1883-1924).
GIUSEPPE GIGLIO
Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
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