Ecco come Francesco Vinci ieri, nel Baluardo Velasco di Marsala, ha presentato EREDITA' DISSIPATE:
"Quando il buon Franco Virga mi ha proposto, credo in
combutta con Gaspare Polizzi, di fargli da interlocutore per presentare Eredità dissipate, debbo confessare che
mi sentivo piuttosto inadeguato. Io mi considero sostanzialmente un
autodidatta, e ho comunque una formazione più letteraria che filosofica: della
triade (Gramsci Pasolini Sciascia) conosco meglio Pasolini – forse meno peggio
– perché è il mio primo amore,
letterariamente parlando, mentre Sciascia è un autore che sto (ri)scoprendo da
lettore ‘adulto’. Per quanto riguarda Gramsci, che è l’autore paradigmatico di
questo libro, in più di un’occasione mi sono dichiarato, in modo evidentemente
semiserio, un gramsciano per difetto, in quanto odio più la retorica che gli
indifferenti. Accostandomi nel frattempo al libro di Franco, però, mi sono
accorto di quanto questi saggi, scritti in tempi e occasioni diverse,
componessero un libro di lettura per certi versi avvincente, oltre che un libro
denso e importante, non il solito tedioso saggio accademico né tantomeno (e per
fortuna) il saggetto divulgativo e paranarrativo, nel solco di una certa ermeneutica
tascabile, che tanto va di moda negli ultimi tempi. E così, l’invito di Franco
è diventato per me anche una sfida, e il mio ruolo questo pomeriggio è prima di
tutto quello del lettore cosiddetto ‘comune’, che attraverso le sue
sollecitazioni vorrebbe lui per primo comprendere meglio le ragioni di questo
testo.
Dopo una fortunata prima edizione, il libro di Francesco Virga
viene ripubblicato in una edizione riveduta e ampliata, che ancora una volta riesce
perfettamente a coniugare il rigore scientifico dell’impianto saggistico, con
tanto di citazioni e apparato critico, e una larga godibilità di lettura: una
chiarezza di linea espositiva che forse proviene anche dal suo mestiere di
insegnante e di blogger militante. O magari è in qualche modo una di quelle
eredità gramsciane evocate nel titolo e messe a frutto nel taglio argomentativo
e nel tono della scrittura. Non amo molto, in genere, usare il termine
divulgazione (lo ribadisco, soprattutto perché lo trovo riduttivo per un lavoro
come questo), ma sicuramente il libro è anche un ausilio prezioso per
approcciarsi a queste tre figure o approfondirle, oltre i luoghi comuni, le
vulgate e le nozioni scolastiche. Le tre parti che compongono il libro si
possono infatti agevolmente leggere come dei corposi contributi critici a sé
stanti sulle figure di Gramsci, Pasolini e Sciascia, ma nel libro confluiscono
anche degli scritti occasionali – in gran parte pubblicati previamente su varie
testate e riviste – in cui lo spettro d’indagine si allarga su aspetti meno battuti
dei tre autori: penso per esempio al capitolo dedicato a Pasolini e Bach, che
prende le mosse da uno studio recente di Claudia Calabrese sul rapporto tra
Pasolini e la musica.
Come tanti testimoni e lettori eccellenti hanno attestato
nel corso delle due edizioni (in appendice a questa nuova edizione troviamo una
galleria di note critiche, firmate tra gli altri dallo stesso Polizzi e dal
nostro Nicolò Messina), Eredità dissipate
si colloca come punto di incrocio tra critica e esegesi letteraria, analisi
politica e storia della cultura italiana nel secondo ‘900. Un lavoro di ricerca
annoso e di lungo respiro in cui l’autore si mette sulle tracce della ricezione
di Antonio Gramsci nelle opere di Pasolini e Sciascia, scandaglia e collega testi,
documenti, testimonianze con una perizia filologica e una passione militante
davvero esemplari.
Di Pasolini si rileva in primo luogo che la sua
interpretazione del marxismo è assimilabile a quella di Gramsci, in quanto
metodo e strumento per comprendere i fatti storicamente determinati, e non
sistema fisso e pura dottrina dogmatica, soprattutto nel Pasolini interventista
e collaboratore del settimanale comunista “Vie Nuove” (mentre si tralascia
volutamente il Pasolini tormentato delle Ceneri
di Gramsci, diventato quasi un luogo comune critico). Di Sciascia si
ricorda invece la lunga e intensa attivista pubblicistica sulle pagine de “L’Ora”
di Palermo che – come scrive Virga – sono di “inconfondibile impronta
gramsciana, persino nello stile graffiante della sua scrittura”.
Come l’autore stesso esplicita, sia nell’introduzione che
nella nota conclusiva, la tesi di fondo, e se non una vera e propria tesi, una
preoccupazione che anima le pagine di questo libro è che la grande lezione di
questi tre giganti del secolo scorso venga dissipata
(appunto), dimenticata o rimossa: un po’ per la loro sostanziale inclassificabilità
e il loro percorso eretico, ma soprattutto per la crisi della cultura e del
pensiero critico nell’epoca dell’opinionismo estemporaneo dei talk e delle
approssimazioni social.
Aggiungerei una chiosa finale: a mio modesto avviso sta
accadendo qualcosa di peggio rispetto a Gramsci, Pasolini e Sciascia (così come
a tanti altri classici che vengono più citati che letti per davvero): la loro
riduzione a pura icona social per cui di ogni grande autore conosciamo ormai
soltanto qualche fugace citazione (a volte persino errata o manipolata), spesso
esibita come un feticcio o uno slogan. Di conseguenza, di Gramsci sappiamo poco
o nulla, ma ci basta sapere e reiterare col copia e incolla che odiava gli
indifferenti e che ogni giorno per lui era capodanno; Pasolini è quello che
sapeva ma non aveva le prove, quello dell’inflazionatissima supplica alle madri
e l’imbalsamato autore di “T’insegneranno a splendere, e tu splendi invece”; e
il povero Sciascia, naturalmente, quello dei professionisti dell’antimafia (un
titolo giornalistico attribuitogli come una delle sue frasi memorali): uno
Sciascia sempre à la page, buono per tutte le occasioni di polemica e tutti i
sicilianismi."
FRANCESCO VINCI
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