11 luglio 2024

LEA MELANDRI, Sperare nella logica del desiderio

 



Sperare nella logica del desiderio

Lea Melandri
11 Luglio 2024

Nel tempo angosciante che viviamo torna spesso la domanda dove sono i movimenti, a cominciare da quello delle donne e quello dei giovani, che hanno cambiato il mondo, ad esempio facendo emergere la categoria del desiderio, guardata con sospetto da tanti perché ritenuta meno materialistica di quella del bisogno. Ma chi segue un’altra logica e un altro ritmo per aprire la strada a ciò che sembra impossibile in realtà non scompare mai: certi cambiamenti profondi della società non seguono la via lineare “causa-effetto” ma i movimenti improvvisi della frattura. Scrive Lea Melandri: «Non resta che sperare che la logica del desiderio, come la “passione” di Marx, la spinta ad autorealizzarsi da parte dell’uomo, lavori sotterraneamente, da vecchia talpa, e torni a sorprenderci, quando meno ce lo aspettiamo…»

Giulia Crastolla Art

Io vorrei.

Dell’“erba voglio” si dice proverbialmente che non cresce neppure nel giardino del re. Eppure c’è stato un tempo, una stagione “breve, intensa ed esclusiva”, in cui è comparsa nei luoghi più impensati: dalla scuola alle fabbriche, agli interni di famiglia. Tra gli anni Sessanta e Settanta, nella fase di massima espansione della società dei consumi, che prometteva cibo in cambio di una dipendenza incondizionata, due “soggetti” tenuti per secoli ai margini della storia – i giovani e le donne – hanno dato prova di una straordinaria “creatività generativa”, destinata a cambiare il volto della politica e dell’idea stessa di rivoluzione.

Con loro hanno fatto ingresso nella polis le categorie del “desiderio” e della “felicità”, guardate con sospetto dalla sinistra parlamentare ed extraparlamentare perché ritenute meno materialistiche di quella del bisogno, e hanno aperto prospettive inedite al “tragico” dualismo che ha diviso e contrapposto privato e pubblico, individuo e società, natura e cultura, destino del maschio e della femmina. Elvio Fachinelli, originale interprete del Sessantotto, in un articolo uscito sui Quaderni piacentini nel febbraio dello stesso anno, così definiva il “desiderio dissidente”: una “diversa logica di comportamento rispetto al reale e al possibile, contrapposta alla logica del soddisfacimento dei bisogni fino allora dominante”.

Il desiderio e la dissidenza oggi sembrano essersi inabissati nella bocca vorace di una civiltà che, pur dando segni di visibile decadenza, macina ogni segnale di cambiamento, ogni forma nuova di socializzazione, ogni sapere che non sia funzionale alla sua conservazione. Il venir meno dei confini tra vita e politica, anziché portare all’evidenza i nessi, che ci sono sempre stati, tra due poli astrattamente divisi dell’esperienza umana, sembra aver prodotto un amalgama difficile da districare, ma proprio per questo destinato a muovere resistenze, prese di distanza individuali e collettive.

A lasciare aperta la speranza è ancora una volta la lettura che Fachinelli fece dell’“utopia” di Walter Benjamin: “esigenze radicali”, di cui si può dire che rappresentino in un particolare momento storico il “possibile attualmente impossibile”, e che per questa stessa ragione si ripropongono nel tempo a venire, chiedendo risposte e soluzioni. Che la crisi economica sia anche la crisi di un modello di sviluppo e di una civiltà che ha avuto come protagonista unico il sesso maschile, che la sessualità sia parte essenziale non riconosciuta della vita pubblica, dei suoi poteri, della sue istituzioni, dei suoi linguaggi, sono acquisizioni oggi presenti nelle coscienze di uomini e donne, più di quanto la generazione del Sessantotto potesse immaginare.


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Il “primum vivere”, che viene dalle teorie e pratiche originali del femminismo, trova paradossalmente nell’orizzonte chiuso di chi dice di non avere futuro, la sua spinta più forte e più convincente.

Chi ha seguito un’altra logica, un altro ritmo, non può fallire e scomparire per sempre. Attualità e inattualità, presente e passato, continuità e imprevisto, intelligenza personale ed elaborazione collettiva, non ubbidiscono a “passaggi meccanici”. Il rimando reciproco non è quello di causa-effetto e del discorso lineare, ma dei movimenti improvvisi, della frattura. A tenerli insieme è la possibilità della “ripresa” aperta a nuove, impensate soluzioni.

Non resta che sperare che la logica del desiderio, come la “passione” di Marx, la spinta ad autorealizzarsi da parte dell’uomo, lavori sotterraneamente, da vecchia talpa, e torni a sorprenderci, quando meno ce lo aspettiamo.


Lea Melandri ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura


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