Maria Carta,
personificazione di un’isola
Attilio Gatto
La donna in
nero, lo sguardo vigoroso, racconta scene da tragedia greca. Lei è stata
definita da uno scrittore la personificazione di un’Isola.
L’Isola è la
Sardegna. Lo scrittore è Giuseppe Dessì. La donna è Maria Carta. Dopo averla
conosciuta - scrive Dessì - “ancora una volta affermo che i soli grandi uomini
della Sardegna sono state le donne”.
Chissà se la
pensa così anche Gianfranco Cabiddu, il regista che nel suo primo
lungometraggio - “Disamistade”, 1988 - ha affidato a Maria Carta proprio la
parte di quella “donna in nero”, moglie dell’ucciso!
Lui ha
raccontato una storia di faida. Ma anche di rivolta alla legge della vendetta.
E di contrasti: la luce accecante delle mattine assolate e la semioscurità
degli interni, la rigidità di regole antiche e la voglia di cambiare quella
realtà immobile. E’ uno sguardo particolare alle donne di Sardegna, alla loro
condizione, alle loro aspirazioni.
Il film,
presentato in anteprima a Cagliari, fu accolto con entusiasmo dal pubblico.
Oggi lo si può vedere interamente digitando titolo e nome del regista su
Google. E il primo incontro è lei, il volto di Maria Carta, rara espressività,
occhi e passione. Un fascino che ancora illumina, dopo tanti anni, l’efficacia
dell’intreccio. E il film sembra ancora più bello.
Qui ci vuole
un piccolo sondaggio. Basta un “frame”, una foto alla “donna in nero”, postata
su Facebook, ed è subito successo. L’attrice Maria Carta, non solo la grande
cantante, è amata anche dai giovani d’oggi, non solo sardi.
Gianfraanco
Cabiddu ha una scuola importante dietro le spalle. Etnomusicologo, ha
cominciato come tecnico del suono tanti anni fa. Nel 1983 ha collaborato
all’ultima avvincente “follia teatrale” di Eduardo De Filippo. La traduzione in
napoletano del ‘600 della Tempesta di Shakespeare. Un’opera visionaria. Eduardo
la pubblicò con Einaudi. Ne parlò con orgoglio agli studenti universitari de
“La Sapienza”, a Roma. Conversò idealmente con Shakespeare, il collega
drammaturgo, si soffermò sulle parole evocatrici del testo inglese, sulla
“tavolozza napoletana”, sulla meravigliosa lingua teatrale che ne scaturì. E
poi volle registrare le voci, di Prospero, di Calibano, e via continuando. E
qui è entrato in scena Gianfranco Cabiddu. Accanto a Eduardo, ha intessuto i
toni, le pause, la stupefacente varietà linguistica del grande drammaturgo. La
sua eredità.
Cinque anni
dopo arriva il primo lungometraggio, “Disamistade”. Cabiddu ha parole d’affetto
per Maria Carta. Sì, anche per lui è l’immagine della Sardegna.“Presenza
affascinante, attrice duttile, generosa”. Capace di emozionarsi quando il
regista, per le scene del film, le consegna uno.scialle nero, di Sedilo,
appartenuto alla nonna. Per Cabiddu, Maria Carta è “una sorella maggiore”, ma
anche “una maestra, che va studiata perché è una figura che ha dato tanto alla
Sardegna, un profilo culturale ancora da scoprire.” Forte, magnetica,
passionale, ma anche sobria, essenziale, concreta, come la sua storia di
artista che ha incantato il mondo con la voce. E con la capacità di dominare la
scena.
Nel 1972, a
Roma, Teatro Argentina, nella Medea diretta da Franco Enriquez, con Valeria
Moriconi, Maria Carta è Il Coro. Nel 1989 è con Albertazzi nello scenario di
Villa Adriana, dove risuonano le parole del capolavoro di Marguerite Yourcenar.
Nel 1992 è Santa Teresa d’Avila nella commedia musicale “A piedi nudi…verso
Dio”.
Maria Carta,
amica di Pier Paolo Pasolini, Francis Ford Coppola, Franco Zeffirelli. Coppola
la vuole nel Padrino Parte Seconda, 1974: è la madre di Vito Corleone, in una
Sicilia che potrebbe essere Sardegna, dominata ancora una volta dalla donna in
nero. Con Francesco Rosi, fa parte del cast di un altro capolavoro, “Cadaveri
eccellenti”, 1976. Nel 1986 ha interpretato due film: “I padroni dell’estate”,
con la regia di Marco Parodi e “Il camorrista”, tratto dal libro di Giuseppe
Marrazzo, esordio alla regia del Premio Oscar Giuseppe Tornatore. Con
Zeffirelli - Gesù di Nazareth, 1977 - è Marta, la sorella di Lazzaro. Il vigore
nel volto, la veste nera e la volontà di esplorare nuovi spazi culturali.
Sentimenti universali. Nessun muro. Niente barriere. È la forza dell’arte,
declinata senza confini da Maria Carta.
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