Banche, controllori e controllati. Il credito perduto
Roberta Carlini
C’era una cosa che la
commissione d’inchiesta sulle banche poteva e doveva fare, nel
breve lasso di tempo concesso dalla fine di una legislatura durante
la quale sono fallite alcune banche e molti risparmiatori hanno perso
i soldi: ridare fiducia. Ossia il valore fondamentale, oltre che per
la civile convivenza, per il funzionamento del sistema bancario. È
vero che per far questo anche i politici devono godere di fiducia, e
invece sono all’ultimo posto nella classifica di persone e
istituzioni di cui gli italiani si fidano. L’impresa dunque era
difficile, tanto più in campagna elettorale. Per realizzarla,
serviva uno sforzo eccezionale di oggettività, passione e competenza
tecnica, nonché la selezione dei componenti in base a queste doti e
una momentanea sospensione del giudizio in attesa delle conclusioni
dei lavori: tutti fattori non pervenuti. Ma gli atti e i misfatti
degli ultimi giorni sembrano dirci non tanto che è fallita quella
missione, quanto che il vero obiettivo era un altro: avere un nuovo
giocattolo buono per la campagna elettorale, e poco importa se il
giocattolo poteva rivelarsi un’arma di distrazione e distruzione di
massa.
La commissione aveva
appena iniziato a lavorare, e già il segretario del pd aveva emanato
il suo verdetto: la vigilanza della Banca d’Italia non ha
funzionato, dunque il mandato del governatore non va rinnovato. La
sua richiesta non è stata accolta, ma si voleva far contare il
messaggio, spedito al di fuori di qualsiasi regola di correttezza
istituzionale: il Pd – quello di Renzi – non sta con i banchieri
centrali. Ci sono motivi per ritenere che la vigilanza della Banca
d’Italia non abbia funzionato? Certo, era il fatto stesso da cui si
partiva a farlo sospettare, e lo stesso governatore ha ammesso
ritardi. Né ha confortato i risparmiatori lo spettacolo delle due
massime autorità di controllo sul risparmio – la Banca d’Italia
e la Consob – che si sono rimpallate le responsabilità. Ancora
peggio è andata poi quando si è passati alla performance
dell’autorità giudiziaria, nella persona del procuratore capo di
Arezzo e il balletto attorno ai suoi cenni, al verbale dell’audizione
(ma non andrebbero letti, prima di pubblicarli, come si fa persino in
un’assemblea di condominio?), al suo doppio ruolo di giudice e
consulente del governo. Una pessima esibizione, da parte di tutti i
controllori: che ancora non ci dice però cosa non ha funzionato, se
sia stata colpa o dolo di singole persone, delle regole da
riscrivere, del sistema oppure di conflitti di interesse da tagliare
sul nascere.
Ma in tutto ciò non va
dimenticato che il vero oggetto dell’indagine sono, o meglio
dovrebbero essere, i controllati: le banche. La crisi economica
c’entra, ma fino a un certo punto, nel crac dei loro bilanci. Il
ritirarsi della marea degli anni buoni ha fatto venir fuori le
magagne: credito facile e allegro agli amici, vendita di prodotti
rischiosi a persone non in grado di capirli, imbellettamento – o
frode – nei bilanci, insomma carte false. La politica – la stessa
che adesso vorrebbe ergersi a giudice – è stata ed è molto vicina
a tutto ciò, da Siena a Vicenza a Chieti alle Marche ad Arezzo, e
non solo nella persona del papà di Maria Elena Boschi. Arrivando a
quest’ultima: ben venga il ripensamento, e la decisione della
commissione di sentire l’ex amministratore delegato di Unicredit al
quale, secondo la ricostruzione contenuta nel libro di Ferruccio De
Bortoli, l’allora ministra avrebbe chiesto di prendere in esame il
dossier Etruria per un’acquisizione. È legittimo che il governo si
interessi alla sorte di una banca in difficoltà, strano (se vero)
che lo faccia un ministro non competente in materia, imbarazzante che
lo stesso ministro abbia un familiare nel board, scandaloso che
passino mesi senza che si faccia chiarezza sull’episodio. Si potrà
fare chiarezza ora, in una audizione in extremis mercanteggiata con
altre per poter controbilanciare gli eventuali colpi, tutti mescolati
nel frullatore della campagna elettorale? Ce lo auguriamo ma – dati
i precedenti – ne dubitiamo.
Articolo pubblicato sui
quotidiani locali Agl (Finegil) il 7/12/17, ora nel sito di Roberta
Carlini
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