In un libro tanto amato da Leonardo Sciascia - I mimi siciliani di Francesco Lanza - si trovano numerosi apologhi che, resistendo al tempo in cui sono stati concepiti, riescono ancora a rappresentare bene le radici profonde dell'animo siciliano e del suo inguaribile individualismo.
Oggi ne propongo uno che mi sembra particolarmente attuale anche se il sistema elettorale oggi vigente è diverso da quello di ieri. (fv)
I
tredici sindaci di San Cataldo
A San Cataldo dovevano fare il sindaco. Misero la
bandiera al balcone, e la sera i tredici consiglieri si radunarono al
municipio. Ma, giunti al fatto, non potevano mettersi d'accordo. Chi voleva
questo chi quello, e quando l'uno era pronto l'altro spuntava, e ci trovavano
subito i difetti, e i se e i ma. Tutt'e tredici, ognuno diceva la sua, perché
così e così il popolo voleva un sindaco e non un càntaro con la
sciarpa. Consumarono tutta la saliva che avevano in
bocca, e a mezzanotte non avevano ancora concluso nulla. Finalmente la folla,
che assisteva pigiandosi come le sardelle in un barile, stanca gridò:
– Votazione, votazione!
I tredici si sedettero; e sputacchiando e spurgandosi
per darsi dignità, ognuno scriveva il proprio nome nella polizza, e con
sussiego andava a deporla nell'urna,
dicendo verso la folla, con una mano sul petto:
– Questo lo faccio per il bene del popolo. E quelli
battevan le mani.
Così, a scrutinio finito, i sancataldesi si ebbero
tredici sindaci.
da Francesco Lanza, Mimi siciliani
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