Nell'ultimo libro di Chiara Frugoni la famiglia, la vita
in città, il traffico e lo smaltimento dei rifiuti, il ruolo delle donne e soprattutto la
condizione dei bambini a partire dai giochi. Un grande affresco della
vita quotidiana nel medioevo.
Maria Bettetini
Essere bambini nel
Medioevo
Un mondo alla rovescia: le donne più fortunate, sane e colte sono le monache. Le mogli, povere o ricche, serve o principesse, erano minacciate e spesso uccise dal parto, anche uno ogni due anni, tanto più numerosi quanto alta era la mortalità dei bambini. Il Medioevo sembra stupire, eppure ancora oggi così vivono e muoiono donne e bambini non in pochi casi isolati, e un secolo fa così andava in diverse zone d’Europa. Ora però quello che desideriamo è un’immersione nella quotidianità del Medioevo, per conoscere, per osservare, anche per fare paragoni sul modo di prendere la vita e la morte.
La nostra è una guida
d’eccezione, molto nota anche ai lettori non specialisti per la
grazia con cui da anni ci accompagna nelle case e nelle vite dei
Medievali, dei grandi, come San Francesco, dei piccoli, come i
bambini cui è dedicato questo ultimo suo lavoro. Vivere nel Medioevo
ha infatti come sottotitolo Donne, uomini e soprattutto bambini.
Lo studio di fonti
scritte e, soprattutto, iconografiche è sufficiente a renderci
partecipi della vita delle famiglie, in particolare dei bambini,
vissuti nei secoli che vanno dal quinto al quindicesimo, all’incirca.
Ancora non sappiamo bene come definire cronologicamente questa Età
di Mezzo, questi mille anni che spesso si vorrebbero eliminare dai
programmi scolastici, che sembra siano stati solo una sgradevole
interruzione tra lo splendore dell’Impero romano e la riscoperta
dei classici.
Frugoni non usa mezzi
termini: i bambini morivano, i genitori lo sapevano e a loro si
affezionavano solo col tempo. Nessun sogno durante l’attesa,
nessuna aspettativa per il futuro, la gravidanza di “dolce” aveva
poco, anche in termini sociali. Se poi sopravvivevano, allora sì, a
poco a poco diventavano amati, forse coccolati, però per breve
tempo: le femmine erano subito messe a lavorare in casa, quasi
servette del resto della famiglia, dei fratelli e del padre. I
maschi, molto presto, forse a sette-otto anni, andavano a bottega o
nei campi, niente scuola, niente vacanze, pochi giochi.
Eppure lunghe pagine sono
dedicate dall’autrice proprio ai giochi dei bambini in epoca
medievale, complici dettagliate miniature di bimbi che vanno in
slitta su mascelle di cavalli e su altre ossa pattinano, che corrono
sui trampoli, volano in altalena, catturano farfalle con l’ausilio
di strani cappucci. Complice soprattutto un dipinto di Peter Brueghel
del 1560, oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tardo, rispetto
al Medioevo “tecnicamente” inteso, ma non discosto dalla realtà
dei secoli precedenti: il quadro rappresenta circa ottanta giochi,
usati da più di cento bambini.
Non c’è tenerezza, i
bambini non sono belli, né paffuti, né rosei, hanno piuttosto
l’aria goffa di chi non è ancora del tutto umano. A Frugoni
interessa mostrare, tra le altre cose, la quasi assenza di oggetti
costruiti apposta per il gioco: i cerchi sono presi dalle botti, i
sassi non han bisogno altro che di essere raccolti, le trottole e le
girandole potevano essere fatte anche dai bambini più grandi. Per
nuotare si usava come salvagente una vescica di maiale gonfiata, per
giocare al mercante una bilancia sottratta forse ai genitori.
Non erano capaci, i
medievali, di costruire giocattoli? Non è certo questo il problema.
Ma perché dedicare tempo e fatica a un “mercato”, come diremmo
oggi, così instabile (come sapere se questi bambini sarebbero
arrivati all’età del gioco) e, soprattutto, così poco durevole,
considerati i pochi anni che intercorrevano tra lo svezzamento e
l’impiego nel lavoro.
Oggi, le famiglie si
modellano sull’arrivo, sulla crescita, sulla costruzione del futuro
dei figli. Nel Medioevo, l’arrivo di un figlio era accettato solo
come metafora della imponderabilità del volere divino: quale dei
bambini sarebbe nato sano e poi sopravvissuto, avrebbe la madre
superato infezioni e altre problematiche legate al parto, chissà.
Vita e morte non erano
sentite come realtà lontane e antitetiche, necessariamente vivere
comportava un continuo incontro col morire. Se qualcuno avesse inteso
non pensarci, sarebbe stato richiamato alla realtà dalle danze della
morte di cui abbiamo ancora superbi esempi a Pisa, a Palermo, nelle
chiese alpine. Alle malattie si devono poi aggiungere le scellerate
abitudini di costringere il neonato in fasciature strettissime, di
nutrirlo spesso in maniera inadeguata, di farlo dormire nello stesso
letto della balia, una pigrizia che spesso portava al maldestro
soffocamento del piccolo.
Erano tristi e soli, per
questo, i bambini? Non sembrerebbe, da come giocano, nuotano, si
arrampicano, danzano nelle immagini a noi giunte. Erano abbandonati a
se stessi, forse sì. Ma per poco, a breve un superiore, forse un
parente, forse un padrone, avrebbe tolto definitivamente quelle ore
d’aria di cui era bene godessero finché potevano.
E madri e padri? Curiosi,
per noi, alcuni aspetti della vita familiare. Il letto era il centro
della quotidianità, di giorno come di notte. A letto, oltre a
svolgere le attività che ci sembrano consone al luogo, si mangiava,
si riceveva, si dava ospitalità, era normale dormire almeno in tre o
quattro per letto, anche negli alberghi. Non, o forse non solo, in
vista di promiscuità che i novellieri hanno saputo ben raccontare,
ma soprattutto in fuga dal freddo e dagli spifferi, vero e proprio
incubo di case senza vetri, protette da legni e tendaggi.
Ecco perché le pitture,
che pur rappresentano una coppia legittimamente nuda nel letto, non
mancano di dipingere i due sposi con in testa un pesante cappello di
lana. Si può capire come la vita tra le mura di un convento fosse
ritenuta più calda e sicura. E, come si diceva in apertura, di
maggior soddisfazione per la donna.
Chiara Frugoni paragona
il ruolo delle regine, al grado massimo della scala sociale però
sempre e solo in quanto mogli del re, a quello delle monache. Nel
caso, per esempio, della moglie di Carlo il Calvo, abbiamo il
frontespizio di una Bibbia, datata circa 870. Carlo, il re, è grande
il doppio dei quattro personaggi che gli sono accanto, tra questi la
moglie, non sappiamo nemmeno se la prima, Ermintrude, o la seconda,
Richilde. Ben differente la pagina vergata da una innominata
monachella di Essen, in cui chiede alla superiora Felhin di poter
rimanere sveglia tutta la notte per continuare a studiare con la
maestra Adalu. Fehlin lo concede, entrambe scrivono in perfetto
latino. Siamo nel decimo secolo, ancora le università non hanno
proibito l’istruzione alle donne, ancora i magistri non temono la
rivalità delle magistrae.
Il Sole 24Ore – 3
dicembre 2017
Chiara Frugoni
Vivere nel Medioevo.
Donne, uomini e soprattutto bambini
il Mulino
€ 40
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