La
Fondazione Beyeler di Basilea ospita, dal 1 ottobre 2017 al 21
gennaio 2018, la mostra "Paul Klee - La dimensione astratta".
Una grande retrospettiva delle opere di uno dei più significativi
autori del Novecento. "L'arte non riproduce il visibile; rende
visibile ciò che non lo è", in questa frase di Klee è
racchiuso il senso della mostra.
Fabrizio D'Amico
Paul Klee. La
dimensione astratta
"Il colore mi
possiede, per sempre. Io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore".
Con questa certezza Paul Klee tornò dalla Tunisia, dove era andato
nel 1914 con l'amico August Macke, che morirà quell'anno stesso in
guerra. Tunisi, Hammamet, Kairouan — le loro luci colme, i loro
colori gioiosi — gli donano d'improvviso la maturità: giunta
dunque tardi, a trentacinque anni. Klee, che era nato nel 1879 nelle
vicinanze di Berna da genitori musicisti, aveva diviso fino ad allora
il suo lavoro fra musica, disegno e scrittura.
Era giunto quasi
inatteso, nel '12, l'invito di Kandinsky alla seconda mostra del
Cavaliere azzurro a Monaco di Baviera; quell'anno stesso era anche
tornato a Parigi, conoscendovi tra gli altri Robert Delaunay. Ma è
solo al ritorno dal viaggio in Tunisia che inizia la sua stagione più
felice, con mostre che si susseguono di anno in anno, spesso
accompagnate da un convinto successo di pubblico e critica; finché
nel ‘20 è chiamato da Walter Gropius ad insegnare al Bauhaus.
Staedtische Komposition mit gelben Fenstern
È una sorta di
incoronazione: da allora, Klee entra a far parte della ristretta
cerchia di artisti che, un po' ovunque in Europa, cercano,
percorrendo strade diverse, la verità della pittura oltre la mimesi
della realtà. Ora la Fondazione Beyeler di Basilea dedica una mostra
a La dimensione astratta di Klee (a cura di Anna Szech; fino al 21
gennaio 2018), ponendo l'accento su uno dei due poli della sua
pittura, quello che ne fece uno degli interpreti più consapevoli e
teoreticamente agguerriti dell'arte non figurativa.
All'altro capo dei suoi
propositi, l'opposto: disse, al tempo della guerra: «quanto più
spaventoso è questo mondo (come oggi), tanto più è astratta
l'arte»; e ancora: «Astrazione. Il freddo romanticismo di questo
stile senza pathos è inaudito». Vennero allora case, giardini,
architetture d'ogni tipo; e spesso i suoi dipinti, le sue carte
all'acquarello prendevano titoli che rafforzavano il sospetto di una
suggestione provata di fronte alla natura. Eppure, quei suoi dipinti
hanno, tutti, quel malessere inaudito — quella separatezza dalla
realtà che li fa, infine, ad essa radicalmente estranei.
Non c'è profondità in
lui; senza una collocazione prospettica, le cose si snodano sulla
superficie senza ordine, senza gerarchia. Vagano in un'atmosfera
senza aria, irrespirabile.
Sono sogni? Nemmeno; solo
segni disposti sul piano, invasi da un colore eccitato negli anni
Dieci, poi più sobrio e talvolta scuro, infine (dal quarto decennio,
fino alla morte venuta nel 1940) nuovamente vario e imprevisto,
solcato da un segno che s'è nel frattempo inturgidito, e che ora
delinea forme più salde.
Segni in giallo
"L'arte non
riproduce il visibile; rende visibile ciò che non lo è"; Klee
persegue dunque non una "forma come valore", come entità
data una volta per sempre, chiusa in sé, immota, ma il "modo
del suo prodursi", ha scritto Argan. È per questo che Klee
accede indifferentemente ad una elementare e quasi ingenua
figurazione, e all'opposto ad una concentrata astrazione
geometrizzante, e persino ad una indagine pre-surrealista che posa lo
sguardo sulle regioni misteriose dell'abisso, nelle terre "dei
morti e dei non nati"; o che guarda, per trarne ispirazione —
anticipando in ciò tante avanguardie, fino a Dubuffet — , il
disegno infantile, e l'arte prodotta dagli alienati e dai folli.
Una serie di
contraddizioni e antinomie toccano allora la sua opera: divisa sempre
fra emozione e controllo del pensiero; fra un misterioso tremore e
una solare, dimostrabile evidenza; fra cecità e lucida
consapevolezza; tra flagranza e sogno; fra giocosa incostanza della
creazione e umilissima sistematicità dell'impegno fabbrile; fra
tutto quanto è regola, insomma, e tutto quanto, lì a fianco, è sua
trasgressione.
Così i suoi "paesaggi"
sono non più che implausibili topografie inerpicate su una verticale
primordiale, pre-rinascimentale; paesaggi che irridono il canone
prospettico e mettono assieme, in uno spazio tenuto precariamente in
bilico sul nulla, casette e triangoli, cerchi ed aloni, ellissi e
punti esclamativi, lettere e occhi, alberi e stelle: in un'antologia
di un mondo creato non dalla memoria, né dallo sguardo, ma dal
paziente lavoro di un ricercatore in traccia di una possibile realtà
che tutto il già visto sappia dimenticare. Per questo Klee — più
del "didascalico" Mondrian, o del "romantico"
Kandinsky, che l'avevano preceduto sulla via dell'astratto — è
stato maestro di tanti; ed è tuttora il pittore forse più amato, e
interrogato, dell'intero secolo scorso.
La Repubblica - 26
novembre 2017
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