29 dicembre 2017

LUTERO e BACH. LINGUA e MUSICA


Oltre a tradurre la Bibbia in tedesco, Lutero trasformò canti popolari in inni religiosi. Un modo attraverso la musica di avvicinare il popolo alla chiesa. Ne derivò una vera e propria rivoluzione musicale.

Paolo Isotta

Martin Lutero, il protestante amico della musica (a modo suo)

Avevo promesso di ricordare i cinquecento anni della Riforma di Lutero sotto il profilo del rapporto fra protestantesimo e musica. Il primo degli articoli che a tale tema dedico tratta di ciò che avviene prima di Bach, che di tale rapporto è il culmine, come lo è della musica stessa.

Lutero era a modo suo un amico della musica. Gli piacevano le canzoni: che fossero domestiche, edificanti. In pari tempo, i fedeli dovevano intensamente partecipare alla celebrazione liturgica. Il suo genio introdusse le canzoni nel rito. Canzoni profane presero un testo devoto; canzoni devote presero nuova forza; melodie liturgiche del canto gregoriano vennero semplificate e ricevettero un testo tedesco. Il Lied diviene il Corale in tedesco, la base della musica sacra luterana.

Presi in sé, molti Corali sono bellissimi. Non sono un’interpretazione della parola liturgica, come avviene nella polifonia sacra cattolica che nel corso del Cinquecento si sviluppa. Le melodie servono quale veicolo della parola, e la loro generica emozione, coll’emozione che sempre nasce dal fatto di cantare insieme – e l’assemblea i Corali cantava – faceva penetrare la Parola di Dio nelle anime dei fedeli.

Ma legge della storia è l’eterogenesi dei fini. La complessità della polifonia era ormai acquisita alla musica: non si poteva sradicare. Peraltro Lutero non poteva immaginare che la musica, sviluppandosi come linguaggio e forma autonomi, si sovrapponesse alla Parola colla parola sua propria.

L’arte dello sviluppo della melodia gregoriana in complesse, pur se sintetiche, strutture strumentali sull’organo, già esisteva. Un ponte unisce Girolamo Cavazzoni (1520-1577) non solo a Girolamo Frescobaldi, il più importante compositore per organo prima di Bach, ma anche a Jan Pieterszoon Sweelink (1562-1621) e alla serie dei grandi organisti tedeschi del Seicento, culminanti in Dietrich Buxtehude (1637-1707), Johann Adam Reincken (1643-1722) e Nicolaus Bruhns (1665-1697).
In pari tempo, l’elegante organo rinascimentale dal timbro equilibrato, ideale trasposizione strumentale delle quattro voci di un coro, viene superato dall’organo secentesco neerlandese, scandinavo e, soprattutto, tedesco. Opera d’arte architettonica, esso è in pari tempo il culmine della tecnologia dell’epoca del Barocco. Suono possente quale nessuna orchestra dell’epoca poteva sognare, policromia di registri.

E in Germania, pur con la carestia e lo spopolamento e la miseria causati dalla Guerra dei Trent’Anni, anche le piccole città si svenavano per avere un grande organo nel quale si concentrasse l’orgoglio municipale. (Bach guadagnò in vita più come collaudatore di organi – le sue perizie sapevano scoprire persino se la lega metallica delle canne era stata artefatta per economia – che come compositore).

Il Corale diviene, come il canto gregoriano in Frescobaldi, ma con un’ ampiezza e intensità di sviluppi propria dell’anima tedesca, la base per grandiose forme strumentali autonome, culminanti nella Fuga. Noi siamo abituati a pensarlo siccome trattato da Bach: ma anche la conoscenza della sua opera non oscura l’ammirazione per l’arte di Maestri i quali sono alla base della stessa tecnica dell’elaborazione tematica di Bach e poi della musica classico-romantica.

Wagner usa il luteranesimo a fini politici pangermanici; ma c’è un ponte linguistico, stilistico e formale che dai Maestri dell’organo secentesco tedesco porta a lui. La Parola viene sussunta e assorbita, diviene pura forma musicale. E dobbiamo ringraziarne Lutero…: la musica ha delle ragioni che la ragione di Lutero ignora.

 Il Fatto – 21 dicembre 2017



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