Ripropongo la recensione del libro di
Irene Nemirovsky,
Suite Francese,
Adelphi 2009, pubblicata da Fabrizio Trabbona sul blog http://rosso-malpelo0.blog.kataweb.it/
Un’amica ci ha suggerito la lettura
di questo libro. Una fortuna. Una fortuna poter leggere. Una fortuna potere
leggere un libro così bello. Una scrittura densa, poetica e fotografica
insieme, una prova evidente di intelligenza creativa. Una rarità. Come un pugno
nello stomaco è la storia di questo romanzo, cioè del suo manoscritto. Come è
che sia scampato alle vicissitudini attraverso cui è passato nel corso degli
eventi dolorosamente folli della II guerra mondiale.
Irene era un’ebrea, figlia di un ricco banchiere russo - ucraino arrivato in
Francia nel 1919 dopo avere peregrinato nel nord Europa insieme alla sua
famiglia, in fuga dalla rivoluzione dell’ottobre del 1917. Chiusa quella
parentesi la famiglia di Irene approdò in Francia nel 1919 ma, dopo un’ansa di
meno di venti anni, ricavata nel buio della tempesta, durante la quale Irene
ebbe il tempo di vivere, di diventare una scrittrice e di farsi una famiglia,
si aprì una parentesi mortale dove, una volta aperta, non ci fu scampo, in quel
secolo dannato, per gli uomini e le donne, specialmente ebrei, ricchi o poveri
che fossero.
Era ucraina, Irene e basti dire che “nel corso della seconda guerra
mondiale, sotto l’occupazione nazista, in Ucraina il prezzo pagato in vite
umane fu il più alto in tutta Europa: morirono più di otto milioni di ucraini,
di cui 1,5 milioni di ebrei” (A. Shevchenko, Ucraina, Morellini Editore,
2007, pg.26).
La storia di Irene, quella della sua famiglia, del marito e delle sue due
figlie è la storia di una tragedia in cui orrore e stupidità sono sovrapposti.
Uno spreco orrendo. Se solo si pensa, restando in ambito letterario, che Ezra
Pound fu strenuo sostenitore del fascismo, anche di quello repubblichino
(inclusa l’osannata “Carta di Verona” che, fino all’ultimo, vota gli ebrei allo
sterminio), così come fu accesamente antisemita il grande Louis Ferdinand Céline,
verrebbe, di fronte alla fine di quella famiglia, di dimenticarsi della
grandezza artistica (almeno nel caso di Céline) e vomitare sopra tutte le loro
opere, allo stesso modo di come il protagonista di “Viaggio al termine della
notte” vomita durante la traversata della Manica.
La persecuzione degli ebrei, non ci stancheremo di ripeterlo, fu una follia
sanguinaria e demenziale senza alcuna giustificazione storica che non va, però,
attribuita integralmente al popolo tedesco (sebbene ne portino sulle spalle il
fardello maggiore). Infatti quelli che il 13 giugno del 1942 bussarono alla
porta di Irene, nel suo rifugio in un piccolo villaggio della Borgogna, Issy -
Eveque, erano gendarmi del governo collaborazionista francese, alleato dei
nazisti, del maresciallo Pétain. Irene, che già aveva raggiunto una certa
notorietà come scrittrice, aveva già tentato di sfuggire alle persecuzioni, le
era già stato imposto, a lei e alle bambine, di cucirsi sugli abiti la stella
gialla, e quel piccolo villaggio era sembrato l’ultimo rifugio possibile
dall’idiozia criminale. Due giorni prima che l’arrestassero scrisse sul suo
diario:
“Bosco della Maie, 11 luglio.
I pini intorno a me, Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera
in mezzo ad un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte
scorsa, con le gambe ripiegate su di me! Ho messo nella borsa il secondo volume
di Anna Karenina, il Diario di K.M. e un’arancia. I miei amici calabroni,
insetti deliziosi, sembrano contenti di sé e il loro ronzio ha note gravi e
profonde. Mi piacciono i toni bassi e gravi nelle voci e nella natura. Lo
stridulo “cip cip” degli uccellini sui rami mi irrita… Tra poco cercherò di
ritrovare quello stagno isolato”. (”Suite francese”, Appendice, pg.
364)
Irene morirà appena giunta ad Auschwitz, nell’agosto del 1942. Il marito,
Michel Epstein, che ne ignorava la sorte si dà da fare presso le autorità
affinché accettino una sorta di scambio, data la cagionevole salute di Irene,
proponendo all’autorità di Vichy che prendessero lui al posto della moglie. Di
lì a poco Michel sarà accontentato, senza però avere nulla in cambio, men che
meno la notizia della morte di Irene. Verrà arrestato, deportato anche lui ad
Auschwitz e gasato, come milioni di altri ebrei. A questo punto le bambine
resteranno in balia del destino che non sarà altro che un penoso peregrinare da
un nascondiglio all’altro, conventi, case religiose, etc. con il solo, ma
prezioso, sostegno di una ex infermiera che farà loro da tutrice.
Subiranno persino l’ignominia di essere rifiutati dalla nonna materna,
rifugiatasi tranquillamente a Nizza, una donna la cui malvagità era stata fonte
di dolorosa ispirazione per Irene. […]. Nella loro fuga le bambine si
porteranno dietro una valigia con dentro poveri ricordi, foto, documenti e
“l’ultimo manoscritto di Irene, redatto con una grafia minuscola per
risparmiare l’inchiostro e la pessima carta del tempo di guerra - l’opera in
cui la Nemirovsky aveva tracciato un ritratto spietato della Francia abulica,
vinta e occupata” (”Suite francese”, Postfazione di Myriam Anissimov, pg.
413).
Fabrizio Trabona.