Oggi mi piace recuperare un breve articolo di Enzo Bianchi sull' Apocalisse pubblicato sul Corriere della Sera:
"Apocalisse,
apocalittico: due termini che nel linguaggio corrente sono fortemente evocativi
e sono generalmente intesi come sinonimo di catastrofe, di evento disastroso di
dimensioni eccezionali, come profezia di eventi tragici o semplicemente come
profezia del futuro. Nella Bibbia apocalisse (in greco apokálypsis)
significa invece ri-velazione, ossia l’operazione con cui si alza il velo e di
conseguenza il ricevere una conoscenza più profonda della storia. L’apocalisse
consente di vedere, per dono di Dio, che nella storia si oppongono il male e il
bene, la volontà di Dio e l’efficacia del Maligno, il Messia e l’anti-Messia, i
credenti-giusti e gli empi-malvagi.
Al centro
del libro dell’Apocalisse, quello con cui la Bibbia si chiude, sta Gesù Cristo,
il Signore, che è presentato mediante l’immagine di un Agnello ucciso e risorto,
vittima e vincitore, una vittima tra le vittime della storia eppure, nel
contempo, un vincitore alla fine della storia, quando aprirà il Regno di Dio
per l’eternità. È il paradosso cristiano, il paradosso della croce: la
debolezza si mostra forza, l’abbassamento in realtà è gloria, la posizione del
servo concede il vero primato, l’essere vittima fino a versare sangue è
condizione di resurrezione, perché l’amore vissuto vince la morte. L’Apocalisse
è dunque un libro carico di speranza per chi è ultimo, povero, oppresso
dall’ingiustizia, ed è un libro che risuona come un estremo avvertimento per
chi opprime, perseguita, pensa a vivere senza gli altri e contro gli altri.
Nel capitolo
13, al cuore del libro, Giovanni, l’autore dell’Apocalisse, descrive una
visione in cui si alza il velo sul potere di questo mondo. È una visione
tragica, molto negativa del potere. In verità nel Nuovo Testamento ci sono
altre visioni più positive, in cui il potere politico è letto non solo come
necessario ma addirittura come rivestito del mandato di essere ministro di Dio
per il bene della società (si vedano, in particolare, Rm 13,1-7 e 1Pt 2,13-17).
Giovanni scrive invece in un tempo di persecuzione dei cristiani da parte
dell’impero romano, in un’epoca in cui sperimenta l’oppressione da parte del
potere totalitario. Per questo contempla le possibili derive negative del
potere politico attraverso la descrizione di due bestie.
Mentre egli
si trova a Patmos, una piccola isola del mar Egeo, vede una prima bestia che
sale dall’occidente, dal mare (Ap 13,1-10): è una bestia che ha un potere
enorme (dieci corna), che esercita un grande dominio (dieci corone) e ha sette
teste recanti ognuna un titolo blasfemo. Questi titoli rappresentano la pretesa
del potere che appare sempre poliforme; la bestia vuole essere chiamata con i
titoli che spettano solo a Dio: Divino, Signore adorabile, Salvatore… Giovanni
ci mette di fronte al potere politico che ha la pretesa di essere totalitario e
che si manifesta come bestiale e disumanizzante: il potere che vuole porsi
sopra il bene e il male, che si fa applaudire e venerare, che estorce il
consenso, che si vuole non giudicabile. Ma il potere totalitario domina perché
gli umani lo lasciano dominare, fino a dire: «C’è qualcuno simile alla bestia e
capace di vincerla?» (cf. Ap 13,4). Di conseguenza la bestia si esalta, alza la
voce, grida, vanta il consenso che le viene dato da una gente omologata,
incapace di critica e di resistenza. Sicché, dice Giovanni, anche quando essa
perseguita, opprime e toglie la libertà, anche allora sa sedurre, e dunque
viene adorata: «La adorano tutti gli abitanti della terra ma non i seguaci
dell’Agnello» (cf. Ap 13,8). Questa è la religione del potere!
Ma Giovanni
vede apparire anche una seconda bestia, da oriente, dalla terra dell’Asia
Minore (Ap 13,11-18). Questa ha un aspetto meno grandioso, non sembra essere
violenta: ha due corna come quelle di un agnello e quindi non fa paura; sembra
anzi un profeta ma in realtà è un falso profeta. Qual è l’identità di questa
bestia? Come per la prima, su di essa vige il consenso degli interpreti
dell’Apocalisse di ieri e di oggi: questa bestia che è a servizio della prima,
che ha le sembianze di un agnello ma quando parla ha la voce potente di un
drago, è l’ideologia, la propaganda. Essa serve la prima con la propaganda, con
la pubblicità, con tutta la dotazione di mezzi in suo possesso per comunicare,
per far apparire: fa erigere persino una statua al potere totalitario e mette a
morte chi rifiuta di riconoscerla e di prostrarsi a essa. L’asservimento al
potere totalitario, l’organizzazione del consenso sono perseguiti e garantiti
dall’opera di persuasione della seconda bestia, la quale ha una capacità
enorme, opera cose straordinarie, desta ammirazione. Ecco dunque l’opera della
seconda bestia: seduce gli uomini, li omologa tutti culturalmente, li diverte e
li aliena. Essa rappresenta il primato dell’immagine, dell’apparire,
dell’ostentazione del potere, dell’arroganza della vita, è la vertigine della
falsità. E gli uomini omologati applaudono, erigono una statua alla prima
bestia, invocano il capo, il grande timoniere, il führer, il duce, l’unto:
siamo di fronte al culto della personalità. È proprio così e la nostra
generazione conosce bene questa realtà, non foss’altro che per aver visto
erigere tante statue e monumenti al potere totalitario, salvo poi vederli
miseramente cadere…
Giovanni,
infine, è ancora più preciso: questa bestia è così performativa da persuadere
tutti, «piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi» (Ap 13,16), i
quali sono inebetiti al punto di credere che il diritto di comprare e di
vendere, di possedere e di essere ricchi equivalga all’unica definizione
possibile della vita. Ma in verità il marchio imposto sugli uomini dalla bestia
è alienazione, omologazione, corruzione, falsità che si erge a sistema
organizzato. Per chi legge con intelligenza l’Apocalisse, questa non è
descrizione di una catastrofe: è profezia che ci fa aguzzare gli occhi, per
guardare in faccia con lucidità la possibile degenerazione del potere.
Enzo Bianchi
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