E’ stato un vero piacere per me
leggere il libro curato da Elisa Medolla e Roberto Sandrucci - “Ciascuno
cresce solo se sognato”. La formazione dei valori tra pedagogia e
letteratura - pubblicato da Salvatore Sciascia alla fine del 2003, nella
collana “percorsi formativi” diretta da G. Cacioppo. L’opera, ignorata dalla cultura
aziendalistica ormai imperante ovunque, è una miniera da esplorare
particolarmente adatta agli insegnanti
che non hanno smarrito l’amore per il loro difficile lavoro. Il titolo è preso dal verso di una poesia di
Danilo Dolci, sapientemente commentato
da Elisa Medolla in uno dei saggi che compongono il volume. Si articola in dodici brevi monografie che, nonostante la loro
autonomia - come nota Nicola Siciliani de Cumis in Prefazione - sono legate tra
loro dalla tensione comune verso la rottura degli schemi tradizionali
dell’insegnare e dell’apprendere.
Dai singoli saggi vengono fuori
ritratti insoliti di alcuni protagonisti
del secolo scorso ( tra gli altri, G. Anders, J. Dewey, Lorenzo Milani, M.
Montessori, E. Vittorini, T. Mann, A. Gramsci, C. Zavattini, D. Dolci). Non essendoci qui spazio sufficiente per
analizzarli tutti, mi soffermerò
brevemente soltanto su quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Il primo è dedicato a Gunther
Anders, l’ autore di celebri libri - Essere o non essere. Diario di Hiroshima e
Nagasaki (1961); L’uomo è antiquato ( I. 1963) e Sulla distruzione della vita
nell’epoca della terza rivoluzione industriale (II. 1992) – che hanno fatto riflettere diverse generazioni sulla
svolta epocale segnata dallo scoppio della prima bomba atomica. Ne è
autore Roberto Sandrucci, uno dei due curatori del volume, che non manca
polemicamente di ricordare i rapporti difficili avuti da Anders, fin da
giovane, con il maestro Heidegger.
L’uomo che ha dedicato una vita intera a parlare e a scrivere su Hiroshima e
dintorni è stato più volte accusato di essersi fissato su un unico problema. Ai
suoi critici Anders ha replicato
osservando che la sua “fissazione” serviva soltanto a destare dal sonno quanti
non coglievano la portata simbolica dell’evento atomico, frutto estremo di
quella “tecnicizzazione dell’esistenza” che ha trasformato gli uomini in rotelle
inconsapevoli di un meccanismo infernale.
L’interesse di Gramsci per i problemi educativi non è una scoperta
di Maria Pia Musso. Il merito maggiore del suo saggio va ricercato nella sua attenta lettura
dell’epistolario gramsciano che, integrata dalla conoscenza dell’edizione critica dei
Quaderni, le permette di evidenziare
l’attenzione costante prestata dal sardo ai problemi del linguaggio, alle
fiabe, alle tradizioni popolari e al loro rapporto con la politica. La Musso
ricorda che Gramsci in carcere, tra il 1929 e il 1932, tradusse perfino alcune favole dei Grimm
e la lettera alla sorella del 18
gennaio 1932, di cui riportiamo un
brano, permette di capire l’uso che intendeva farne:
Ho
tradotto dal tedesco, per esercizio, una serie di novelline popolari, proprio
come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini, e che anzi in parte
rassomigliano loro, perché l’origine è la stessa. Sono un po’ all’antica , alla
paesana, ma la vita moderna , con la radio, l’aeroplano, il cinema (…)non è
ancora penetrata abbastanza a Ghilarza
perché il gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal nostro d’allora. Vedrò
di ricopiarle in un quaderno e di spedirtele (…) come un mio contributo allo sviluppo della fantasia dei
piccoli. Forse il lettore dovrà metterci un pizzico di ironia (…) nel
presentarle agli ascoltatori, come omaggio alla modernità (…) Del resto, non so
se ricordi: io dicevo sempre, da bambino, che avrei desiderato di vedere zia
Alene in bicicletta, ciò che dimostra che ci divertivamo a mettere in contrasto
i trogloditi con la modernità relativa di allora…
Non meno interessante il contributo
di Chiara Ludovisi su don Lorenzo Milani. La centralità data dal priore di
Barbiana all’educazione linguistica viene messa nel giusto rilievo: “La
parola è la chiave fatata che apre ogni porta”; “è solo la lingua che fa
eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui”. La
padronanza della parola e la conoscenza delle lingue sarà sempre considerata la
precondizione essenziale per accorciare le distanze create da ogni società classista.
Il godimento intellettuale solitario
sarà sempre vissuto da don Milani come una diabolica tentazione. Ecco perché i
ragazzi di Barbiana hanno ben riassunto la lezione del loro straordinario
maestro nelle parole che scriveranno nella famosa Lettera a una
professoressa: “Il sapere serve solo per darlo”.
Concludiamo con il saggio di Elisa Medolla
su D. Dolci. Dell’anomalo
sociologo viene innanzitutto evidenziato il costante impegno educativo e la
sua capacità di far rivivere la lezione
dei grandi spiriti del passato. Particolarmente emblematico il suo rapporto con
la maieutica socratica:
Una
levatrice aiuta a far nascere la nuova vita che una persona ha in sé. Così il
domandarsi, il domandare cosa è la speranza, l’amore, la vita, tende a far
nascere una risposta in quanto ciascuno ha sperato, amato, vissuto, cioè già
possiede in sé i semi della risposta (…) Occorre individuare oltre la favola socratica
– e il modello socratico stesso – il nodo essenziale: come approfondire e
allargare l’osservazione; come esercitarla ed esprimerla in forme diverse
valorizzare l’esperienza personale per cercare di risolvere i problemi che la
vita ci chiede di risolvere. (D.Dolci, Chissà se i pesci piangono, Einaudi
1973, pp.265-266)
Altrettanto creativo il suo confronto
con Gesù Cristo che trova la sua più compiuta espressione in uno dei suoi
ultimi libri, La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, 1996. Per Danilo ( il Dolci amava farsi chiamare da
tutti solo per nome) le parabole evangeliche sono “inviti a scoprire”
ciò che si nasconde dietro il velo dell’allegoria. Pertinente appare infine il riferimento a
Tolstoj, altra “creatura profetica” il cui esempio sarà sempre tenuto presente
dal triestino trapiantatosi in Sicilia. D’altra parte era profondamente
convinto che “senza un vivo rapporto coi principi, senza tensione a fini e
ideali (…), i nostri interessi appassiscono, si rinchiudono, e tutta la nostra
vita immiserisce”.
Francesco
Virga
Amici mi dicono che spesso non riescono a mandare i loro commenti. Trascrivo pertanto il veloce scambio epistolare avvenuto via e-mail con uno di loro:
RispondiEliminaCaro Franco,
che spiegazione dai alla frase: ”Ciascuno cresce solo se sognato”? Non credo di capirla fino in fondo. E ciò dipende sicuramente dalla mia ignoranza persistente sull’opera di Dolci di cui davvero vorrei che scrivessi più spesso.
Grazie, comunque.
Fabrizio
Caro Fab,
per comprendere il senso che Danilo dava al verso che ti ha colpito può essere utile trascrivere per esteso il contesto da cui è tratto:
C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo, ma cercando
d'essere franco all'altro come a sè,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
Danilo Dolci, Poema umano, Einaudi 1974.
A me piace per la sua apertura al NON ANCORA di blochiana memoria. Un filo lo lega anche a quel pensiero di Goethe dedicato, su questo stesso blog, il mese scorso ai miei figli.
Il verso, come l’intera poesia, si presta comunque a molteplici interpretazioni.
Grazie per la tua costante attenzione,
Franco
bellissimo...sognando gli altri come ora non sono
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