26 marzo 2012

L'ideologia del governo tecnico




E’ da vent’anni, almeno, che si proclama la morte delle ideologie. Noi non abbiamo mai creduto a questa favola. Era chiaro infatti che dietro quei proclami c’era l’ideologia delle classi dominanti che, all’indomani del crollo del cosiddetto socialismo reale, pensavano di aver messo definitivamente fuori gioco quell’insieme di idee e teorie che,  con maggiore energia, avevano messo in discussione il sistema di produzione capitalistico. L’implosione del sistema sovietico apparve allora, anche in certi settori della sinistra,  un inappellabile giudizio storico sulla superiorità del sistema capitalistico.
La crisi odierna di quest’ultimo  rimette  tutto in discussione. Così, il pensiero critico torna a farsi vivo e si torna a pensare ad un mondo diverso da quello finora conosciuto. Gli uomini, infatti, come ci ha insegnato l’antropologia culturale, sono soprattutto degli animali simbolici che hanno bisogno di credere a cose che non si toccano e non si vedono per vivere. Senza idee, senza miti e senza sogni , infatti,  gli uomini non vivono.
Non può sorprendere allora che perfino sul giornale L’Unità, che pure non rappresenta da tempo  il punto di vista del suo fondatore, si possa  leggere oggi un fondo intitolato  I  TECNICI E L’IDEOLOGIA  che di seguito si ripropone:


In molti si sono meravigliati per la durezza e l’intransigenza con cui il presidente del Consiglio Mario Monti e il suo ministro Elsa Fornero hanno fin qui rifiutato di modificare il testo della riforma del mercato del lavoro, accogliendo le critiche e i suggerimenti che erano stati loro rivolti.
La riforma presenta aspetti interessanti, riconosciuti da tutti, anche dalla Cgil. Perché resistere in questo modo e mettere a repentaglio un risultato importante, creando difficoltà al Pd e rischiando persino una crisi di governo? Credo che la risposta sia semplice ed evidente: perché nella scelta del governo si esprime in modo del tutto legittimo, ma intransigente, l’ideologia di Monti e di Fornero (e uso questo termine in senso forte, non, debolmente, come «falsa coscienza»). Un’ideologia assai potente, presentata come un elemento oggettivo, tecnico, ma imperniata su due elementi di fondo: il primato del mercato che deve essere lasciato libero di muoversi in modo spontaneo, senza interferenze esterne di qualunque genere esse siano; il rifiuto del principio della mediazione, da cui discende quello della «concertazione». Si discute con i sindacati o con i partiti, ma la responsabilità di prendere la decisione è solo e soltanto del governo. «In passato si è dato troppo ascolto alle parti sociali», ha detto due giorni fa il presidente del Consiglio, ribadendo la non negoziabilità della riforma del lavoro.
Si potrebbero citare molti esempi a conferma di questa ideologia: il ministro Fornero ha argomentato il rifiuto a una modifica dell’articolo 18 sostenendo che solo il padrone della fabbrica – e non certo il giudice – è in grado di stabilire se e quando licenziare un dipendente; il presidente Monti ha sostenuto che la Fiat deve ricordarsi di quanto l’Italia ha fatto per lei, ma può investire dove ed quando vuole.
Questo sul piano dei contenuti. Sul piano della forma il governo ha proceduto sia con le pensioni che con il mercato del lavoro in un modo altrettanto coerente con questa ideologia: intervenendo «dall’alto», con un atteggiamento di tipo «giacobino», senza un reale confronto con le parti sociali e le forze politiche – con un netto rifiuto, come si è detto, della «mediazione», vista come origine di tutti i mali. In breve: si tratta di un’ideologia compatta, organica, della quale occorre prendere piena coscienza per capire dove il governo si propone di guidare la società italiana. Un’ideologia confermata da quella battuta, a dire il vero raggelante, che il premier avrebbe rivolto a Camusso: «Dobbiamo avvicinare la Costituzione formale a quella materiale».
La domanda da porre, con spirito costruttivo, è questa: il governo Monti ha avuto, certo, meriti importanti ed è stato giusto favorire la sua nascita e sostenerlo, ma l’Italia ha bisogno di questa ideologia per riprendere a svilupparsi e crescere? È questo il riformismo di cui ha oggi bisogno il nostro Paese? Non si tratta di una ideologia di corto respiro strategico e soprattutto distante dalle esigenze reali dell’Italia oggi?
Oggi l’Italia ha bisogno soprattutto di nuovi «legami» .Questione centrale e delicatissima, essa è ben presente anche ad alcuni dei «tecnici» che sono al governo (basta pensare ad Andrea Riccardi ). Ma – e sta qui il punto discriminante fra vecchio e nuovo riformismo – è alla luce dei diritti che vanno ripensati i nuovi «legami» da costruire nel nostro Paese. Senza diritti i «legami» diventano infatti una gabbia inaccettabile. Se mi è consentito usare un termine filosofico, i diritti costituiscono la dimensione «trascendentale» del processo storico e come tali, una volta acquisiti, non sono alienabili. Tra democrazia e diritti c’è un nesso diretto, organico.
Il nostro Paese, per la crisi da cui è attraversato, oggi non ha bisogno di interventi che favoriscano la divisione, la contrapposizione tra individui, classi, ceti; non necessita di provvedimenti che contrappongano, in fabbrica, capitale e lavoro. Ha bisogno di politiche che generino coesione, riconoscendo un ruolo ai corpi intermedi. Si tratta di scelte sempre opportune, che diventano addirittura indispensabili in tempi di crisi come questi.
La cultura della mediazione è fondamentale per la democrazia: attraverso di essa si esprime la possibilità, e la capacità, di misurarsi positivamente con le contraddizioni della realtà e di trovare, volta per volta, un punto di equilibrio, in grado di sospingere avanti l’insieme del sistema sociale e politico. E la mediazione – nel senso forte del termine – implica il concetto di politica, mentre l’ideologia dei «tecnici» si pone, volutamente, al di fuori della dimensione sia della mediazione che della politica. Si può dire che l’idea stessa di riformismo moderno per alimentarsi ha bisogno di mediazione – cioè di partiti – e di diritti.
Al fondo, si confrontano due prospettive diverse, entrambe legittime. Converrebbe cominciare a parlarne, confrontandosi in modo aperto anche per ridare respiro e dignità alla politica. Come sapeva già Tocqueville, che era un liberale: «Con l’idea dei diritti gli uomini hanno definito ciò che sono la licenza e la tirannide… senza rispetto dei diritti non vi è grande popolo; si può quasi dire che non vi è società».
Michele Ciliberto su L’Unità del 26.3.2012

5 commenti:

  1. Caro Franco,
    oggi domina l'ideologia dei mercati, e in funzione dei mercati si decide della vita delle persone, contravvenendo soprattutto alla morale cristiana che mette al centro la persona umana aldisopra di tutte le economie e di tutti i mercati. In questo punto cristianesimo e socialismo ideale (non reale) convergono. Oggi si serve il dio Mammona, e in funzione di Mammona (i mercati) si manipola la vita delle persone, creando incertezza e precarietà in delle vite già povere di speranza e di futuro: i lavoratori. Si cerca di rassicurare i mercati (chi sono? che volto hanno?) ma nessuno si preoccupa di rassicurare i lavoratori, e nessuno difende più i loro diritti.
    E ogni giorno che passa rendono queste idee più accomodanti, più normali, al punto che non creerà più nessuno scandalo distruggere i diritti dei più deboli. Purtoppo i Salmi a distanza di Tremila anni dicono ancora la verità su come nel mondo i poveri e i deboli continuano a soccombere.

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  2. Caro Franco,
    L'articolo che hai proposto, insieme alle tue riflessioni introduttive, mi inducono a pensare che gli uomini, e la loro produzione di atti e di idee, esplicitamente o implicitamente, abbiano una finalizzazione. E questo probabilmente è abbastanza ovvio. Tuttavia, guardando il quadro attuale in modo asettico siamo spinti a chiederci quale sia questo fine. Dovrebbe sorgere spontanea la risposta che, trattandosi di rappresentanti di un governo democratico, questo fine debba coincidere necessariamente con l'interesse generale. Come mai, invece, la risposta che mi affiora immediata è che quelle azioni, e l'intera struttura di pensiero che suppongo le sostenga, è protesa a garantire un interesse peculiare, quello cioè di una classe; ovvero di coloro che, a vari livelli, da diverse posizioni, detengono parti più o meno importanti del potere finanziario ed economico e, solo in ultima analisi, anche politico ?
    Quell'interesse vero, reale, è il contenuto, l'ideologia è la forma che lo sostiene. Il nostro compito, forse, adesso potrebbe essere quello di denunciarne il disvelamento.
    Un abbraccio
    Fabrizio

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  3. Caro Fab,
    so bene di avere eccessivamente semplificato i problemi. Ma in un blog non si può fare altro.
    Provo a precisare meglio il mio pensiero soffermandomi brevemente a tratteggiare la differenza tra Marx e Gramsci nella valutazione del peso che hanno avuto nella storia le ideologie.
    Per Marx le ideologie non sono altro che una forma di falsa coscienza, “parvenze socialmente necessarie”, per nascondere gli interessi e i conflitti esistenti in ogni società divisa in classi. Anche per questo Marx riteneva che le idee dominanti, in ogni epoca, non possono che essere le idee delle classi dominanti.
    Gramsci, pur riconoscendo il nocciolo di verità contenuto in questo punto di vista, ne evidenzia i limiti ricordando, ad esempio, il peso che ha avuto l’illuminismo nella storia della Rivoluzione francese del 1789. Poi, polemizzando con i socialisti positivisti del suo tempo che avevano letto in chiave economicistica e deterministica il pensiero di Marx, utilizza in modo originale le stesse parole del giovane Marx per rafforzare il suo punto di vista:
    “La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (…). La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.” (III tesi su Feuerbach)
    In altre parole Gramsci, contro il materialismo volgare, invita a considerare il rapporto dialettico esistente tra l’economia e la cultura di ogni società e respinge la visione deterministica secondo la quale è la struttura economica della società a determinare meccanicamente tutto il resto.

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  4. Caro Franco,
    Veramente quello che ha semplificato, nel tentativo di comprendere il punto, sono stato io. Mi sembra...,credo, congruente con quanto ho abbozzato nel mio commento il nodo riguardante la comprensione razionale della relazione tra l'ambiente e l'attività umana "come pratica rivoluzionaria". In questa direzione l'analisi illuminante (ma forse dovrei trovare un altro termine)dell'ideologia, di un'ideologia fortemente pervasiva quanto mascherata, in senso propriamente marxista, della supremazia "dei mercati" come fattore determinante delle strategie di dominio e di classe, può essere uno strumento ad adiuvandum per le classi oppresse, sempre più impoverite, tra l'altro, sul piano non solo economico e, a volte, senza neanche una piena consapevolezza.
    Può reggere questo spunto? Fammi sapere...
    Fab

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  5. Non vorrei impelagarmi in questioni che ricordano tanto le discussioni teologiche sul sesso degli angeli. Mi premeva sottolineare:
    1.Le ideologie non sono mai morte.
    2.Esistono ideologie che nascondono la realtà ed ideologie che la svelano.
    3.Gli uomini hanno bisogno di pane per vivere, ma anche di rose-idee-simboli.
    4. Smettiamola, una volta per tutte, con le ortodossie. Cerchiamo la verità ovunque si trovi.
    Un abbraccio a tutti.

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