Direttamente dal blog ufficiale di Dario Fo - http://www.dariofo.it/ - riprendiamo la sintesi dell’incontro con il
premio Nobel per un’introduzione alla mostra “Lazzi Sberleffi Dipinti” , in corso dal 24 marzo a Milano, e la recensione di una nuova
messa in scena del suo MISTERO BUFFO.
Trascorrere due ore di lezione-spettacolo in compagnia di Dario Fo è senz’altro un’originale introduzione alla sua prossima grande mostra a Milano, e viceversa un’occasione per il maestro per divulgare ancora una volta ciò che più gli sta a cuore: la satira nell’arte. La chiave di lettura che nasce dal paradosso, che genera la risata è quella che come un chiodo s’impianta nel cervello, semina il dubbio e rafforza le idee. E allora via alla vera storia di San Francesco, alla lezione di Lisistrata, fino alle mutande che il Concilio di Trento impose alle nudità (e alle beffe) che Michelangelo dipinse nel Giudizio Universale della Cappella Sistina. Svelare i paradossi del tempo per permettere al pubblico, ultimo destinatario dell’opera, di capire e, soprattutto di riflettere: questa è la sostanza attorno alla quale ruota tutto il senso della prima grande mostra che Milano dedica a Dario Fo.
E su questo progetto il premio Nobel lavora febbrilmente da
due anni: «Questa è la missione
dell’artista, che deve sempre parlare del proprio tempo, con ogni mezzo»
ripete lo stesso Fo, che di mezzi ne ha mescolati diversi nei sessant’anni di
pittura, immagini, gesti e soprattutto parole. Dipinti e teatro, tutto volto a
stuzzicare il pubblico sui paradossi del passato e del presente: le oltre 400
opere che dal 24 di marzo saranno in mostra a Palazzo Reale ne sono una prova
lampante: lui, così prolifico e così curioso, artista allegro che da sempre
premia l’ingegno. L’ambizioso percorso espositivo si snoda lungo tutta la
storia dell’arte: dai linguaggi della Grecia classica al Medioevo e al
Rinascimento, per approdare, inesorabilmente, ai giorni nostri, alla lunga fase
del berlusconismo, alla deriva e all’imbarbarimento della politica italiana,
perché, come ci spiega lo stesso Fo: «Quello
che succede oggi è successo 50 anni fa, è una costante della storia, io ho
smesso di fare soltanto il pittore perché non aveva nessun significato fare il
quadrettino, o il quadrettone. L’arte deve avere una chiave di svolgimento e un
rapporto con la realtà importante, bisogna la gente che vede un quadro, capisca
cosa le si sta raccontando».
E a proposito di fatti contemporanei gli abbiamo chiesto
cosa ne pensa dell’attuale governo: «In un momento molto difficile come
quello che stiamo attraversando, ci si augura di uscire da questo gioco molto
pericoloso di fare le cose a metà senza svolgerle fino in fondo. Bisogna
trovare il coraggio di cambiare i registri, e smetterla di promettere delle
grandi varianti senza poi portarle a termine». Quest’esposizione è una
grande eredità e un’occasione unica per tutti. Rappresenta la sintesi e il
punto di volta per una “Figura preminente del teatro politico, che - come
recita la motivazione che gli valse il premio Nobel - nella tradizione dei
giullari medievali, ha fustigato il potere e restaurato la dignità degli
umili”.
Elena Iannone
In un Obihall
stracolmo in ogni ordine di posti la coppia per eccellenza del Teatro italiano
ha riproposto Mistero Buffo, l’opera teatrale forse più colta e
impegnata della Satira italiana. Un’opera scritta e portata in scena nel ’69,
che mantiene intatta la sua aderenza con la realtà perchè – come dice lo stesso
Fo – “tutto cambia ma in fondo
solo il Potere e la Politica non cambiano mai”.
Strutturato
per “giullarate” che riprongono di volta in volta episodi del Vecchio e del
Nuovo Testamento o personaggi storici della Santa Romana Chiesa, Mistero
Buffo si propone quindi come opera “sacra” (Mistero) e
“satirica” (Buffo), smascherando le umane bassezze – sopratutto
quelle dei “potenti” – attraverso il rovesciamento delle gerarchie e dei ruoli,
raccontando il tutto attraverso le voci dei protagonisti ma anche della gente
comune, che parlano in vari dialetti, rimodellati secondo studi approfonditi
sulla magnifica varietà di linguaggio che caratterizza l’Italia sin dal
Medioevo.
Ed è così
che i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci e quello della
resurrezione di Lazzaro vengono raccontati dal punto di vista di un
becchino e di “cadregaro” che al seguito del Nazareno, discorrono e litigano in
veneziano, fino ad arrivare a scommettere – l’uno pro e l’altro contro – sulla
riuscita o meno del miracolo.
Così il
racconto biblico della nascita dell’ “uomo” viene raccontato attraverso la
versione dei vangeli apocrifi. E’ quindi Eva il primo “uomo” sulla
Terra. Ma è una Eva che parla un dialetto maedievale del centro-sud
Italia, che scopre le meraviglie del creato e del suo proprio corpo, che
incontra gli Dei pagani caduti in digrazia, che incontra anche il primo uomo,
di cui proprio non riesce a spiegare la rozzezza del “corteggiamento”.
Bonifacio
VIII è il
protagonista della terza “giullarata”: l’arrogante e livoroso papa Bonifax
– già accusato da Jacopone da Todi di aver trattato come “putta” la
“Romana Iglesia” e messo all’inferno da Dante prima ancora della sua
dipartita – viene messo alla berlina e sbeffeggiato per la sua boria e per la
sua lussuosità, che tanto poco si addicono al rappresentante di Cristo in
Terra. Il surreale e goffo Papa si confronta e si scontra quindi col Cristo
stesso, uscendone naturalmente malconcio. Il tutto condito – anche qui – in
salsa veneziana.
La quarta e
ultima “giullarata” – in lùmbard stavolta – riporta invece lo strazio e
il dolore di una madre che soffre per la morte di un figlio. La storia è quella
de La Madre – Maria – che piange il martirio di suo figlio: una madre
che non accetta il sacrificio “divino” del “suo sangue”, e che invece – come
farebbe qualsiasi altra madre terrena – invoca la pietà delle guardie, e poi
l’aiuto delle altre donne, alla ricerca di una condivisione del dolore,
sentimento proprio di qualsiasi essere umano.
L’aderenza
alla contemporaneità sta proprio nel trattare temi universali e quindi sempre
attuali. E’ stato poi merito di Fo ricollegarli a personaggi odierni,
riallanciandosi naturalmente alla grande tradizione satirica toscana –
fiorentina in particolare – alla quale non ha nascosto di essere molto legato.
E così quel Papa Bonifax diventa – per il suo ricatto di voler spostare
via da Roma la Santa Sede – lo spunto per sbeffeggiare Marchionne. Ma
allo stesso modo cadono nelle spire della satira anche gli altri “potenti” di
oggi: da Berlusconi a Monti, da Benedetto XVI a Renzi,
e su quest’ultimo vi lascio immaginare gli applausi scroscianti…
Giovanni
Piccolo
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