So bene che
la storia non si fa con i se. Ma il mio amico Fabrizio - sul blog http://rosso-malpelo0.blog.kataweb.it/
- ha opportunamente recuperato un’intervista
rilasciata dal vecchio segretario della CISL all’Unità che ripropongo per la
sua straordinaria lucidità e attualità:
«Puro
delirio. Paranoia di alcuni politici e imprenditori che a tratti si acutizza,
sa come funzionano le fissazioni, no? Abbandoniamo le formule esoteriche e
parliamo dei problemi, non si può dare spazio all’ennesimo diversivo per non
aprire una discussione seria sul lavoro, di cui invece non parla nessuno. Uno
dei difetti di noi italiani è proprio questo: spostare l’attenzione per evitare
la realtà». Pierre Carniti, una vita da leader Cisl, deputato europeo per i
socialisti prima e per i democratici di sinistra poi, parla dell’ultima
digressione sull’articolo 18 su cui anche il governo Monti è inciampato
parlando di lavoro, anche se ora ha chiarito non essere una priorità.
La realtà,
allora: qual è?
«Il lavoro
non c’è per tutti, né ci sarà nel prossimo biennio almeno. Anzi, l’occupazione
continuerà a diminuire: secondo Confindustria tra il 2012 e il 2013 spariranno
altri 800mila posti. Per creare lavoro c’è solo la crescita, e questo è un
Paese in recessione, come dice pure l’Istat, che certo non si risolleverà a
breve».
Quindi,
tutti poveri e disoccupati? Quali sono le ipotesi possibili?
«O si
redistribuisce il poco lavoro disponibile con una drastica riduzione degli
orari, oppure decidiamo per l’assistenza a milioni di disoccupati, la
flexsecurity di cui parla qualcuno. A parte che per quest’ultima opzione ci
vogliono un sacco di soldi che non abbiamo, io sono per la ripartizione del
lavoro, che è ancora un fattore di identità nell’immaginario individuale e
collettivo. Lo spiegava già Keynes nel 1930: nell’arco di un secolo, diceva,
gli orari di lavoro si sarebbero dovuti ridurre, rimanendo comunque sufficienti
a produrre quello di cui abbiamo bisogno. In Germania l’hanno fatto, dopo la
crisi globale del 2008, arrivando ad una media di 32 ore, per poi riprendere a
ritmi più sostenuti quando il Paese ha ricominciato a crescere. Perché è una
misura flessibile, temporanea. Se anche in Italia, tra 3-4 anni, dovesse
esserci una ripresa, se ne potrebbe ridiscutere».
Chi dovrebbe
decidere? Pensa ad un patto tra imprese e sindacati, sostenuto dalla politica?
«Una diversa
organizzazione del lavoro la dovrebbero gestire imprese e sindacati, sì. Quanto
alla politica, il suo compito sarebbe di mettere in campo idee, ipotesi,
alternative, innanzitutto disvelando la reale natura dei problemi da
affrontare. A partire dal fatto che l’articolo 18 non c’entra assolutamente
nulla col tema “ridare impulso all’occupazione”: del resto, già non viene
applicato all’85% delle imprese italiane, che restano sotto la soglia dei 15
dipendenti, eppure il lavoro non c’è. I contenziosi relativi all’articolo 18
riguardano meno di 70 casi l’anno, le pare questo il problema? Se poi per
ragioni teologiche a me ignote fosse considerato da qualcuno un freno allo
sviluppo, si potrebbe anche discuterne, sostituendolo con una remunerazione
adeguata, un indennizzo che abbia come riferimento il trattamento dei top
manager. Se c’è gente che ha delle fissazioni, se le tolga a pagamento».
Una
discussione di questo genere in Italia non è all’ordine del giorno: anzi, se
guardiamo alla Fiat, la direzione seguita sembra quella opposta.
«Perché
quello che non è all’ordine del giorno in Italia è il tema dell’aumento
dell’occupazione, è questo il problema. E alla Fiat, infatti, succede l’esatto
contrario di quello che dovrebbe. Se va avanti così, non farà che gestire il
suo declino, e sarebbe ora che si aprisse anche questo, di dibattito: come
salvare la Fiat dalla Fiat stessa».
Lavorare
meno per lavorare tutti aprirebbe però un grosso problema di reddito.
«Infatti si
tratterebbe di capire come redistribuirlo. Del resto oggi al Sud abbiamo il 40%
di disoccupazione giovanile e il 50% femminile, credo che riaprire il discorso
occupazione migliorerebbe il contesto. Negli ultimi 10 anni i redditi fissi
hanno perso qualcosa come due mensilità all’anno, eppure non è stata messa in
atto alcuna iniziativa per correggere questo corso che, anch’esso, ha
contribuito a creare recessione. E l’ultima manovra non aiuta. Di sicuro non
redistribuisce la ricchezza, anzi».
Allude alla
riforma delle pensioni?
«Ho un
grande rispetto per il ministro Fornero, ma quello delle pensioni è solo un
furto con destrezza. Non stiamo parlando di spesa pubblica, ma di risparmi
privati, ancorché obbligatori: questo è un prelievo puro e semplice. La riforma
delle pensioni è altra cosa. Immaginiamo tre pilastri: uno basato sul sistema
contributivo, uno sulla pensione complementare, e uno nuovo che invece si
sostanzia di una pensione pubblica, una quota base finanziata con le imposte
dei contribuenti. Quello che è stato fatto è tutt’altro e non ha nulla a che
fare con le giovani generazioni di cui tanto si parla. Le loro prospettive non
sono cambiate di una virgola rispetto a prima. Purtroppo».
Laura Matteucci, L’UNITA’, 22 dicembre 2011
Pierre Cerniti è una persona formidabile, l'ho visto da Gad Lerner e mi ha impressionato la sua passione politica er la sua lucidità di analisi della situazione senza fumisterie
RispondiEliminamaria