A differenza dei
nostri alpini mandati in Russia con scarpe di cartone, i soldati
americani dovevano sentirsi come a casa anche sui fronti di guerra. E
dunque Coca-cola e jazz seguivano le Armate. Ne risultò uno
straordinario fenomeno culturale: i Victory Disc dei soldati
portarono la musica americana in Italia. Una pagina sconosciuta della
seconda guerra mondiale.
Luigi Onori - Soldato Benny
Goodman, in trincea con lo swing
Tre padelloni in vinile
con al centro, su fondo bianco, la scritta stilizzata V DISC. I
Victory Disc , dischi della vittoria, sono arrivati a casa mia per
caso, dopo aver studiato sui libri (e verificato nei riversamenti su
Lp e Cd) la loro grande importanza per la discografia jazz e per la
diffusione della musica americana negli anni '40. Appartenevano al
papà novantenne di un'amica che li aveva conservati con cura e che
mi sono stati donati il mese scorso dopo la scomparsa del
proprietario.
Quest'ottobre cade il
sessantenario della «operazione V Disc» che portò in giro per
l'Europa ed il Giappone (tra il 1943 ed il '49) otto milioni di
dischi jazz, di musica classica e popular, abbinando l'azione
liberatrice delle truppe americane con musiche che venivano dal nuovo
mondo e conquistarono le popolazioni europee sofferenti dopo anni di
conflitto, fame e dittatura.
Le truppe Usa nelle
recenti guerre del Golfo ed in Afghanistan la loro musica (heavy
metal, pop, rap...) se la sono portata dietro esclusivamente richiusa
negli I-Pod di soldati ed ufficiali, per un uso privato e solitario.
Le nuove tecnologie, dal walkman degli anni '80 in poi, ci hanno
spinto verso un consumo gelosamente individuale, quasi autistico,
della musica, depotenziando il valore comunitario ed eversivo che, ad
esempio, ha avuto il rock negli anni '60 e nella prima metà dei '70.
Nel 1943 le forze alleate
(inglesi, americani e russi, soprattutto) si battevano contro le
dittature nazifasciste e l'imperialismo nipponico: la partita in
gioco era mondiale ed il nemico non si arrendeva. Gli Usa avevano
mandato in giro per il mondo un esercito di soldati ed ufficiali
giovani, chiamati a battersi in condizioni difficili. Fu il capitano
Howard Bronson ad avere l'idea dei V Disc nel 1943. Bronson si
occupava del settore musicale nel programma ricreativo per le truppe.
Propose una produzione discografica per i reparti al fronte che
piacque subito agli alti gradi.
A realizzarla fu chiamato
un altro giovane capitano, George Robert Vincent, che ebbe carta
bianca, notevoli finanziamenti e avviò il tutto nell'ottobre 1943.
Si trattava di mandare in Europa e nel Pacifico pacchi speciali con
registrazioni ed apparecchi per ascoltarle, puntine e testi di
canzoni al fine di tenere alto il morale e far sentire i soldati più
vicini al mondo ed agli affetti che avevano lasciato, nonché di
propagandare indirettamente la «american way of life».
C'era, però, un
difficile problema da risolvere: dal 1942 era in atto un blocco delle
registrazioni sostenuto dal sindacato dei musicisti (AFM) per una
questione di diritti; dallo sciopero (durato fino al 1944) erano
esclusi solo i complessi con cantante ma riguardava tutte le
formazioni strumentali. Vincent trovò un accordo con il potente
leader dell'AFM (l'italoamericano James Petrillo): le incisioni per i
V Disc non avrebbero avuto scopo di lucro, i musicisti avrebbero
suonato senza compenso, a fine conflitto le matrici delle incisioni
dovevano essere distrutte, studi di registrazione e tecnici avrebbero
lavorato a titolo gratuito. Fu così che si iniziò a produrre e
distribuire un «catalogo» che sarebbe arrivato (maggio 1949) a 2654
matrici raggruppate in 1195 dischi stampati in otto milioni di copie.
Un'operazione immensa.
Le case discografiche
collaborarono attivamente mettendo a disposizione incisioni già in
archivio e nuovi materiali: musica classica, da banda, popular,
canzoni, jazz. La seconda metà degli anni Trenta aveva visto il
trionfo dello Swing, trascinante musica da ballo di linguaggio e
matrice jazzistica che aveva avuto fra i suoi eroi Benny Goodman e
Count Basie. Nei primi anni Quaranta era ancora la musica più amata
dai giovani, insieme alle languide canzoni interpretate da voci come
Frank Sinatra e Peggy Lee. La componente jazzistica nel programma
varato dall'esercito americano risultò, infatti, essere del 32%.
Vennero tra l'altro realizzate nuove sessioni di incisione che
avrebbero influenzato presente e futuro: si costituirono all-stars,
formazioni che nella realtà non avrebbero mai avuto occasione di
suonare (ad esempio un ottetto con Charlie Sheavers, Trummy Young,
Don Byas) ; si crearono gruppi misti, interrazziali, impensabili
negli Usa segregati e che solo Benny Goodman aveva avuto il coraggio
di proporre in pubblico; si diede il via alla riscoperta del jazz
delle origini (facendo reincidere la Original Dixieland Jazz Band);
si documentarono una serie di «modernisti», dal trio De Franco /
Marmarosa / Krupa all'orchestra di Buddy Rich. Molto lo spazio per le
cantanti, con siparietti parlati in cui si rivolgevano direttamente
ai soldati come nel Baby, Won't You Please Come Home dell'aprile
1945, registrato da Jo Stafford with her V-Disc Boys.
I produttori dei V-Disc
(militari e civili) avrebbe giocato nel II dopoguerra un ruolo
importante nelle case discografiche americane, sfruttando una
preziosa esperienza accumulata negli anni bellici. I Dischi della
Vittoria ebbero, comunque, non solo il merito di documentare il jazz
durante il periodo dello sciopero discografico e di colmare in parte
un 'silenzio' che sarebbe stato clamorosamente interrotto dai
boppers, guidati da Dizzy Gillespie e Charlie Parker. I V Disc furono
anche il laboratorio tecnologico per la compressione dei solchi (più
spazio rispetto ai 78 giri, circa venti minuti di musica), per l'uso
di un materiale più resistente ed adatto alle condizioni estreme dei
fronti, quel vinile che unito al micro-groove avrebbe portato al
rivoluzionario avvento del 33 e del 45 giri: alla fine degli anni '40
in via sperimentale e poi trionfale nei '50.
Altrettanto significativo
sarà l'effetto sulla popolazione europea, visto che i V Disc
costituivano oggetto di regalo e scambio tra truppe americane e
civili. Di colpo, dopo un lungo digiuno, la musica jazz americana
risuonava nel Vecchio Continente a portare un messaggio di libertà e
gioventù che andava di pari passo con i «liberatori». Piero Angela
ha raccontato che da giovane passava nei bar della Versilia alla
ricerca di V-Disc lasciati dai soldati mentre il trombonista Marcello
Rosa ha narrato di lunghi viaggi per ascoltare a casa dei pochi
fortunati quelle preziose icone sonore della modernità. Si può
dire, inoltre, che la passione e lo studio del jazz, la nascita della
discografia e della critica in Europa ebbero un forte e fondamentale
impulso dai V Disc.
In Italia la città di
Napoli fu un autentico epicentro per la loro diffusione e mi preme
ricordare come uno dei più grandi collezionisti di V Disc mondiali è
stato un italiano: Urbano Gaeta. Dietro sua sollecitazione e con il
suo stimolo si organizzò alla Casa del Jazz di Roma nell'ottobre
2009 una giornata di studio e rievocazione storica («V Disc Day»)
che non ebbe la fortuna di vedere, a causa del male che lo portò
alla morte. Ci si augura che la sua straordinaria collezione privata,
un autentico pezzo di storia della musica e della storia tout-court,
possa essere accolta in strutture pubbliche che sappiano
valorizzarla. Sarà difficile in un paese che sottovaluta la cultura
in genere e che nei confronti degli archivi sonori è, a dir poco,
arretrato.
(Da: Il Manifesto del 20
ottobre 2013)
Nessun commento:
Posta un commento