Se la psicoanalisi sia un fatto solo terapeutico o anche (e qualcuno aggiunge “soprattutto”) culturale è una vecchia questione già molto dibattuta in passato. Se ne è riparlato a Milano in un convegno.
Danilo Di Diodoro - La psicoanalisi è
una psicoterapia come tante altre?
Nella psicoanalisi contemporanea c'è un prevalere delle finalità terapeutiche, che hanno finito per annullarne il senso culturale, riducendola a una psicoterapia come tante? Queste due anime della psicoanalisi, quella terapeutica e quella culturale, hanno sempre convissuto. Anche perché, se Freud la utilizzò fin dall'inizio come tecnica terapeutica, la psicoanalisi in realtà nacque e si sviluppò in un ambiente culturale molto vivace, eterogeneo e privo di barriere. Tra fine Ottocento e primi del Novecento a Vienna si muovevano scienziati, medici, scrittori e artisti, che si scambiavano idee e che partecipavano agli stessi incontri culturali.
Un convegno organizzato il 12 e il 13 ottobre a Milano dal movimento psicoanalitico "Nodi freudiani" prova a riflettere su questa doppia natura della psicoanalisi, si interroga sui complessi rapporti esistenti tra psicoanalisi e culture.
Nel meeting, intitolato "Il disagio della cultura nella nostra modernità" si incontrano, proprio come nella Vienna del secolo scorso, letterati, poeti, filosofi, economisti, architetti, musicisti, pittori, scienziati, giuristi e, naturalmente, psicoanalisti, ma appartenenti a scuole di pensiero diverse, senza vincoli di società e di organizzazioni (l'incontro è aperto anche al pubblico). Dice Giorgio Landoni, psicoanalista e organizzatore del convegno insieme a Sergio Contardi, anche lui psicoanalista: «La medicalizzazione ha allontanato la psicoanalisi dalla cultura, sottoponendola alla legge della società che regola ogni intervento, quindi regola giustamente anche l'atto medico. Da qui nasce l'idea di questo convegno, che vuole riproporre la psicoanalisi come elemento centrale della cultura moderna».
Aggiunge Sergio Contardi: «Gli studi di Freud, i romanzi di Schnitzler e di Joyce, i dipinti di Klimt e poi dei suoi allievi Kokoschka e Schiele, quelli di Braque e di Magritte, le dissonanze armoniche di Schoenberg, la fisica di Einstein e di Heisenberg, la logica di Gödel, tutte queste ricerche e molte altre ancora possono essere capite come vie diverse di un'unica impresa: portare allo scoperto i livelli celati della realtà a partire dal denominatore comune alla multiforme ricerca del modernismo viennese, ossia dalla convinzione che la mente umana abbia ampie zone di inconscio e che questi aspetti possano essere indagati con l'autoanalisi».
Di stampo decisamente filosofico, l'intervento di Salvatore Natoli, ordinario di Filosofia teoretica nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Milano Bicocca. Natoli affronta un tema centrale per la società, quello del dolore, che può essere inteso in due modi: il dolore inflitto e il dolore patito. «È inflitto quello che gli uomini si arrecano reciprocamente per competizione spietata, per sete di guadagno, di potere, o addirittura per violenza gratuita — dice Natoli —. Questo dolore è evitabile, ma per evitarlo bisogna sradicare gli egoismi, e avere interesse e preoccupazione per il bene sociale. Il dolore patito è, invece, quello che viene dalla natura e dalle sorte — un incidente, una malattia. In tal caso si cerca di prevenirlo e quindi di curarlo. Di questo la società deve farsi carico perché nessuno di noi è mai a sufficienza garantito e tutti devono concorrere a vantaggio del proprio interesse e nell'interesse collettivo».
(Da: Il Corriere della sera del 13 ottobre 2013)
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