Un fotogramma di Accattone
Alessandra Sarchi - I racconti del corpo
29 ottobre 2013 «Alias/il manifesto» e successivamente dal sito LEPAROLELECOSE
Nel secondo libro di
Gargantua e Pantagruel Thaumasté, un dotto inglese, sfida pubblicamente
Pantagruel sui massimi quesiti della filosofia. Thaumasté ha però in
mente un dibattito particolare: «voglio disputare soltanto per segni,
senza parole, perché sono argomenti così ardui che le parole umane non
sarebbero sufficienti a spiegarli bene a mio gusto». Seguono due pagine
di comiche e improbabili contorsioni di mani, dita, smorfie e
dinoccolamenti dell’intero corpo con cui i due dotti, e il discepolo
Panurge, paiono scambiarsi i segreti dell’universo che rimarranno ai noi
lettori preclusi, perché a differenza dell’alfamuto inventato dai
bambini-terroristi ne Il tempo materiale di Giorgio Vasta e
spiegato ai lettori, Rabelais preferisce lasciare in esclusiva ai suoi
personaggi la conoscenza di un linguaggio corporeo che li avvicina, e ci
isola. L’episodio rabelaisiano evocato nell’ultimo libro di Claudio
Franzoni (Da capo a piedi. Racconti del corpo moderno,
Guanda 2013) ne esemplifica il tema: quanto e come ci esprimiamo con il
corpo e in che relazione l’espressione corporea si pone con gli altri
codici comunicativi.
Da un lato si dà
l’esperienza dell’inesauribile potenziale del soma, del suo esserci
preesistente e duttile alla significazione, dall’altro la sua
irriducibilità a enunciati verbali definitivi, il suo sottrarsi a
un’interpretazione univoca.
Franzoni, studioso della
tradizione classica e della gestualità nelle arti figurative, allarga a
trecentossessanta gradi i materiali della sua indagine: fotografie,
immagini televisive, opere d’arte, cinema e letteratura, poiché ciò che
chiamiamo gesto, un atto significante, immagine corporea, un corpo leggibile e comprensibile, racconto,
un messaggio strutturato, costituiscono un intreccio stratificato che
mobilita la nostra memoria personale non meno di quella trasmessa dalla
comunità in cui viviamo.
La pervasività di immagini
di corpi e di metafore corporali in cui viviamo è infatti una sfida
complessa. Se “il nostro corpo è straniero a noi stessi quanto gli
ammassi stellari o vulcanici”, come apprende dolorosamente Emanuele in Aracoeli di Elsa Morante, è altrettanto vero che il corpo non smette mai di produrre immagini di sé.
Ciò che appare in
superficie, la superficie che noi siamo per gli altri – il corpo
dell’altro è sempre un’immagine per me, secondo Roland Barthes – attinge
a tutte le profondità possibili, non sempre volontarie né
padroneggiate, del nostro essere. Le apparenze in cui si coagulano gesti
e modalità fisiche anelano quindi, più di tutto, a significare anche là
dove si caricano di ambiguità, o in certi casi confliggono con il resto
dei messaggi che comunichiamo.
Ciò appare con particolare
evidenza nei gesti dei politici, che Franzoni chiama “Gesti del potere”
ai quali dedica la prima sezione del libro; un repertorio assai
codificato perché il potere deve parlare a molti e in maniera efficace.
Tuttavia anche qui non
mancano ambiguità, soprattutto se i gesti vengono letti nel contesto in
cui sono eseguiti. Franzoni si sofferma, ad esempio, sull’indice destro
alzato e puntato da Fini contro Berlusconi, in occasione del conflitto
apertosi, nell’aprile del 2010, nella direzione nazionale del loro
partito. Quell’indice puntato finirà stampato su magliette
propagandistiche, a ottobre dello stesso anno, quando ormai la rottura
si è consumata. La sua incisività risiede nel divieto molto comune a non
‘additare’, proprio perché l’indice destro, che si prolunga verso
l’esterno e abbandona le altre dita, è il residuo di un atto più
complesso e altrimenti aggressivo che è l’afferrare.
Lo dimostrano la rarità
iconografica dell’indice di S. Tommaso che punta al costato di Cristo
nel celebre dipinto di Caravaggio – un indice che vuole verificare ma
anche prendere contatto con una realtà incredibile – o il colossale dito
puntato della mano destra, frammento della statua dell’imperatore
Costantino ai musei Capitolini.
Piena di indici
perentoriamente puntati è la propagandistica bellica dei due conflitti
mondiali e, di recente, lo sono i numerosi filmati diffusi a scopo
intimidatorio di Osama Bin Laden. Se la frase rivolta a Berlusconi da
Fini, in accompagnamento al gesto, risuonava come vagamente
interlocutoria “Che fai, mi cacci?” il suo corpo tradiva, viceversa, ben
altra aggressività in atto.
Ci sono poi gesti che
nascono ambivalenti, ossia così carichi di espressività fisica da poter
essere caricati di sovrastrutture di senso di volta in volta diverse.
Uno di questi è
l’accavallare le gambe. Nanni Moretti entrato nel 2002 nella Camera dei
deputati e sedutosi sulla gradinata per seguire i lavori del Parlamento
venne invitato da un commesso a non tenere quella posizione, considerata
maleducata e inadatta al luogo. Mentre nel libretto propagandistico
inviato da Forza Italia, Una storia italiana, Berlusconi siede proprio con le gambe incrociate in un interno di lusso a fianco dell’articolo Costruire un impero, senza che questo costituisca un problema.
Franzoni ricorda che
nell’antichità erano presenti ammonimenti a non incrociare le gambe,
specie durante assemblee politiche e funzioni religiose, ce lo
testimoniano Plinio il vecchio e Clemente d’Alessandria; Ugo da San
Vittore dedica al gesto una discussione che arriverà fino ad Erasmo da
Rotterdam e verrà registrata dalla precettistica pittorica seicentesca,
da Bellori a Pacheco. Eppure non mancano gli accavallamenti, anche
celebri, anche divini, come quelli delle gambe del Creatore nel
transetto nord della cattedrale di Chartres. Tra la possibilità che il
corpo si rilassi su stesso – una gamba sull’altra – fino a sfiorare
l’indecorosità e quella che si chiuda verso l’esterno stringendo gli
arti inferiori, e denotando ostilità, sta tutta la gamma di oscillazioni
interpretative che, ovviamente, non lasciano immune il genere. L’uomo che amava le donne
di Truffaut è infatti conquistato dalla donna al suo fianco per come ha
accavallato le gambe, e Sharon Stone ne fa il principale gesto di
seduzione in Basic Instinct. Dunque accavallare le gambe si
colloca fra “Persistenze, fossili, costanti”, come strascicare il corpo
dei nemici in guerra, dall’Iliade al Vietnam, come già aveva illustrato Franco Fortini in un articolo del 1965.
Mentre le numerose donne
che passeggiano, da sole in strada, nei film e nelle fotografie dal
dopoguerra agli anni Sessanta, rivendicando emancipazione e ponendosi
come oggetto di desiderio in uno sguardo sempre maschile, appartengono
alle “Sparizioni”, poiché da tempo non sono più le strade o le piazze i
luoghi in cui si coniano modelli di comportamento, bensì i reality e i
talk show televisivi, dove chi guarda da casa e chi appare dietro lo
schermo sta, di norma, seduto.
Con un’ampia analisi della Ricotta e di Accattone
si apre il capitolo intitolato “Degradazioni”, e non potrebbe essere
diversamente visto che proprio Pasolini scriveva nel 1974: “la cultura
di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto
attraverso il linguaggio del comportamento, o il linguaggio fisico” e
nella tendenza all’omologazione di massa Pasolini aveva previsto che i
corpi sarebbero diventati intercambiabili, sempre meno dotati di
espressività individuale, quanto invece assimilabili a merci. Dal sacro
al commerciale è la degradazione subita dal gesto di tenere le mani
accostate a sostenere una guancia – come fa S. Giovanni, il discepolo
più amato da Gesù, ai piedi della Crocefissione di Masaccio –
‘reinterpretato’ da Lorella Cuccarini per la pubblicità della Scavolini
“la cucina più amata dagli Italiani”.
Un capitolo è dedicato alle
“Estensioni”, ossia alle protesi del nostro corpo, e dell’emotività che
lo accompagna, create dai vari ambienti virtuali in cui siamo immersi,
computer, tablet, cellulari, lettori mp3, in grado di fornire una
schiera di emoticon dentro i quali stereotipare sentimenti ed
espressioni facciali. Sorrisi, lacrime, smorfie. Non ci vuole un genio a
capire la rigidità e l’ottusità di questo codice. Eppure i Ministeri
della Pubblica Istruzione e dell’Innovazione hanno lanciato nel 2010 una
campagna dal titolo “Mettiamoci la faccia” invitando gli utenti, con
sproloquio di termini inglesi (come è naturale visto che ci si rivolge a
italiani) a esprimere un giudizio sintetico servendosi appunto delle
faccine. Commenta Franzoni: “Metterci la faccia è una delle tante
metafore che la nostra lingua ha derivato dal ruolo primario del volto
nelle relazioni interpersonali, mentre qui si tratta solo di schiacciare
tre tasti colorati, e al massimo, “metterci la faccina”.
Che fine abbia fatto il corpo nella complessità delle sue istanze di mediazione con la mente, non c’è nemmeno bisogno dirlo.
“Gesti e testi” chiude il
libro e riporta numerosi esempi di movimenti doppi, fra corpo e
linguaggio verbale. Dall’ossimoro vivente “Fermami, sono uno schiavo
fuggitivo”, impresso sulla fronte degli schiavi greci nell’antichità, ai
tatuaggi odierni pescati da un campionario onnivoro che fa sentire
tutti “un po’ selvaggi, un po’ delinquenti, un po’ letterati”, fino alla
discordanza fra parole e immagine del manifesto del Pd del 2011, “Oltre
l’egoismo, c’è una mano tesa” con un Pierluigi Bersani che, invece, le
mani le teneva nascoste in tasca, come a suo tempo ha fatto notare
Giulio Mozzi nel suo blog. La verità dei sensi, così prossima alla muta
verità delle cose, per dirla con Starobinski, ha le sue vie per
sopravvivere e manifestarsi nella superficie materiale di cui siamo
fatti.
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