Questa mattina su un sito importante
vengono pubblicate alcune pagine del diario di Tommaso Bordonaro scoperto da un nostro carissimo amico:
La storia di tuta la mia vita da quando io rigordo ch’ero un bambino
di Tommaso Bordonaro(Navarra Editore riporta in libreria “La Spartenza”, autobiografia di Tommaso Bordonaro narrata con un linguaggio che mescola dialetto siciliano, lingua inglese e italiana e nel quale l’autore capovolge in punto di forza e invenzione di lessico e metrica il semianalfabetismo delle sue radici. Rispetto alla prima edizione Einaudi nel 1991, che seguì di un anno il riconoscimento all’opera del Premio Pieve Santo Stefano, la nuova – sempre curata da Santo Lombino – è arricchita da alcuni materiali inediti, tra i quali una prefazione di Goffredo Fofi. A seguire un estratto. Le prime pagine del libro.)
Io sono Tommaso Bordonaro. Sono nato il 4 luglio 1909 in un piccolo paesetto della Sicilia Italia, Bolognetta, nella provincia di Palermo. La mia origine è proveniente dalla Grecia di famiglia nobile dei primi tempi della venuta di Cristo che si sono stabiliti in Sicilia nei tempi di Dionisie che governava la Sicilia. Ma nei tempi che io son nato la mia famiglia erava di bassa contizione povera quasi nella miseria. So che i miei genitore si sono sposate in luglio del 1907; nel 1908 la mamma mia essendo incinta ha perduto il primo genito causa di abborto, venuta un’altra volta incinta nel 1909 sono nato io, come ho detto prima, la mia data di nascita. Così mi ha raccontato la mamma mia quando ero grandetto.
Nel 1912 a magio 8 mi è nato un fratellino dove hanno posto il nome Ciro. I miei genitore essendo di classe poveri, mio padre e mia mamma con due figli campavano alla giornata. Così mio padre ha deciso emigrare in America per potere accumolare un po’ di moneta per vivere un po’ meglio la vita, lasciando mia mamma con noi due piccoli in Italia, in casa dei miei nonni, i genitore di mia mamma. Così io da circa quattro anni, non conoscendo mio padre, sono cominciato ad abitare da un mio zio, Pietro Bordonaro, che lui non aveva figli o fratello più grande di mio padre. In gennaio del 1915 mio padre è ritornato in Italia. Compratosi un cavallo e gli attrezi di lavoro, si è messo allavorare per conto suo.
Nel magio del 1915 è stato l’inizio della prima guerra mondiale: essendo mio padre giovane è stato dei primi richiamato soldato a servire la patria. Ecco la mia mamma rimasta ancora sola e un’altra volta incinta per giunta. Il 25 settembre 1915 mi è nato un altro fratellino il quale hanno messo il nome Salvatore. Essendo mio padre soldato ogni tanto veniva in licenza, che io neanche avevo il tempo di conoscere bene mio padre, abitando sempre da mio zio. Il 4 novembre 1918 vi è stato l’ammistizio e finita la guerra. Mio padre ritornato dalla guerra il 15 novembre, mia mamma ancora un’altra volta incinta.
L’8 dicembre 1918 mi è nato un altro fratello il quale hanno messo il nome di Pietro Domenico. Lo stesso anno è venuta una malattia infettiva chiamata Spagnola: la magior parte del popolo era ammalato, anche mio padre ammalato. La genti moriva accatastrofi, nella nostra casa regnava la miseria: dopo tre anni che mio padre mancava da casa non vi erano cibi per manciare, neanche legna per fare fuoco, per riscaldarci, ch’era inverno freddo. Mio padre per 40 giorni ammalato forte fino apportarli il viatico in fin di vita, anche noi piccoli pure con la febbre, mio fratello Salvatore pure in fin di vita, ridotti tutta la famiglia all’estremo della povertà.
Io avevo nove anni, sentivo il dovere di aiutare un po’ la mamma. Che cosa poteva fare? Solo quando vi erano delle giornate buone che non pioveva e non tanto freddo usciva per le campagne a raccogliere un po’ di legna per far del fuoco e poterci riscaldare un po’. Gli amici e i parenti che non erano ammalati ci portavano qualche po’ di legna e qualche piatto di ceci e gangozi per potere smorzare la fame: così abiamo passato l’inverno. Ritornata la primavera del 1919 mio padre, quasi guarito dalla malattia, si cominciava a mettersi in forza con la salute. Noi piccoli quasi pure guariti, venuta l’estate per quell’anno l’abiamo scampata del pericolo.
Prima di finire l’estate mio padre si è comprato un asino ed ha preso un pezo di terra gabella del signor Malleo Milchiorre a Casachella ed un altro pezo a terragio al feudo Stallone del conte San Marco. Coltivando questa terra abiamo fatto per la mancia di tutto l’anno ed abiamo comprato un mulo per il lavoro alla campagna. L’anno venturo noi piccoli eravamo un po’ grandette. Mio padre si ha comprato 20 pecore, le ha gregato a mio zio Pietro che quello faceva di mestiere il pecoraio, avversando mio fratello Ciro con mio zio, ed io aiutare mio padre alla campagna. Tiravamo avanti discretucci.
Il 9 giugno 1921 mi è nato un altro fratellino dove hanno messo il nome Antonino. Ecco, la famiglia si formava grande e mio padre prendeva più terra in gabella: ne ha prese quattro salmi sempre dal conte San Marco nel feudo Stallone. Più la famiglia cresceva, mio padre più terra prendeva in affitto, fino arrivare a coltivare 16 salme di terra al feudo Stallone e sei salme al Molinazo d’olive, sempre dal conte San Marco.
Nel 7 marzo 1924 mi è nato un altro fratellino il quale hanno messo il nome Francesco. Come la famiglia cresceva, mio padre più gabelle prendeva.
Il 13 dicembre 1926 mi è nato un altro fratello. È nato il giorno di Santa Lucia ed il settimo maschio, così l’hanno messo il nome Luciano Settimo. In quello periodo la nostra famiglia era grande ma bene attrezata: possedevamo circa 20 salme di terra tra affitto e terragi e qualche pezetto di proprietà, due muli buone per lavorare e il carro per trasportare la roba a Palermo, quattro vacche per il latte e fare anche uso allavorare la terra, circa 50 pecore e capre per il formagio. Eravamo arrivati alla posizione di passare burgisi, di frumento, ceriale, cacio: insomma, eravamo da una buona posizione chiamate burgisi.
Così passarono un po’ d’anni sempre nell’aumentare la posizione. In questo lo zio mio Pietro non avendo figli, io e mio fratello Ciro eravamo come figli, battevamo coma la casa dei genitori lo stesso la casa di nostro zio e anche padrino, perché a me mi hanno battezzato e mio fratello Ciro cresimato. In questo tempo, mio zio e padrino sempre per trama di bestiame ha fatto una società con un certo Regalbuto Filadelfio, lui abitante nel paese di Marineo vicino a Bolognetta. La sua provenienza erava da San Fratello, paese della provincia di Messina. La sua famiglia eravano: sposo, la mogli e due figli femmini, una a 14 anni di età, una bambina di due anni. Essendo accontatto sempre noi due famiglie questo viene per naturale, io e la figlia da 14 anni siamo iniziato a fare l’amore: più crescevamo, più forte l’amore si attaccava.
Arrivato il punto della mia leva affare il servizio militare, nel principio del 1930 sono andato alla visita, mi hanno fatto edonio al militare. Il 18 aprile del 1930 sono lasciato la famiglia e sono andato soldato. Mi hanno dato il posto all’89° Regimento fanteria che si trovava di posto a Ventimiglia Imperi, l’ultimo paese di Italia ai confini della Francia. Prima di andarmene al servizio ci siamo spiegate fidanzati ufficiali io e la figlia del compagno Regalbuto. Da parte della mia famiglia anche della sua tutti contentissimi, di più contenti la mia famiglia perché loro di posezione stavano ancora meglio di noi, e siccome ai tempi dell’epoca preferivano più alle bene stare che all’amore propio. Mentre io sono stato dalla mia infanzia tutto il contrario: ho preferito sempre più all’amore propio e al rispetto, e la sincerità più che ai bene stare. Così durante il mio militare ci scrivevamo quasi tutti i giorni lettere e cartolline d’amore. Più scrivevamo, più l’amore si attaccava.
Durante il mio militare, ch’è stato 16 mese e mezo, mio padre essendo inaffabeto non sapeva leggere né scrivere, però troppo furbacchione, che nella sua giovinezza aveva girato tanto fino in America e sofferto pure tanto. Era scaltro bastante, per trama di informazione ha scoperto che i genitore della mia fidanzata non erano sposate: tanto il padre che la madre eravano divisi dalle propie primi noze. Il Regalbuto aveva la mogli in America, anche la mia futura suocera aveva lo sposo in America e loro si sono uniti senza sposate. Così avveniva che la mia fidanzata il vero padre era in America, mentre la mia piccola cognata era la figlia di loro due: mentre il Regalbuto aveva la mogli con altre due figlie, un maschio e una femmina, tutte tre in America. Così avviene che quello che possedeva tutti i bene era Regalbuto, mia suocera non possedeva nulla: la mia fidanzata essendo non figlia del Regalbuto non possedeva proprio nulla. La mia suocera, essendo una donna non tanto buona, ecco che si trovava in fallo, facendo conoscere che essa era la padrona di tutti i bene stare, mentre non possedeva nulla. Acquesto, mio padre, che era scaltro sufficiente, non volle essere preso in giro, e senza farme sapere niente a me ch’ero soldato, ha rotto tutto il nostro amore. Neanche la mia fidanzata sapeva niente, noi ci continuavamo sempre a scrivere.
Avvenne che nell’aprile del 1931, avuto otto giorni di licenza, a me non pareva l’ora di andare a vedere la mia bella. Essa contava le ore del mio viagio per abbracciarmi. Arrivato a casa, ho baciato i miei genitori, i miei fratelli. Stato un po’ di ore mi orgeva andare dal mio amore, mentre mio padre comincia a darme trucco. Arrivato verso sera sono stato ansistere a sapere ch’era successo. Così mio padre mi raccontò per filo e segno tutto ciò che si trattava. Io le ho risposto se la mia fidanzata avesse mancato e mi hanno detto no. L’orrore era della sua mamma che non era stata sincera. Nel sentire questo, mio padre mi ha proibito di andare accostatare io stesso. Mi si è spezato il cuore, ma dovevo obedire i genitore. Sono passate otto giorne della mia licenza e per me sono state otto giorni di martirio: non sapevo il dolore della mia povera fidanzata che aspettava all’ancolo della sua porta la mia venuta fino alla sera attarda ora.
Passati quei otto giorni di malanconia dovette ritornare al mio reggimento. Ricevevo le sue lettere e non le rispondevo circando di potermi dimenticare. Ho cominciato a girare per tutti i dintorni di Ventimiglia per potere trovare un posto e non ritornare più in Sicilia. Finalmente, due mesi prima del mio concedo ho trovato una gantina di vino propio nella piazza del parco sportivo, nel punto più centrale di Ventimiglia. Era una cantina importante dove tutti andavano a bere e spassarsi il tempo con le carte da gioco. Il proprietario era vecchio, la mogli pure vecchia, non avevano figli, erano ricchi. Io e i miei compagni spesse volte andavamo a passare un po’ di tempo da questa cantina: trovandoci acchiacchiera io con queste vecchiette sono state loro a chiedermi se finito il militare vorrei arrestare con loro al suo servizio mi accettavano come figlio, le facevo tanta simpatia. Io nel dire il vero ho accettato volentieri per lo più per dimenticare il dolore che avevo continuo al mio cuore, se avrei riuscito. Così abiamo stabilito al mio concedo andare in Sicilia, salutare la mia famiglia e fare ritorno a Ventimiglia.
Nell’ultimi di agosto lo stesso anno mi sono concedato, andato in Sicilia per salutare la mia famiglia, mi è venuto tutto il contrario: quando i miei genitore hanno sentito la mia decisione è soccesso la fine del mondo. Mio padre lamentava che il primo dei figli abbandonava i genitore. La mia mamma dal pianto le lagrime le regavano le guance, i miei fratelli, tutti più piccoli di me, non avevano nessun coragio. Io non sapevo come decidermi, ma quando guardavo la mamma mia sempre aveva le lagrime agli occhi: io per la mia mamma ero disposto a dare la mia vita. Ancora, per giunta, la mia mamma aveva circa cinquant’anni di età: nel cambio della vita è venuta ancora incinta, poco ci voleva avere un altro figlio; nel pensare io tutto questo e l’amore alla mamma mia, ho deciso di abandonare tutto il piano, licenziare attutto e starmene col mio dolore al cuore, in compagnia dei miei genitore e fratelli.
Così nell’ottobre del 1931 mia mamma finalmente ha partorito una femminuccia. Tutti noi fratelli abiamo provato una vera gioia: avere una sorellina tanto desiderata nella nostra casa, vi era una festa. Alla bambina le hanno posto il nome Paolina. Un altro guaio vi è successo, essendo la mia mamma di età superata e nel cambio della vita, non aveva più le regole del sangue e mia mamma si è ammalata. Non aveva il latte per nutrire questa piccola. In quei tempi non vi era tanta scienza e noi facevamo il meglio possibile, abiamo comprato una capra nera con il latte fresco, questa bambina non l’ha voluto prendere. I dottore ci hanno detto di provare un’asina con il nutrico, il suo latte erava pare al latte umano. Così cercando in un paese vicino abiamo trovato questa asina con il suo nutrico. Era nel paese di Marineo: avendo trattato con questo proprietario di questa bestia e raccontato la necessità, si è fatto compassione e abiamo pattuito di darci un quarto di litro di latte al giorno pagandolo il doppio del latte di capra perché questo uomo doveva comprare le beaete un po’ più ricche che questa bestia potere aumentare un po’ di più latte per nutrire il suo nutrico più un quarto al giorno. Così ogni mattina il mio fratello più piccolo andava apprendere il latte per la piccola bambina, parte andava accavallo, parte andava appiede. La bambina con quel poco di latte ed altri nutrimenti componeva la mamma nostra, la bambina si nutriva.
Ancora una volta il destino preseguiva appegiorare…
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