Andy Warhol intervista Alfred Hitchcock
Il pezzo che segue fu pubblicato sulla rivista Interview, fondata da Warhol, in forma di pura sbobinatura – non editata – della conversazione; per questo motivo in alcuni punti si fa riferimento ai lati della cassetta su cui era stata registrata, e in altri compaiono stralci di dialogo che non vengono attribuiti a nessun interlocutore specifico; compaiono inoltre dei punti interrogativi nei passaggi in cui l’autore della trascrizione non era sicuro dell’ortografia dei nomi propri.
Hitchcock, di Andy Warhol (1974)
Venerdì 26 aprile 1974, New York, hotel Park Lane, al numero 36 di Central Park South. Alfred Hitchcock è in città, accompagnato dalla moglie Alma Reville Hitchcock, perché lunedì prossimo riceverà l’omaggio della Lincoln Center Film Society. Andy Warhol e Vincent Fremont raggiungono la suite di Hitchcock, dove ad accoglierli c’è John Springer, l’addetto stampa. Hitchcock è nel bel mezzo di un’intervista con «Un Giornalista» che apparirà su un settimanale nazionale il mese prossimo. In silenzio Warhol e Fremont entrano e si siedono in disparte. Dall’altro lato della stanza, su un divanetto, è seduta la signora Hitchcock. «Un Fotografo» sta aspettando la fine dell’intervista per fare qualche scatto. «Un Giornalista» e Hitchcock sono seduti di fronte a un’enorme finestra, uno davanti all’altro, e il loro profilo si staglia sullo sfondo di Central Park. Hitchcock indossa un vestito blu scuro, una camicia bianca e una cravatta scura. Warhol ha un paio di jeans e un blazer nero a doppiopetto firmato Yves Saint-Laurent.
ah: Che non possiedo un fermaporta?
un giornalista: Per lei [l’Oscar] significa solo questo?
ah: Certo. Sono solo cose organizzate dalle case di produzione.
arh: Però gli hanno dato quell’altro: la Legione d’Onore. (Squilla il telefono.)
un giornalista: Se tra i suoi film dovesse salvarne solo, diciamo, una manciata, quali sceglierebbe?
ah: Un film intitolato L’ombra del dubbio, che scrissi assieme a Thornton Wilder… La congiura degli innocenti… Il club dei trentanove… e come film fantastico, ovvero nonsense allo stato puro, direi Intrigo internazionale. Quello è tutto fantasia. Eppure, per piacere al pubblico, più la trama è assurda e più va raccontata in modo realistico. È come un incubo. E per descrivere un incubo di solito si dice che «sembra vero», no? Ecco, il film dovrebbe funzionare allo stesso modo: uno si risveglia all’improvviso mentre sta andando al patibolo, ed è un bel sollievo.
un giornalista: Ma quelli che ha appena elencato non sono i suoi film che «sembrano più veri». Per me è L’ombra del dubbio, direi, il suo film migliore, perché tratta di una vera città e di gente reale…
ah: Esatto, fa tutto parte dell’incubo.
un giornalista: …e non c’è nessuna casa spettrale in cima a una collina come in Psycho…
ah: Be’, a dire il vero la casa spettrale di Psycho è del tutto realistica. Siamo nella California settentrionale. Ce ne sono centinaia di case fatte così. È il cosiddetto stile gingerbread, le «casette di marzapane». E si trovano ovunque. Anche se le stanno piano piano abbattendo, a dire il vero. Comunque quella era abbastanza realistica e se non sbaglio doveva trovarsi vicino a un posto chiamato Redding, nella California settentrionale.
un giornalista: Però conferisce al film un’atmosfera gotica.
ah: Tutte quelle case danno quest’impressione…
un giornalista: Che invece L’ombra del dubbio non ha.
ah: Be’, L’ombra del dubbio no; insomma, lì la casa si affacciava su una strada residenziale. Non era isolata. Di fatto, quando io e Thornton siamo andati in giro a studiare questa città, prima di iniziare a scrivere la sceneggiatura… Vede, di solito si scrivono un sacco di pagine, e poi si cerca il luogo in cui girare; io, invece, preferisco guardarmi attorno e trovare un’ambientazione appena ho un abbozzo di trama… Così prima di tutto siamo andati in giro e abbiamo trovato una casa, e Thornton ha detto: «Secondo me è troppo grande». E io: «Però guarda: la vernice si sta staccando dalle porte. Manda un assistente a scoprire quant’è l’affitto». E l’affitto era adatto per il personaggio. La tragedia è stata che quando due mesi dopo siamo tornati per le riprese, il proprietario era così contento che avessimo scelto la sua casa che l’aveva ritinteggiata da cima a fondo. E così siamo stati costretti a dirgli: «Le dispiace se assumiamo due imbianchini per sporcarla un po’?» E così abbiamo fatto… Ad ogni modo, le ripeto, case del genere sono molto comuni in quella parte del paese.
un giornalista: Può raccontarmi qualcosina del suo prossimo progetto?
ah: Mmmmmh… Diciamo che al momento è ancora a uno stadio molto embrionale.
un giornalista: Quando comincerà la produzione, secondo lei?
ah: …Non appena tiriamo fuori un copione.
un giornalista: Che tipo di accordo ha con la Universal?
ah: Un film alla volta. Vengo pagato a film. E poi ho una percentuale sui ricavi.
un giornalista: Non c’è nessuna clausola temporale?
ah: No, nessuna. Tre film. Nessun limite di tempo.
un giornalista: Vorrei chiederle qualcosa a proposito di Frenzy. È il primo film, credo, per il quale ha concesso una specie di licenza all’odierna «liberalizzazione» del cinema: in uno degli omicidi si vede il primo piano di un capezzolo femminile, e poi utilizza una controfigura nuda. Ho detto bene nell’usare il termine licenza?
ah: Be’, in effetti può essere che sia una cosa un tantino «di tendenza», come si dice… Anche se, in quel caso preciso, era aderente alla realtà: tenga presente che l’uomo aveva strappato i vestiti alla donna, era un maniaco… Però almeno ho fatto vedere che cercava di coprirsi, cosa che non accade spesso negli altri film: di solito ti sbattono in faccia pure il polmone, se vogliamo dire così. E si ricordi che anche in Psycho c’era del nudo. Eccome. Vada a guardarsi il materiale per la sequenza della doccia. Badi bene, quella scena contiene settantotto pezzi di pellicola. Si vedono anche busti interi. Ho utilizzato una ragazza nuda, era una nudista, e…
un giornalista: Quali parti del corpo ha mostrato nei brevi spezzoni della scena nella doccia?
ah: Tutto il busto e anche un seno, per circa due fotogrammi. Ma il vero impatto emotivo dell’assassinio è dato solo dal montaggio.
un giornalista: L’ultima volta che ho visto Psycho al cinema, ho notato che in quella sequenza il formato dell’immagine cambiava. Per quale motivo?
ah: È dovuto al fatto che Janet Leigh non voleva che si intravedesse il suo seno, tutto qui. Era un po’ puritana al riguardo. Così abbiamo dovuto fare degli aggiustamenti su entrambi i formati, quello che chiamiamo 1.85:1 e il normale formato Academy 4:3.
un giornalista: Ma nella versione finale deve aver fatto qualcosa… Ora, non so come si dica tecnicamente, ma mi è sembrato strano che si vedessero i bordi neri.
ah: Be’, tenga presente che quando si gira un film bisogna sempre considerare il mercato straniero. E magari in questi paesi hanno degli schermi e dei proiettori di tipo diverso, per cui dobbiamo fornire un prodotto adatto a diverse esigenze. Del resto, in Thailandia molto probabilmente useranno un proiettore del 1920; anzi là eliminano del tutto il sonoro: mettono un tizio davanti alla platea che recita tutto il film, imitando il timbro delle varie voci sullo schermo. Viene pagato più di quanto spendono per il film.
un giornalista: Spero che possiamo fare delle fotografie anche con sua moglie e il signor Warhol, se non le dispiace.
ah: Va bene.
aw: È la miglior commedia che abbia mai visto. È bellissimo vedere i vostri profili davanti alla finestra con Central Park sullo sfondo. Avreste dovuto continuare.
un giornalista: Ma sono soltanto parole.
aw: Bastano. È… affascinante.
(John Springer fa le varie presentazioni, compresa quella tra aw e ah. Poi fanno quattro chiacchiere sull’American Film Institute, «Chuck Heston» e «Greg Peck».)
(«Un Fotografo» comincia a scattare le prime foto di gruppo: ah e arh.)
ah: (Rivolto a arh) Siediti qui, sul bracciolo.
aw: Lo sfondo di Central Park è strepitoso.
un fotografo: Guardate qui. Grazie. Andy?
(Foto successive: ah, arh e aw)
aw: Lieto di conoscerla. Wow. Caspita.
(Ultima serie di fotografie: ah e aw)
(Ciascuno torna al suo posto.)
ah: Guardi che Central Park sullo sfondo viene sfocato se mette le due persone in primo piano. Secondo me fuori non c’è abbastanza luce.
un fotografo: Perché non dirige qualcosa di meraviglioso?
ah: Voglio dirigere Central Park; ce l’abbiamo qui, siamo obbligati.
un fotografo: Allora, Warhol, ha intenzione di intervistarlo?
aw: Ho intenzione di accendere il registratore, ma non so bene cosa dire. (Rivolto a ah) È davvero difficile parlare, vero?
ah: Mmmmmh…
aw: Eh, lo so.
un fotografo: Forse se lei si siede qui e lei, Warhol, si inginocchia così.
(«Un Fotografo» fa vedere come.)
aw: D’accordo. (Si inginocchia.)
(Mentre sono in posa) Ha mai girato un film in questa città?
ah: Solo delle parti. Attorno all’hotel Plaza ho girato un pezzo di Intrigo internazionale.
aw: Sarà mai l’unica e vera star di uno dei suoi film? L’attore principale?
ah: Una volta, anni fa, me l’avevano proposto.
aw: Davvero? Dovrebbe farlo adesso. Ecco cosa dovrebbe fare.
ah: Be’, forse dovrei fare la parte di un investigatore alla Rex Stout.
aw: Oh sì! Certo!
ah: Seduto in poltrona per tutto il tempo. Però, vede, si tratta dei classici gialli in cui si deve trovare l’assassino, ed è un genere di storie che al cinema non ho mai trovato interessanti, perché sono quasi come i cruciverba: bisogna aspettare fino all’ultima pagina per scoprire chi è il colpevole, no?, e non c’è nessuna emozione. Invece nelle storie di suspense uno dà al pubblico le informazioni in anticipo. Li rende come delle divinità in grado di vedere sopra ogni cosa. E allora sì che si agitano. Ma in un film giallo non c’è nessuna emozione…
un fotografo: Warhol? Guardi qui, per favore.
ah: Ricordo che quando a Los Angeles arrivò la televisione, un canale aveva in programmazione un giallo e sul canale rivale, per mandare tutto all’aria, dissero: «Sul canale tal dei tali fra poco andrà in onda una certa storia. Ma possiamo dirvi fin d’ora che è stato il maggiordomo».
Fine della cassetta n. 1, lato b (cominciato a metà)
Cassetta n. 2, lato a
un fotografo: Ha mai conosciuto Rex Stout?
ah: No.
un fotografo: È in splendida forma. Ha ottantasei anni ed è ancora arzillo come…
aw: Cioè, mi vuol dire che Rex Stout esiste veramente? Nooooo.
un fotografo: Sì, vive a Brewster, nello stato di New York.
ah: (Ai presenti nella stanza) Scendiamo a mangiare qualcosa?
arh: D’accordo.
ah: Perfetto. Però dovremmo andare subito, perché dopo abbiamo altri appuntamenti. (Rivolto a arh) Tu hai voglia di scendere?
arh: No, pensavo di chiederti in prestito un po’ di soldi e andare a fare compere.
ah: Scusatemi un momento, le do un po’ di soldi.
(ah accompagna la moglie in un angolo e fa la scena di metterle in mano con grande cura una certa quantità di denaro.)
aw: (Rivolto a «Un Fotografo») Che immagine carina. Dovrebbe scattare una foto.
un fotografo: …
(ah e arh ritornano.)
aw: È tutto documentato su pellicola. È come se avesse firmato una cambiale.
(Da una parte alcune persone stanno discutendo se è meglio scendere per pranzare o farsi mandare il pranzo in stanza. aw tira fuori il suo Pezzo Grosso.)
aw: Questa è la mia vecchia Polaroid. …Potrei scattare solo una foto, con la mano qui su? …Esatto…
un fotografo: Volete che vi scatti una foto di voi due insieme con quella?
aw: Davvero? Grandioso… Mi dica solo dove mi devo mettere. Più vicino, più vicino, più vicino, più vicino… Un metro.
un fotografo: D’accordo, potete avvicinare le teste? Signori, vi voglio vicini vicini, uno addosso all’altro…
ah: …Detta così è un po’ pesante…
un fotografo: Potreste essere così gentili da avvicinare le teste? … Messo così stava benissimo, Warhol. (Ridacchia.) Magari ha esagerato un po’, ma la foto è venuta benissimo.
un giornalista: Grazie mille, signor Hitchcock.
ah: È stato un piacere.
un fotografo: Allora, Warhol, gliela fa questa intervista o no?
aw: Sono troppo agitato, per cui pranziamo e basta.
ah: Però registriamo la conversazione.
aw: Sì.
(Si preparano a lasciare la stanza.)
ah: Aspettate. Qui c’è un pezzo di penna. Qualcuno ha una penna blu? Qui c’è il tappo di una penna blu.
aw: (Rivolto a «Un Fotografo») Le piacerebbe fare l’intervista al posto nostro? Comincio ad avere paura. (Lascia la stanza ed esce sul corridoio.)
il collasso della Fonda
il divorzio di Burton
(In attesa dell’ascensore)
sono ancora in ospedale
Franco Rossellini
(Discesa in ascensore)
Montecarlo
la principessa Grace
il 15 maggio
(Le porte si aprono.)
aw: Il ristorante è al secondo piano?… Davvero?
un fotografo: (Mentre guarda la Polaroid scattata) C’è troppa luce.
troppo vicino
dove mi ha detto lei
ho provato a mettere a fuoco
aw: Be’, ma è bella lo stesso. Vuole tenere la sua prima fotografia scattata con il Pezzo Grosso?
un fotografo: No. Preferisco che un giorno compaia in uno dei suoi happening.
aw: Allora deve autografarla. Lo sa, la scena di prima, nella suite, è stata favolosa. Lei che scattava fotografie e ci guardava, voi due… è stato bellissimo.
un fotografo: Avrebbe dovuto portare la sua telecamera.
aw: No, non un film. Intendevo teatro.
(Saluti a «Un Giornalista» e «Un Fotografo»)
Ci stiamo lasciando o…?
(Entrano nella sala ristorante, si siedono a un tavolo rotondo di fronte a un’altra enorme finestra, sempre affacciata su Central Park e sulla strada.)
ah: Forse è meglio se ci sediamo vicini, secondo me.
aw: Certo. (Si siede.)
js: Signor Hitchcock?
ah: Per me niente da bere, grazie.
js: Per lei, Warhol?
aw: Niente, grazie.
vino bianco
dei bloody mary
vantaggi del Pezzo Grosso
(Rumore di ristorante, silenzio per due minuti mentre ciascuno studia il menù. Springer, che sta offrendo il pranzo, raccomanda i primi; ma non interessano a nessuno, si passa subito ai secondi.)
ah: All’hotel Savoy di Londra, il menù era sempre tutto in francese. Anche i piatti del giorno, che erano sempre cinque o sei. E sotto, in rosso, c’era la traduzione in inglese. Con gli ingredienti. In modo che il cliente che non conosceva il francese potesse comunque capire. E un giorno, tanti anni fa, ero lì a pranzo e ordinai lo stufato all’irlandese. Sul menù lo chiamavano «L’Irish Stew», in inglese, ma con un bell’articolo francese davanti! E sotto, in rosso, c’era la traduzione: «Irish Stew». Lei è mai stato a Tokyo?
aw: Molto tempo fa. Vent’anni fa. Giusto un viaggetto.
ah: Lì ho trovato un ristorante dove servivano veramente lo stufato all’irlandese. È stupefacente. I giapponesi sono intraprendenti. A quel tempo, all’hotel Imperial, si trovava qualunque cosa.
(Le ordinazioni vengono fatte a bassa voce.)
aw: Sa, proprio l’altra sera a una cena ho conosciuto la duchessa di Windsor. Non sapevo che dirle, per cui non le ho detto niente e quindi lei ha pensato che fossi un intellettuale. E ora vuole rivedermi, ma la cosa mi terrorizza perché non saprei di cosa potremmo parlare. Lei per caso la conosce?
ah: No, non la conosco.
aw: Speravo la conoscesse. Sto cercando qualche aiuto. Qualcuno mi ha suggerito la Cina come argomento, per cui credo che parlerò di quello…
ah: Ha mai visto il film che hanno fatto sul duca e sulla duchessa di Windsor? Con Richard Chamberlain e Faye Dunaway.
aw: Sì, qui l’hanno dato in tv. Vorrei chiederle una cosa sulla quale sono sicuro che ha già riflettuto: si possono davvero riprodurre sullo schermo i personaggi che appartengono alla storia? Possono mai rimanere fedeli a se stessi? Una perfetta replica?
ah: In effetti no. Nel caso di piccole parti dico spesso: «Fatelo assomigliare a un McNamara», o a qualche altro personaggio uscito da una rivista; però solo per ruoli di contorno, non per i protagonisti.
aw: Ma poi, secondo lei, gli attori dovrebbero far apparire la persona migliore di quello che era nella realtà, più bella, più… tutto?
ah: Be’, nei primissimi tempi, quando le star del cinema impersonavano dei politici, avevano sempre un aspetto migliore. Per esempio so che una volta a Clark Gable hanno fatto interpretare Parnell. Con scarso successo, devo dire.
aw: Sarà un film che si è visto solo in tv. Non ne avevo mai sentito parlare.
ah: Ah, be’; l’hanno girato nel ’38 o nel ’39. Ma mi ricorderò sempre quando anni fa lavoravo alla divisione inglese della Gaumont, che all’epoca aveva appena ingaggiato George Arliss. Lui aveva recitato nei ruoli di Rothschild, Disraeli, Alexander Hamilton, e via dicendo, quindi quelli della Gaumont si spremevano il cervello per trovare un altro ruolo storico da assegnargli. Alla fine decisero di cominciare da Stanley e Livingstone, ma non riuscivano a scegliere quale dei due far fare ad Arliss (Stanley o Livingstone); allora gli ho detto: «Facciamogli recitare entrambi i ruoli, così quando ci sarà il famoso incontro fra i due, lui si stringerà la mano da solo e dirà: “Il signor Arliss, suppongo”».
js: Alla fine fece il duca di Wellington.
ah: Già, il «Duca di ferro».
js: George Arliss aveva la capacità straordinaria di rendere tutti i personaggi storici uguali.
ah: Infatti. Ma è naturale. Lui aveva un maggiordomo, lo sapeva? Un maggiordomo inglese. E qualsiasi cosa il regista dicesse o pensasse, il maggiordomo arrivava puntuale alle quattro e venti del pomeriggio con una tazza di tè, gliela porgeva e diceva: «Signor Arliss, è ora di tornare a casa». E con questo si chiudeva la giornata lavorativa.
js: Questa mattina ho parlato con due signore; stavano chiacchierando tutte e due di qualcos’altro, ma appena ho accennato che avrei pranzato con Hitchcock, hanno detto che avrebbero fatto carte false per lavorare assieme a lei. Una era Bette Davis e l’altra era Myrna Loy.
aw: Può ancora usarle!
Bette
Myrna
Arthur Hornblow
grandi attori
piccole parti
ah: Il fatto è che a Londra è possibile ingaggiare una star e poi farle fare una parte piccola, ma qui è impossibile, perché poi si intromettono gli agenti…
aw: A me piace Tippi Hedren.
Grace Kelly
Janet Leigh
Vera Miles
Eva Marie Saint
queste algide bionde
aw: A me piace Tippi Hedren.
ah: Ecco, il principio è che all’apparenza sono molto fredde, ma nel momento in cui entrano in azione scatenano un vero inferno, ha presente? Secondo me le donne inglesi sono le peggiori. Sembrano tutte delle maestrine, ma dentro un taxi sono capaci di farti a pezzi… Le bionde alla Marilyn Monroe, comunque, non mi hanno mai entusiasmato: dico sempre che portano il sesso attorno al collo, come un gioiello.
Kim Novak
La donna che visse due volte
ah: Aveva delle idee molto precise sul suo look: a) i suoi capelli dovevano essere sempre color lavanda; b) non avrebbe mai, in nessun caso, indossato un tailleur. È venuta da me, io non l’avevo mai incontrata di persona, e mi ha sbattuto in faccia queste condizioni. Le ho detto: «Guardi, signorina Novak, può farsi i capelli del colore che preferisce e può mettersi quello che le pare e piace, purché non vada contro le esigenze del copione». E il copione prevedeva che fosse una morettina e che indossasse un tailleur grigio. Di solito in questi casi dicevo: «Senta, faccia un po’ come le pare; tanto poi c’è sempre il pavimento della sala di montaggio». Questo li impressiona sempre. E così si risolve tutto.
vf: Mi chiedevo dove ha girato L’ombra del dubbio. Quella città piccola e sicura crea un’atmosfera straordinaria.
ah: Fino ad allora, di solito giravamo nell’area dietro agli studi. Lo sapeva? Quella, invece, è stata la prima volta in cui abbiamo fatto diversamente.
vf: La casa di produzione era d’accordo?
ah: Be’, era un film con un budget limitatissimo. Prima ho fatto un po’ di riprese a Newark, poi ci siamo spostati a Santa Rosa. È stato un piacere lavorare con Thornton Wilder. Era un uomo molto umile.
js: Lo sapeva che pochissimo tempo fa è morta Patricia Collinge?
ah: È morta???
js: La settimana scorsa.
ah: Oh, mi dispiace moltissimo…
js: In quel film era davvero bravissima.
ah: Già. Scriveva per il New Yorker…
Joseph Cotten
ah: Il punto era: questo è uno che ammazza solo le vedove ricche. Quindi doveva essere per forza un bell’uomo. Spesso in questo la gente sbaglia: crede che il personaggio dell’assassino debba sempre avere l’aria sinistra e via dicendo. Be’, ma se non è un bell’uomo non si avvicinerà mai alle sue vittime! Per dire, in Inghilterra c’era un tizio di nome George Haigh, che uccideva le proprie vittime con un colpo di pistola. Aveva una piccola rimessa a una cinquantina di chilometri da Londra. A un certo punto comprò un carboy. Sa cos’è un carboy? È una specie di damigiana, un recipiente con il collo stretto e una base molto larga che contiene acido solforico. Lui comprava queste damigiane, poi metteva il corpo in una vasca e ci versava sopra l’acido per farlo decomporre. Mi pare che abbia ucciso tre o quattro persone… Un giorno uscì con una donna… Dormiva in un hotel molto simile a uno di quelli… non so, è mai stato a Londra? Ci sono queste case di mattoni tipo le vostre brownstones, tre o quattro attaccate una all’altra. In stile georgiano. Insomma, lui stava all’hotel Onslow Court. E fu proprio lì che rimorchiò la sua ultima vittima, una donna di nome Duran Durrell (?) [Durand-Deacon, n.d.r.]. La portò fuori. Alla vicedirettrice dell’hotel quel tipo non andava tanto a genio, e quando quella sera lo vide tornare senza la donna informò la polizia. La polizia lo arrestò e scoprì che aveva dei precedenti. Alla fine i poliziotti rintracciarono la rimessa e trovarono le fatture dell’acido solforico e anche una protesi dentale in plastica della signora Duran Durrell, che l’acido non aveva sciolto. Insomma, alla fine venne incarcerato e una volta dentro disse che beveva il sangue delle proprie vittime. Il che era totalmente falso: stava solo cercando di passare per un malato di mente. Infatti a uno dei detective chiese: «Com’è Broadmoor?» Broadmoor era un manicomio criminale.
vf: Quello che trovo geniale sono proprio i dettagli, le piccole sviste dell’assassino che inserisce nei suoi film.
ah: Nella Finestra sul cortile ho inserito un elemento che avevo ricavato da due casi. Uno era il cosiddetto caso Patrick Mahon e l’altro era quello del dottor Crippen. Quest’ultimo uccise la moglie ed è stato il primo assassino a essere catturato grazie alla radio. Una radio di bordo. Diffusero la sua descrizione e venne preso sul fiume St. Lawrence. Insomma, il punto è che subito dopo l’omicidio, i vicini (in particolare una certa signora Martinelli) si accorsero che Ethel Anibe (?) [Le Neve, n.d.r.], la sua segretaria, indossava i gioielli della moglie. A lui non era proprio venuto in mente che i vicini avrebbero potuto farci caso. E fu proprio quello a rovinarlo. Così ho pensato di mettere nel film lo stesso particolare.
aw: Visto che conosce tutti questi casi, è mai riuscito a capire perché la gente uccide? È una cosa che mi ha sempre dato da pensare. Per quale ragione lo fanno?
ah: Glielo dico io il perché. Anni fa era per motivi economici, davvero. Soprattutto in Inghilterra. Anzitutto era molto difficile ottenere il divorzio, e poi costava un mucchio di soldi.
aw: No, intendevo dire: qual è il tipo di persona che commetterebbe un omicidio? Voglio dire… ehm…
ah: Per disperazione. Si uccide per disperazione.
aw: Davvero? Ah…
ah: Totale disperazione. Non sapevano dove andare, a quei tempi non c’erano i motel, ed erano costretti a nascondersi dietro i cespugli, nei parchi. E dalla disperazione uccidevano.
aw: E i serial killer?
ah: Be’, in quel caso siamo di fronte a degli psicopatici, capisce? Dei veri e propri psicopatici. Molto spesso hanno problemi di impotenza. Come il protagonista di Frenzy: lui era impotente fino a quando non uccideva. E si eccitava proprio in quel modo.
Covent Garden
Frenzy
i colori, il mercato
ah: Ma ovviamente oggi, che siamo in quella che potremmo chiamare l’Epoca del Revolver, le pistole secondo me si usano più dentro casa che per le strade. Capisce? E gli uomini perdono la testa.
aw: Be’, a me hanno sparato, e mi sembrava di essere in un film. Non riesco proprio a credere che sia accaduto realmente. Ancora adesso, a ripensarci, mi fa l’effetto di un film. È successo a me, ma è stato come guardarlo alla televisione. Se uno vede certe cose in televisione, è come se gli venissero fatte nella vita reale.
ah: Già, è vero.
aw: Per cui penso sempre che anche le persone che le fanno credono di essere in televisione.
ah: Molto spesso quelle azioni vengono fatte d’impulso. Insomma…
aw: Già, ma uno se lo fa una volta, poi può rifarlo, e se lo rifà tante volte, credo che diventi impossibile evitarlo…
ah: Mah, dipende se si è sbarazzato del primo cadavere o meno. È un piccolo inconveniente. Dopo che ha commesso il primo omicidio.
aw: È vero, ma se uno il primo lo fa bene, poi è sulla buona strada. Per esempio, secondo me i macellai riuscirebbero a uccidere senza problemi. E i dottori?
ah: Come, scusi?
aw: Ho sempre pensato che i macellai fossero gli assassini migliori.
ah: I macellai? Be’, almeno uno ce n’è. Non c’è stato un macellaio assassino anni fa a Dortmund, in Germania?… Ad ogni modo, ho letto un libro su Jack lo Squartatore che proponeva un’interessante teoria secondo la quale, visto il modo in cui era stato usato il coltello sulle prostitute di Whitechapel nel… cos’era, il 1888? Insomma, all’epoca notarono che quest’uomo, chiunque fosse, era davvero molto abile con il coltello. E secondo quella teoria… Sa, a Londra all’epoca c’erano un sacco di immigranti provenienti dall’Europa centrale, molti dei quali ebrei. Arrivavano dalla Polonia, e… E sono sempre stati considerati come cittadini di seconda classe. Insomma, secondo la teoria l’omicidio era commesso da un addetto… Non è il rabbino in persona quello che taglia la carne alla maniera kasher, ora non mi viene il nome, ma c’è un altro tipo sotto di lui… il nome mi sfugge… che compie materialmente la macellazione, ed era quest’uomo, in realtà, Jack lo Squartatore; ma gli immigrati erano talmente terrorizzati all’idea che venisse scoperto, che ci pensarono loro a ucciderlo; e così scomparve senza lasciare traccia. Ecco perché Jack lo Squartatore non è stato mai identificato. Ovviamente si tratta di una teoria.
js: La teoria corrente dice che in realtà era un nobile, se non sbaglio.
ah: Il figlio di Edoardo VII? Ah, scrivono le teorie più strambe.
vf: Secondo lei gli inglesi sono più portati a interessarsi di questo genere di cose?
ah: No, secondo me gli inglesi si sono da sempre interessati al crimine dal punto di vista letterario. A partire da Conan Doyle fino ad Agatha Christie.
aw: La principessa Mdvanni alloggia proprio in questo hotel. Era sposata con il figlio di Conan Doyle.
ah: Ah, davvero?
aw: La conosce? La principessa Nina Mdvanni?
ah: No, non la conosco. Ma gli inglesi hanno sempre avuto un forte interesse per le storie di crimini. Qui in America è considerata letteratura di second’ordine e gli autori di gialli famosi si contano sulle dita di una mano… Dashiell Hammett, Raymond Chandler… però anche lui è cresciuto a Londra… Ross MacDonald… Non me ne vengono in mente molti.
aw: Sono sempre rimasto colpito dal fatto che in Inghilterra, se viene commesso un crimine, se ne parla in televisione, alla radio, gli strilloni lo annunciano, l’identikit viene diffuso ovunque («Se siete in possesso di informazioni utili, siete pregati di contattare la polizia»), tutti si mettono alla ricerca del criminale e lo trovano in un batter d’occhio, perché la gente è interessata.
ah: Già. Ricordo che anni fa sul giornale si leggeva spesso, se saltava fuori un’importante cause célèbre, mettiamo all’Old Bailey, che era presente il famoso scrittore tal dei tali, e anche degli attori importanti: tutti erano interessati, insomma; ma qui questo non accade. Qui non sapete nemmeno dove sta il tribunale: sapete solo che si trova da qualche parte su Foley Square… E invece tutti sanno dove si trova l’Old Bailey.
vf: E anche Scotland Yard.
ah: Già, un’altra cosa famosa. Giusto per dimostrare l’aumento della criminalità: un tempo l’Old Bailey aveva quattro aule giudiziarie, e oggi sono diventate diciotto. Da quando hanno costruito l’edificio, nel 1907, fino all’anno scorso, le corti erano sempre rimaste quattro.
Fine della cassetta n. 2, lato a
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