Berlusconi ha avuto nelle televisioni uno dei suoi principali alleati, ma la sua forza è derivata soprattutto dall'incapacità
della sinistra di proporre un proprio progetto alternativo di
società. E' in sintesi quanto si può trarre, passando all'oggi, dalla lettura di “Il
pane e il circo” di Paul Veyne. Un'opera di qualche anno fa, ma
attualissima e illuminante sui meccanismi del consenso.
Maurizio Bettini - Perchè il popolo vuole
«Che fa il popolo di
Remo?», si chiedeva Giovenale. «Un tempo assegnava comandi, fasci,
legioni, ma da quando non si vendono più i voti, desidera solo due
cose: il pane e il circo». Questo emistichio del poeta romano -
panem et circenses - è divenuto una sorta di emblema. Evoca la
degenerazione di un popolo pronto a cedere la propria libertà in
cambio del divertimento a buon mercato: un fenomeno che oggi sembra
più visibile che mai.
Questo motto di Giovenale
ha fornito il titolo a uno dei capolavori della storiografia antica,
Il pane e il circo di Paul Veyne, che Il Mulino ha appena ristampato.
Che cosa ha da offrire
questo libro al lettore di oggi? Moltissimo. Veyne infatti non è
soltanto un grande storico antico, è soprattutto uno studioso di
straordinaria intelligenza. Come tale egli prende spesso spunto dal
mondo greco e romano per affrontare problemi assai più generali, del
tipo: che cos'è il lusso? che cosa vuol dire adorare qualcuno come
un dio? com'è nata e cos'è la carità cristiana? Questo volume
costituisce pertanto non solo un magistrale studio sul mecenatismo
antico (tema quanto mai attuale, peraltro, in un periodo in cui a
restaurare il Colosseo ci pensa non più lo Stato, bensì un
privato), ma, più in generale, un manifesto di intelligenza critica:
nel quale si riflette sul potere, sul denaro, sul patrimonio, sullo
spettacolo, sul rapporto fra governati e governanti.
Ciò detto, che cosa
pensa Veyne del fatidico motto di Giovenale? Dunque, una visione "di
destra" del fenomeno panem et circenses, peraltro quella
condivisa dal poeta stesso, vuole che in questo modo il popolo,
immerso in un bieco materialismo, perda il senso della libertà. Una
visione "di sinistra", invece, vuole che il facile
divertimento distolga il popolo dalla lotta contro le disuguaglianze.
Ed ecco entrare in campo l'intelligenza critica di Veyne. Entrambe
queste visioni, spiega, presuppongono che, da un lato, chi detiene il
potere operi sempre con astuzia machiavellica; dall'altro che il
popolo aspiri spontaneamente a decidere delle proprie sorti, insomma
a occuparsi di politica - e come tale, possa essere distolto da
questa sua naturale tendenza solo tramite l'astuta somministrazione
del divertimento.
Salvo che il circo non
era solo una macchinazione dell'imperatore, così come non si
"spoliticizza" il proletariato semplicemente facendogli
leggere riviste di gossip. Se queste non esistessero, argomenta
Veyne, molte persone si annoierebbero, ma non necessariamente si
dedicherebbero alla politica. Oppure si possono leggere riviste di
gossip e, nonostante ciò, essere militanti. Il fatto è che la
perdita del senso civile, o del desiderio di libertà, ha cause molto
più variee profonde che non siano la semplice offerta di
divertimento.
Tant'è vero che il
circensis a volte funziona, ma a volte no: è fallito nella Firenze
del Quattrocento, così come ai nostri giorni in Brasile, dove
migliaia di persone sono scese in piazza addirittura contro
l'equivalente odierno del circo, il calcio. Il sentimento civile non
è spontaneo, prima di perderlo è necessario esserselo guadagnato; e
prima di dimenticarlo, bisogna che ci sia stato insegnato. Ecco
dunque una delle innumerevoli lezioni che possiamo trarre da questo
libro: mai cedere alla lusinga dei motti o dei luoghi comuni, che non
spiegano nulla, proprio perché sembrano spiegare tutto.
(Da: La Repubblica del 15
agosto 2013)
Paul Veyne
Il pane e il circo
Il Mulino, 2013
32 euro
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