L’ articolo che segue fa parte di un saggio più ampio, ancora inedito, a cui lavoro da anni. Anticipo alcune conclusioni cui sono pervenuto. Antonio Gramsci (1891-1937), unanimemente riconosciuto come il più grande ed originale pensatore marxista del 900, per tante ragioni è stato frainteso. L’uso che ne è stato fatto da Togliatti in poi, sia dai comunisti che dagli anticomunisti, è molto discutibile. Il Gramsci che ancora circola, nella vulgata marxista come in quella antimarxista, spesso è solo una caricatura del suo problematico pensiero. In questo articolo mi soffermo brevemente a mettere a fuoco il tema religioso che attraversa l’intera opera del sardo attraverso un veloce richiamo ad alcuni suoi scritti.
La molla per riproporlo mi è venuta, oltre che dallo scoop giornalistico circa la sua presunta conversione al cattolicesimo in articulo mortis, dai continui equivoci ( ultimo quello del pur stimato Lo Piparo) che continuano a circolare.
FRANCESCO VIRGA - GRAMSCI SUL CRISTIANESIMO
In tutti gli scritti di Antonio Gramsci ( specialmente in quelli giovanili) si trovano a iosa non solo frequenti spunti polemici anticlericali ma anche nette affermazioni d’incompatibilità tra i principi del socialismo e la religione cattolica. Ma non va cercata in questi luoghi, che facevano parte del senso comune dell’epoca, l’originalità di Gramsci, quanto piuttosto nella singolare attenzione alle diverse espressioni della cultura religiosa, popolare e colta, cattolica e non.
Il sardo - che non disprezzava neppure la miriade di fogli e riviste parrocchiali che, pur sfuggendo ad ogni controllo critico, continuano a circolare in tutte le case – è particolarmente colpito dalla capacità della Chiesa cattolica di creare consenso attorno a sé, riuscendo a mantenere costantemente un rapporto tra intellettuali e semplici. Scriverà infatti nei Quaderni:
“la forza delle religioni e specialmente della chiesa cattolica è consistita e consiste in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell’unione dottrinale di tutta la massa religiosa e lottano perché gli strati intellettualmente superiori non si stacchino da quelli inferiori.” (Q.pagg.1380-1381)
Proprio su questo punto Asor Rosa, nel suo Scrittori e popolo del 1965, prese un incredibile abbaglio, mai abbastanza stigmatizzato, considerando populista la ben più complessa nozione gramsciana di nazionale-popolare. Gramsci non ha mai mitizzato il popolo e non l’ha mai considerato naturaliter progressista. Il sardo, con il suo spiccato realismo critico, ha semplicemente osservato che senza la partecipazione popolare nessun cambiamento può essere realizzato.
Sarà proprio questo, peraltro, uno dei punti su cui Gramsci prenderà le distanze da Benedetto Croce. Quest’ultimo, infatti, ha avuto un’influenza decisiva sulla formazione del sardo che, lealmente, ha sempre riconosciuto:
“Partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo , che l’uomo moderno può e deve vivere senza religione, e s’intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire. Questo punto mi pare anche oggi il maggiore contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani, mi pare una conquista civile che non deve essere perduta”.( Lettere dal carcere, 17 agosto 1931, ultima ediz. Einaudi 1997, p. 764)
“ Religione e serenità” è il testo crociano sull’argomento prediletto da Gramsci. Lo ritroviamo assunto a modello di analisi critica del fenomeno religioso, in modo singolarmente continuo e costante, dai suoi primi scritti agli ultimi anni di vita. Croce lo aveva pubblicato nel 1915. Gramsci vi si riconosce immediatamente e, nel 1917, oltre a proporlo nel numero unico “La Città Futura”, lo usa come pungolo nei dibattiti in cui impegnava i giovani socialisti torinesi nel suo “Club di vita morale”. Lo stesso saggio verrà riproposto nel 1920 su “L’ORDINE NUOVO. Rassegna settimanale di cultura socialista”. Ma è in una famosa pagina dei Quaderni che il testo crociano torna ad essere discusso, nel contesto di una più ampia ed articolata riflessione critica sul filosofo napoletano:
“ Per il Croce la religione è una concezione della realtà, con una morale conforme a questa concezione, presentata in forma mitologica. Pertanto è religione ogni filosofia , ogni concezione del mondo, in quanto è diventata ‘fede’ (…). Il Croce tuttavia è molto cauto nei rapporti con la religione tradizionale: lo scritto più avanzato è il capitolo IV dei ‘Frammenti di Etica”(…)Religione e serenità.” [1].
Segue una accurata analisi delle differenti posizioni assunte dal Croce e dal Gentile nei confronti della religione cattolica, con una punta polemica rivolta particolarmente alla riforma gentiliana che aveva introdotto l’insegnamento confessionale della religione nella scuola elementare. La nota si conclude con un significativo riconoscimento del Croce quale “vero riformatore religioso”, soprattutto per aver capito che “dopo Cristo siamo diventati tutti cristiani” poiché “la parte vitale del cristianesimo è stata assorbita dalla civiltà moderna”. Una straordinaria traduzione del testo crociano si trova nella memorabile lettera che Gramsci scrive nel 1931 alla madre. In essa infatti si trova riassunta, in forma toccante e personalissima, lo stesso punto di vista storicistico del filosofo napoletano:
“ Se ci pensi bene tutte le questioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli”. [2]
Per concludere voglio ricordare una delle più creative pagine dei Quaderni dedicate alla riflessione attorno alla “storicità della filosofia della prassi” : il cristianesimo qui viene presentato come “ la più gigantesca utopia(…) apparsa nella storia, poiché è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica – e si tenga presente che la figura del MITO nel pensiero gramsciano non ha sempre connotazione negativa – le contraddizioni reali della vita storica.” Infatti, affermare come fa la religione cristiana“che l’uomo ha la stessa natura in quanto creato da Dio, figlio di Dio, perciò fratello degli altri uomini, libero fra gli altri e come gli altri uomini”, pur ammettendo che “tutto ciò non è di questo mondo e per questo mondo, ma di un altro, utopico ”, ha contribuito in modo decisivo a diffondere nel mondo le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà. Queste ultime infatti “fermentano tra gli uomini , in quegli strati di uomini che non si vedono né uguali, né fratelli di altri uomini, né liberi nei loro confronti. Così è avvenuto che in ogni sommovimento radicale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e ideologie determinate, sono state poste queste rivendicazioni” [3] . Per il cristianesimo non mi sembra questo un riconoscimento da poco. E certamente oggi ci sarebbero meno opportunisti in giro se ci fossero tanti miscredenti come Gramsci!
Francesco Virga
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