Ciliegi in fiore tra palazzoni grigi e odore di frittelle. Forse non tutto è perso nella grande città se si
è ancora capaci di trovare nell'altro (e nelle piccole cose) il
rimedio alla propria solitudine. Un film poetico e commovente. Da
vedere.
Stefania Ulivi
I dorayaki e le
ricette della signora Toku
«Il segreto
dei dorayaki? Che ogni cosa, come ogni persona, ha bisogno delle
altre. Nessuno può vivere da solo». Quei piccoli pancake ripieni di
salsa dolce di azuki, resi popolari in occidente dal manga Doraemon,
la regista giapponese Naomi Kawase li conosce molto bene. A fare la
differenza è la riuscita del ripieno. Che non è esattamente una
marmellata, né una crema, né una vellutata. Bastano una parola di
due lettere, an, per definirla. Un’alchimia frutto di
conoscenze antiche e molta, molta pazienza.
Toku, l’anziana e un
po’ misteriosa protagonista del film che la regista ha tratto dal
romanzo di Durian Sekagawa, (An in originale, da noi Cinema lo
ha distribuito con il titolo Le ricette della signora Toku) la
vuole condividere e insegnare a Sentaro, il gestore del piccolo
locale che utilizza barattoloni di asettico anindustriale.
«Dobbiamo accoglierli con cura» dice Toku. «I clienti?» domanda
l’uomo. «No. I fagioli» spiega lei che dietro al candore nasconde
un segreto drammatico.
«È stato questo l’aspetto che mi ha conquistato del libro: la capacità di descrivere ciò che è invisibile all’occhio». Come i sapori. «Sono anche quelli più difficili da rendere sullo schermo ma è anche ciò che credo mi riesca meglio con il mio cinema» spiega Kawase che per il film ha chiesto ai suoi due interpreti — la deliziosa Kirin Kiki, la donna che sussurrava ai fagioli («Dobbiamo ascoltare le storie che raccontano») e Magatoshi Nagase — di passare molto tempo a imparare a cucinare alla perfezione i dorayaki. «Sì, ho voluto che vivessero e lavorassero nel negozio di dorayaki e alla fine la gente che non sapeva che fosse per un film pensava fosse vero e entrava a comprarli».
Quarantasei anni,
habituée del festival di Cannes dove ha vinto la Camera d’oro nel
1997 e il Grand Prix speciale della Giuria nel 2007, fondatrice del
Nara International Film Festival con l’obbiettivo di aiutare i
giovani filmmakers, Kawase è maestra nel trasformare in cinema le
piccole cose quotidiane, renderle uniche. «Prendo ispirazione da
quello che mi circonda, le idee mi vengono camminando per strada».
Fondamentale, racconta, è il rispetto per il passato. «I ricordi
sono insostituibili: i film possono catturarli. Proprio come accade
con la cucina».
Il cibo, racconta, è
un’estensione della natura. In perfetta sintonia con i concetti
cari alla cultura giapponese di armonia e gratitudine. «La mia
estensione preferita. Adoro mangiare. Il cibo ci rende felici e ci
riempie la mente di meraviglia. Non credo che nessuno possa sentirsi
arrabbiato mentre mangia qualcosa di delizioso».
Attraverso il cibo e la
sua lavorazione, sostiene Kawase, impariamo a conoscerci. Anche senza
parlare. «Niente è più importante della fiducia: bisogna passare
tempo insieme per capire cosa c’è nella testa dell’altro». Vale
anche, insegna la signora Toku, per gli azuki.
E per i ciliegi, simbolo
della cultura giapponese, che popolano il film. «Rappresentano la
vita e la morte, il ciclo della vita. Noi conosciamo il significato
di fine e inizio, amiamo i ciliegi perché sono effimeri». Potenza
di un dorayaki.
http://cucina.corriere.it/notizie/15_dicembre_22/i-dorayaki-ricette-signora-toku_f11b9424-a8e6-11e5-8cb6-cc689478293e.shtml
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