A Cagliari una grande
mostra documenta la vita delle civiltà tra il V e I millennio a.C.
Centinaia i reperti esposti provenienti dai musei della Sardegna e
dall'Ermitage. Dal Caucaso alla Sardegna nuragica mondi lontani per
la prima volta a confronto.
Mario Niola
Eurasia. Quelle civiltà
che diedero origine alla storia.
La conoscenza poetica del
mondo precede la conoscenza razionale degli oggetti. In quella lunga
notte in cui cominciano a spuntare le prime luci della storia, i
nostri lontani progenitori vivevano in un paesaggio sconfinato dove
la natura la faceva da padrona. E la caccia e la raccolta erano le
sole arti della sopravvivenza. Eppure l'ingegno, la fantasia e la
curiosità di quegli uomini e di quelle donne li hanno fatti uscire
dall'età della pietra, dando inizio a una straordinaria rivoluzione
culturale. Nascono allevamento, agricoltura, sedentarizzazione,
lavorazione dei metalli, tessitura. Nasce l'idea stessa di casa, che
non è un semplice riparo ma una dimora. Come dire che habitat, abiti
e abitudini arrivano insieme. E che coltura e cultura avanzano in
parallelo. Facendo uscire dal loro isolamento i figli di quei
bestioni primitivi di cui parla Giambattista Vico nella Scienza
Nuova. Di qui scambi, commerci e merci. Viaggi e non più
vagabondaggi.
È un punto di non
ritorno che cambia il destino della specie. A questa transizione è
dedicata la bellissima mostra Eurasia, fino alle soglie della storia.
Capolavori dal Museo Ermitage e dai Musei della Sardegna.
Curata da Anna Maria
Montaldo, direttore dei Musei Civici di Cagliari, insieme a Yuri
Piotrovsky e Marco Edoardo Minoja, l'esposizione (da oggi al 10
aprile 2016) documenta la vita di questi uomini che, intorno al
quinto millennio prima di Cristo, stavano sperimentando la più
grande delle mutazioni antropologiche.
Una soglia temporale ma
anche una start up immaginativa. Da allora, infatti, le società
umane cominciano a raccontarsi e a descriversi. In forma di parole e
in forma di oggetti. Cose e rappresentazioni che fanno da
monumento-documento di un tornante decisivo del cammino dell'umanità.
I curatori della mostra hanno sintetizzato questo cammino nella
parola Eurasia. Una sorta di ellissi con due fuochi. La Sardegna e il
Caucaso. Mondi così lontani e così vicini, divisi da una distanza
incalcolabile e uniti da una domanda di senso che accorcia le
distanze. Disseminando il percorso di oggetti eloquenti. Pugnali di
rame, anfore kurgan, vasi di Ozieri, statuine femminili di alabastro,
monili d'oro e d'argento. E poi gli strumenti prodotti dalle arti
della metallurgia. Incudini e martelli che hanno plasmato rame,
bronzo, ferro e oro consegnando la fabbrica del fuoco, che muove i
suoi primi passi, prima al mito e poi alla storia.
Non a caso Prometeo,
l'uomo che ruba la scintilla agli dei della folgore e la dona ai
mortali, è l'eroe eponimo della civiltà. Il personaggio simbolo
della techne, cioè la capacità tutta umana di trasformare la natura
con il lavoro. "Sudate o fuochi a preparar metalli",
dicevano i poeti barocchi che di questo tornante sono stati i più
geniali esploratori. Perché lo hanno detto in poesia e dipinto in
immagini esonerandosi dal tentativo, peraltro vano, di spiegarlo in
concetti. Come dire che hanno usato le lenti potentissime della
metafora alata, che sorvola spazi e tempi.
Ed è quel che fanno i
curatori della mostra spingendo il visitatore verso un autentico volo
pindarico che avvicina lembi estremi della storia e della geografia.
E perfino la parola Eurasia, più che un semplice titolo, è un
programma. Un ponte fra mondi lontani ma soprattutto una password di
questo progetto nato nell'alveo della candidatura di Cagliari a
capitale europea della cultura per il 2019. E che si è concretizzato
in questa bellissima esposizione. Eurasia, infatti è anche un
acronimo. Ciascuna lettera fornisce una chiave di lettura.
E, come Ermitage, il
prestigioso museo di San Pietroburgo che ha prestato le sue preziose
collezioni archeologiche. U come unione di culture. R come la
rivoluzione neolitica che ha mutato le sorti dell'umanità. A come
antropologia, la disciplina che studia le diverse dimensioni del
pianeta-uomo. S come Sardegna, l'isola-continente che con la sua
storia millenaria e con la cultura nuragica diventa un paradigma del
Mediterraneo. I come immaginazione, la facoltà che apre la scatola
nera dell'umano e ritrova i fili nascosti che costituiscono il
tessuto comune della storia. A come archeo-logia, che indaga le
profondità del passato e ce lo rende di nuovo contemporaneo. E in
questa Eurasia del quinto millennio avanti Cristo ritroviamo le
tracce di noi stessi, le premesse di quel che siamo diventati. Il
nostro Oriente. Quella dimensione aurorale che da Erodoto in poi ha
fatto del Caucaso, dell'Indo e della Mezzaluna Fertile le regioni
dell'anima di un Occidente in cerca di orientamento e di origine.
Parole che non per nulla
hanno la stessa etimologia. E anche quando l'origine è svanita nelle
nebbie del tempo ne restano le tracce e le connessioni. Consegnate,
come dice Pietro Clemente, in un bellissimo testo che arricchisce il
catalogo, al mondo delle cose, alla cultura materiale, agli oggetti
del lavoro contadino, agli strumenti del mondo nuragico o caucasico.
Dove è possibile riconoscere forme, stabilire nessi, tra modi di
vita apparentemente lontani e incomunicanti. È in questo mare, dove
è facile naufragare, che è bello navigare oscillando tra lo stupore
della differenza e la fascinazione della somiglianza.
Come quando il visitatore
si trova davanti le perturbanti statue sarde di Monte Prama, grande
attrattiva del Palazzo di Città. Cui i curatori, con felice scelta
espositiva, hanno accostato i Kurgan di Majkop, straordinari
monumenti funerari della Repubblica russa di Adigezia. Con i loro
scheletri colorati che affiorano da millenni anni di storia in tutta
la loro carica engmatica. Amplificata da uno straordinario corredo di
leoni rampanti, di anelli preziosi, di monili principeschi, di
placche ornamentali. Chili di oro e d'argento che dovevano
accompagnarli nell'ultimo viaggio. Entrambi eroi, i giganti sardi e i
simulacri russi, hanno bucato la barriera del tempo e si ripresentano
ai nostri occhi come emergenze del senso. Pieni di una ulteriorità
onirica che ci invita ad addentrarci in quella foresta di simboli che
separa e unisce il nostro Oriente e il nostro Occidente.
La Repubblica – 22
dicembre 2015
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