Una storia del simpatico oggetto nato nel Settecento per
proteggere gli aristocratici dalla sifilide.
Eugenia Tognotti
Quel salvavita
innominabile ideato dall’enigmatico dottor Condom
Nella storia
dell’epidemia di sifilide che cominciò a terrorizzare l’Europa
nel 1495, dopo l’arrivo a Napoli dell’esercito cosmopolita di
mercenari del re di Francia Carlo VIII, seguito, come scrivono
rudemente i contemporanei da 500 «puctane», occupa un posto tutto
speciale la parte che riguarda lo studio e la ricerca di mezzi di
profilassi individuale.
Riconosciuta dai medici come una malattia contagiosa, a trasmissione sessuale, il «Mal francese» o «Mal napolitain» non uccideva, ma aveva un impatto spaventoso: piaghe e pustole riempivano il viso e varie parti del corpo, a cominciare dal «più vile punto che abbiamo», per riprendere le parole del medico spagnolo Francisco Lopez de Villalobos. Febbre e mal di testa tormentavano i colpiti, insieme con dolori terribili a ossa, braccia e gambe.
I tradizionali strumenti
di salute pubblica come quarantene e cordoni sanitari erano armi
spuntate contro la «lue venerea». Seguendo le indicazioni dei più
eminenti medici europei, le autorità cittadine adottarono varie
misure, come quella di isolare i pazienti occasionali, cacciare dalle
città prostitute e donne di facili costumi, obbligare all’isolamento
i malati in lazzaretti e ospedali degli incurabili. Ma nessun
intervento di sanità pubblica era in grado di controllare tutte le
persone a rischio di trasmettere l’infezione. La strada obbligata
era quella di astenersi da contatti sessuali con «femina fetida»,
raccomandavano i medici.
Nessuna malattia ha mobilitato in modo così massiccio medici, naturalisti, scrittori di medicina, che setacciavano trattati di medici e chirurghi del passato alla ricerca di suggerimenti in materia di igiene sessuale. Se Guglielmo di Saliceto aveva consigliato lozioni di aceto prima dei rapporti sessuali, nel XVI secolo si affermò la pratica di ungere i genitali con olio d’oliva o grassi per impedire all’infezione di infiltrarsi attraverso i pori. Accadeva così - scriverà un medico a fine Ottocento - «che i galanti andassero alle avventure amorose con la tabacchiera d’oro o d’argento ripiena di lardo o altro grasso».
È in quel secolo che l’anatomista Gabriele Falloppio mette a punto un sacchetto di lino «ad mensuram glandis», impregnato di sali ed erbe. Ma non sarà l’Italia ad essere ricordata come la culla dell’invenzione del primo preservativo, che secondo alcune fonti fu messo a punto nel XVII secolo da un medico della Corte di Carlo II d’Inghilterra, di nome Condom, di cui però non si è trovata alcuna traccia. Quello che è certo è che il lancio sul mercato avvenne nel 1712, a Utrecht, durante la conferenza per la firma del trattato che chiudeva la Guerra di successione spagnola.
La presenza di funzionari
e diplomatici, circondati da dame galanti, fece scattare l’idea di
produrre dispositivi igienici fatti di membrane animali. Usato anche
in funzione contraccettiva, in bordelli di lusso e «alcove degli
adulteri», divenne il simbolo di una sessualità illecita,
circondato da un’aura di peccaminosità che avrebbe attraversato il
libertino Settecento.
1700. Prova del prodotto
Lo usavano il marchese de
Sade, Casanova, James Boswell. Ogni Paese gli attribuiva un nome
metaforico, teso a legittimare l’idea di un’origine forestiera.
Così, se in Francia era conosciuto come «redingote inglese», in
Inghilterra era indicato come «lettera francese». Il nome
preservativo comparve, invece, per la prima volta in una réclâme
che ne dichiarava gli scopi igienico-profilattici: «Fabbrica di
preservativi sicuri. Esportazione discreta».
A Venezia la vendita di gondoni, goldoni o condoni, «cosetti di pelle bianca come guanti con cordelline», era vietato. Il timore era che persone disoneste ne diffondessero l’uso tra le ragazze per avviarle alla prostituzione. Molti li consideravano una «tela di ragno contro il pericolo e una corazza contro il piacere». Inoltre era costoso, perché di difficile lavorazione. Fino alla scoperta della vulcanizzazione della gomma verso il 1840, che ne vedrà la diffusione come anticoncezionale, era composto da intestino cieco di pecora. Il profilattico, d’altra parte, non incontrava il favore dei medici, che non lo ritenevano sicuro contro il contagio, mentre induceva falsa sicurezza nei «consumatori» di sesso mercenario.
Jean Astruc, professore di Medicina a Montpellier e Parigi, deplorava che certi «depravati usassero piccoli sacchi fatti di una membrana fine». E il grande Jacob von Plenck scriveva che era un’illusione che preservasse dal veleno venereo «l’applicarsi alla verga una pellicola a forma di guaina». Più tardi altri materiali (il lattice) e altri processi di lavorazione renderanno più sicuro il condom. Che però non entrò mai nelle misure pubbliche di profilassi antivenerea. Nella Grande Guerra il timore di incoraggiare il sesso tra i soldati spinse a privilegiare consigli igienici e kit contenenti una famosa pomata. Il peccaminoso dispositivo era bandito persino da enciclopedie e dizionari: l’Oxford English Dictionary non registra la parola fino al 1972.
La Stampa – 31 agosto
2016
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