Donne, cavalieri, armi, amori: una mostra sull’Orlando Furioso
di Licia VignottoDa quali suggestioni nasce la poesia? Cosa ricorda chi congegna l’intreccio di una storia? Soprattutto: quali visioni si celano dietro le palpebre chiuse di chi traduce il sogno in letteratura? Sono queste le domande che hanno guidato negli ultimi tre anni il lavoro di Guido Beltramini e Adolfo Tura, i curatori della mostra dedicata a Ludovico Ariosto inaugurata sabato 24 settembre, a Palazzo Diamanti. Allestimento stupefacente perché, con grandissima cura e ben piazzati colpi di scena, materializza la curiosità che ogni lettore nutre nei confronti del suo scrittore preferito e trasforma – finalmente! – l’Ariosto nell’artista che tutti avremmo voluto conoscere.
L’appuntamento con l’autore non si poteva prescindere: nel 2016 infatti ricorrono i cinquecento anni dalla prima stesura dell’Orlando furioso e sia nel capoluogo estense, dove il testo venne concepito e scritto, sia in tante altre città italiane già da mesi si susseguono omaggi e conferenze. Approfondimenti necessari e doverosi, ma spesso poco efficaci perché incapaci di invitare e accogliere una platea diversa da quella stretta degli addetti ai lavori, di suscitare l’attenzione di un pubblico più trasversale e diffuso. Le peripezie astrali di Astolfo, le prodezze erotiche dell’affascinante Medoro, nonostante siano state per secoli patrimonio conosciuto e condiviso, negli ultimi trent’anni sono scivolate purtroppo nel dimenticatoio. «Un eclissi che merita vendetta», come ha sottolineato Melania Mazzucco sulle pagine del Venerdì, precisando che il ricordo collettivo è purtroppo filtrato unicamente dai banchi di scuola.
Riuscirà la mostra di Palazzo Diamanti a spazzare via gli sbadigli delle ore trascorse tra una parafrasi e una schiacciatina sbriciolata nello zaino, a risvegliare l’innamoramento e la meraviglia? Passeggiando tra le sale qualche giorno prima dell’inaugurazione, mentre i restauratori con infinita pazienza scartano dagli imballaggi le ultime opere ancora da sistemare, si respira già l’aria del riscatto.
Merito dell’intuizione dei curatori: evitare la rappresentazione del poema, scansare la documentazione iconografica della sua ricchissima fortuna, focalizzare l’attenzione sull’autore, ricostruire l’universo in cui viveva, le immagini di cui si circondava o che incrociava nella quotidianità, le notizie che riceveva e gli stimoli che raccoglieva, tra appuntamenti a corte e carteggi. In sintesi: fare un passo indietro rispetto all’Orlando. Operazione semplice da descrivere ma complicatissima da realizzare, che ha richiesto uno studio rigorosissimo – guidato dalla docente Cristina Montagnani, tra i maggiori esperti a livello nazionale – oltre che un grande impegno diplomatico ed economico, sostenuto dalla Fondazione Ferrara Arte.
I gioielli raccolti per questa esposizione sono tanti. Direttamente dal Louvre arriva Minerva che scaccia i vizi dal giardino delle virtù, l’unica opera d’arte citata esplicitamente da Ariosto, che dopo averla ammirata nel camerino della duchessa Isabella d’Este, che visitò nel 1507, decise di utilizzare le stesse creature zoomorfe dipinte da Mantegna per descrivere i mostri che Ruggiero incontra nel regno della maga Ancina. Risale sempre al 1507 il “certificato di nascita” dell’Orlando furioso: la lettera inviata da Isabella al fratello Ippolito, dove racconta di aver parlato con il poeta del componimento a cui si stava dedicando.
ll baccanale degli Andrii di Tiziano ritorna in Italia per la prima volta dal 1598, anno in cui venne portato via dalla sua originale collocazione: il camerino del duca Alfonso I d’Este. Attualmente compreso nella collezione del Museo del Prado, l’eccezionale prestito è stato possibile grazie alla mediazione del Comune di Ferrara e dell’ambasciatore italiano a Madrid.
I capolavori di Giorgione, Pisanello, Dosso Dossi, Albrecht Dürer, Raffaello, Paolo Uccello, Cosmè Tura, Bramante, Ercole de’Roberti e Veronese – solo per citarne alcuni – dialogano con un prezioso apparato di mappe, carteggi, incunaboli, arazzi e reperti. Accanto a Una battaglia fantastica con cavalli e elefanti, disegno di Leonardo raffigurante uno scontro fantastico tra cavalieri e giganti, concesso dalla Regina Elisabetta II, una teca custodisce l’olifante, il corno di avorio che per oltre mille anni si è creduto fosse stato usato da Orlando per colpire a morte l’ultimo saraceno, nella battaglia di Roncisvalle. La Venere pudica di Botticelli, algida come Angelica legata allo scoglio, a tal punto fredda e indifferente da sembrare una statua, accompagna la prima stampa del Furioso, con i refusi corretti a mano dallo stesso Ariosto, oggi proprietà della British Library.
Tra gli imperdibili – assieme alla Carta del Cantino, la prima mappa per la navigazione ad aver compreso il profilo della costa americana, citata dal poeta – anche la missiva di Macchiavelli all’amico Alemanni, datata 1517, prima attestazione scritta di apprezzamento, che mescola complimenti e stizza: l’autore de Il Principe si lamentava infatti di non essere stato citato, di essere stato lasciato fuori “come un cazzo” (o “come un cane”, secondo l’interpretazione più recente).
«Questo allestimento è stata una sfida complessa – commenta il curatore Beltramini –, soprattutto perché l’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di superare la diffidenza del pubblico nei confronti di una narrazione che spesso conosce poco. Si potranno ammirare dei pezzi eccezionali ma il rapporto che li avvicina non è scontato: per questo i visitatori potranno usufruire gratuitamente dell’audio guida in mp3, che permette di leggere e capire la stretta connessione tra realtà, arte e letteratura. Sempre per questo è stata commissionata la grande infografica dedicata all’intreccio, curata dai professionisti di Fludd, soluzione innovativa e suggestiva che astrae e trasforma in decorazione la trama labirintica in cui si muovono Orlando e i suoi compagni. Quello che abbiamo cercato di realizzare è una mostra dedicata alla creatività».
Testo ripreso da http://www.minimaetmoralia.it/wp/orlando-furioso/
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