17 settembre 2016

D. PASSANTINO, Sulla sottomissione. Storia e sintassi





Sulla sottomissione reciproca della donna e dell’uomo e sulla sintassi.

Siate soggetti gli uni agli altri nel timore di Cristo. ​Le donne lo siano ai loro mariti come al Signore, poiché l’uomo è capo della donna, come anche il Cristo è capo della Chiesa, lui, il salvatore del suo corpo. Ora come la Chiesa é soggetta al Cristo, così anche le donne ai loro mariti in tutto…In ogni caso anche ciascuno di voi ami la propria moglie come se stesso, e la moglie rispetti il marito.
La traduzione della Lettera agli Efesini 5, 21-24 e 33 è dal testo italiano della Nuovissima versione della Bibbia, Edizioni San Paolo, 2014.
Le parole che ho trascritto in corsivo, in base alla loro importanza per la traduzione e l’interpretazione sono quelle che meritano un’accurata analisi filologica.
Il testo greco che ho davanti é quello di Nestle-Aland (Novum Testamentum Graece, edizione critica  del Nuovo Testamento greco, 28′ edizione del 2012 a Stuttgart); il testo latino è la  Vulgata Clementina, risalente al 1592 durante i pontificati di Sisto V e Clemente VIII, studiata sulla base dell’edizione critica della Vulgata geronimiana di Robertus Stephanus del 1528, che lo Stephanus elaborò per correggere gli errori che si erano accumulati nella tradizione della Vulgata,  confrontandoli con i manoscritti greci.
Partiamo da:
  • siate soggetti; sia il testo greco che quello latino hanno un participio: hupotassomenoi in greco e subiecti in latino, il primo è un participio presente mediopassivo da hupotassw e il secondo è un participio perfetto da subicio. Hupo-tassw è parola del gergo militare e vuol dire sub-ordinare, schierare, mettere in ordine in posizione secondaria; il verbo latino sub-icio è anch’esso un composto di sub che, come hupo greco, vuol dire sotto, in dipendenza da e iacio, che vuol dire  buttare, giacere ma nei composti dà l’idea di mettere, porre, collocare (ad esempio  obiectum da obicio vuol dire oggetto, cioè collocato di fronte, così come aggettivo da adiectivus, dal verbo adicio, cioè messo accanto, e ancora soggetto da subiectum, participio da subicio, posto sotto, subordinato rispetto al verbo della frase, ma necessario perche senza azione on c’è agente e senza agente non c’è azione, in barba ai grammatici valenziali!)
  • lo siano: la versione italiana che ho davanti dà come sottinteso il verbo essere soggetto, a così anche il testo greco opera uno zeugma; tuttavia nell’apparato critico si precisa che alcuni manoscritti greci hanno il verbo hupotassw esplicito: alcuni riportano l’imperativo presente mediopassivo alla terza persona plurale e quindi con il discorso indiretto, altri invece hanno l’imperativo presente mediopassivo alla seconda persona plurale e quindi con il discorso diretto avente come allocutario le mogli.  Nel testo latino si trova il verbo esplicito subditae sint, un congiuntivo esortativo che fa riflettere su due cose :
  • il congiuntivo esortativo sint è sottinteso al v. 21 accanto al participio subiecti e deve essere stato tradotto da un manoscritto che aveva il verbo greco esplicito, probabilmente alle terze persona plurale dell’imperativo presente.
  • Gerolamo nel commento alla lettera agli Efesini scrive che questo verbo è stato aggiunto negli esemplari latino e manca in quello greci dove si intuisce che il verbo è sottinteso. Lo stesso Gerolamo riporta subditae sint nel testo della lettera, ma lo sostituisce in sinonimia con subiectae sint nel commento:
HIER.,  Ad Eph.  III,  V  (PL 26,  564A):  «Mulieres viris suis subditae sint  sicut Domino;  quoniam  vir caput  est Mulieris, sicut et Christus  caput Ecclesiae».  Hoc  quod  in  latinis exemplaribus  additum est,  «subiectae  sint», in codicibus  Graecis non habetur si  quidem  ad  superiora refertur ed subauditur:  «subiecti  invicem in  timore Christi»,  ut avpo. koinou/  resonent  subiectae, «et mulieres viris suis sicut Domino».  Sed  hoc  magis in  Graeco  intelligitur quam  in Latino.  Quomodo  itaque  Christo subiecta est  Ecclesia,  sic  subiecta sit  uxor viro  suo.  Quem  enim  habet  principatum  et subiectionem Christus  et  Ecclesia, huic  eidem ordini  maritus  et  uxor astringitur.
Altre parole di primarie importanza sono:
  •  al v. 21 in timore Christi in apertura al discorso sugli sposi che si trova in ring composition con il verbo timeat in chiusura al v. 33. In greco abbiamo rispettivamente en fobw  e fobetai. È  chiaro che sia in latino che in greco le due espressioni sono fortemente imparentate etimologicamente, mentre nella traduzione italiana abbiamo nel timore di Cristo al v. 21 riferito alla sottomissione reciproca, e invece rispetti al v. 33 in riferimento alla donna sottomessa al marito. 
Inoltre nella traduzione italiana le parole kefale e caput vengono tradotte capo, come a voler dire comandante: il realtà le parole significano sì capo, ma inteso come testa; per cui il mistero grande di cui la lettera parla è la similitudine che si viene a creare tra le coppie Cristo-Chiesa e marito-moglie. Entrambe le coppie sono una carne sola e un corpo solo e così come nella prima coppia Cristo rappresenta la testa (kefale, caput) e la Chiesa il corpo (swmata in greco e corpora in latino o ancora mele swmatos e membra corporis, cioè membra del Suo corpo) così anche il marito è testa (kefale e caput) e la moglie è corpo (ws ta eautwn swmata in greco, ut corpora sua in latino). Paradossalmente senza testa con c’è corpo e senza corpo non c’è testa. Senza Cristo non c’è Chiesa e senza Chiesa non c’è Cristo, senza marito non c’è moglie e senza moglie non c’è marito: intercorrono, come se vede,  rapporti di interdipendenza e non si subordinazione, nonostante il verbi subditae/subiecti, che tuttavia è valido allelois/invicem, reciprocamente. Infatti, a nel testo greco di vede bene alle fine del v. 33, dove c’è una proposizione consecutiva/finale in dipendenza dalla principale: ciascuno ami sua moglie come sé stesso, affinché / cosicché la moglie tema il marito. Questo senso in latino e in italiano si è perso perché le sue frasi non sono subordinate le coordinate per asindeto in latino e per polisindeto in italiano e il verbo temere diventa congiuntivo esortativo : lat.unusquisque uxorem suam sicut seipsum diligat; uxor autem timeat virum suum.
It. Ciascuno di voi ami la propria moglie come se stesso, a la moglie rispetti il marito.
Mi pare che ci sia una sostanziale differenza tra il testo greco e le tradizioni latine e italiana: mentre nell’originale greco il timore della donna nei confronti dell’uomo è timore di non deluderlo ed è conseguenza dell’amore che il marito ha per lei (così come la Chiesa ha timore di Cristo che deriva non da paura per il castigo o punizione, ma dalla paura di deludere chi l’ha amata così tanto da fare la sua vita per lei, gesto estremo); nelle traduzioni latina ed italiana il timore per l’uomo diventa un’esortazione in latino e diventa esortazione al rispetto in italiano.
Il verbo amare daltro canto è agapaw in greco e diligo in latino, che non ha nessuna connotazione sessuale, e indica l’amore di Cristo per la Chiesa che ha come conseguenza e fine il timore della Chiesa nei suoi confronti, l’incredulità davanti a tanto amore che arriva con abnegazione fino al sacrificio di chi ama e alla perdita della vita per amore. A tal proposito trovo interessante lo studio “La lettera agli  Efesini, l’epistola degli sposi” di Elena Giannarelli, in: La lettera agli Efesini nel cristianesimo antico, a cura di Anna Lenzuni, Bologna Edizioni Dehoniane, 2008, pp. 179-217.
Infine mi preme accostare alla similitudine neotestamentaria tra le coppie Cristo-Chiesa e marito-moglie e testa-corpo anche una coppia grammaticale soggetto-verbo: possiamo definire testa il verbo che è l’azione della frase, ma questo non vuol dire che il soggetto è  sottomesso al verbo, infatti lo è non più a non meno di quanto il verbo lo sia mai confronti del soggetto. Il soggetto è il corpo che permette alla testa/verbo di agire senza del quale non c’è azione e il verbo è la testa che agisce, ma che non può agire senza il corpo. Tra i due elementi grammaticali non c’è nessuna gerarchia, entrambi sono assolutamente necessari perché la frase sia senso. In grammatica infatti si parla di sintassi, che si esplicita in rapporti e connessioni di interdipendenza.Lo strutturalismo linguistico di De Saussure parla chiaramente di sintagma verbale e di verbo come testa della frase o sintagma.
In questa ottica è chiaro Gerolamo quando riporta questa interpretazione e la mette in bocca ad un alius generico che forse è lui stesso.
.Comm. in Eph.  III,V  (PL 26,563C-D):  alius vero  sic interpretabitur: «subiecti invicem in  timore Christi»,  ut hanc sententiam generalem in  consequentibus  dividi  dicat  atque  partiri:  «mulieres viris  suis  subditae  sint» (v.  22); et «Fili, obedite parentibus»  (Eph. 6,1)  et «Servi, obedite dominis carnalibus  cum timore et tremore»  (Eph. 6,5), ut  non solum  uxor viro, et filii parentibus,  et servi  dominis, sed etiam viri  mulieribus,  iuxta officium quod praeceptum  est;  et patres filiis, ne illos ad  iracundiam  provocent; et domini servis, ut  remittant  minas  et praebeant  his quae  habent necessaria, invicem sint subiecti; et hoc ex  Christi timore  faciant, ut  quomodo servis  suis fuit ille subiectus, sic et  hi qui  maiores  videntur, subiciantur  minoribus suis reddendo  officia  quae iubentur.  Possumus  hic timorem et  pro eulabeia, id  est  reverentia,  accipere,  quae  magis  vicina est  charitati.






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