Il tabacco ha una
lunga storia che inizia con Cristoforo Colombo e ci conduce fino alle
nevrosi della società di oggi.
Marco Belpoliti
Quella grigia nuvola
di fumo che scaccia tutte le nevrosi
Ancora Cristoforo
Colombo. Sempre lui. Come potrebbe essere altrimenti? Il 12 ottobre
1492 arriva nell'isola di Guanahani, ribattezzata San Salvador. Cerca
oro e pietre preziose, incrocia invece un'imbarcazione con un uomo a
bordo. Reca con sé una foglia seccata che l'ammiraglio intende come
preziosa visto che gliela offre in dono. Due mesi dopo i suoi uomini
sbarcano e incontrano «molti uomini e donne che tenevano in mano un
tizzone di erbe per prendere, come è loro abitudine, delle
inalazioni». Barthélemy de Las Casas, cronachista del viaggio, li
descrive così: «Accesi a una estremità, dall'altra li succhiano o
aspirano verso l'interno, ricevendo così il fumo che addormenta loro
la carne e quasi li ubriaca».
La pianta di tabacco,
sconosciuta agli europei, appartiene alle Solanacee, come le altre
milleottocento piante, quale il pepe ornamentale, la belladonna, la
petunia e la patata. Nicotiana Tabacum, o tabacco comune, è oggi
coltivata in tutto il mondo. La specie delle Nicotiane comprende una
sessantina di varietà, gran parte ornamentali. Dei generi voluttuari
giunti in Europa dall'America, è certamente il più bizzarro, scrive
Wolfgang Schivelbusch. Reca con sé un consumo totalmente nuovo.
Intanto la parola "fumare" non c'è nel vocabolario; entra
nell'uso corrente solo durante il Seicento; sino allora si parla di
«bere fumo» e «bere tabacco ». Un gesuita in un suo libello lo
definisce «l'ebbrezza asciutta ».
Il nome nicotina, che
entra nella nomenclatura scientifica della pianta, deriva da Jean
Nicot, ambasciatore francese alla corte portoghese. È lui che lo
introduce in Francia alla metà del Cinquecento. A differenza del
caffè, la nicotina non stimola, bensì calma. Dal punto di vista
tossicologico è un veleno. All'inizio il fumo inalato dal tabacco
acceso non è affatto piacevole: vertigine, vomito, sudorazione. Poi
con l'abitudine si arriva a gustarlo a pieno. Non ha subito successo,
o meglio incontra molta ostilità. Rodrigo de Jerez, che era con
Colombo, al ritorno in Spagna fuma in pubblico nella sua città
natale e viene arrestato. Condannato per stregoneria resta in
prigione sette anni prima di provare la sua innocenza.
Com'è che si diffonde?
Ha scritto uno storico che le guerre sono propizie al tabacco. Le tre
principali forme che abbiamo conosciuto nella sua diffusione —
pipa, sigaro e sigarette — sono l'effetto di eventi bellici. La
guerra dei Trent'anni (1618-1648) diffonde l'uso della pipa, il
sigaro è l'effetto dei conflitti settecenteschi — il fumo come
bene voluttuario di militari e marinai —, la sigaretta arriva dopo
la guerra di Crimea (1853); molti soldati impararono ad arrotolare le
sigarette sotto le mura di Sebastopoli dagli armigeri turchi. Siamo a
metà dell'Ottocento. Nel 1870 in Francia se ne fumano già 11
milioni l'anno.
Il fumo era ovviamente
conosciuto dalle popolazioni centroamericane e si legava alla magia,
agli aspetti sciamanici. Quando giunge in Europa si abbina invece a
un aspetto differente: la riflessione. Lo testimoniano disegni,
quadri e fotografie: il fumatore è ritratto immerso nella
contemplazione, con i pensieri perduti dietro le volute di fumo.
Senza dubbio ha ragione Schivelbusch nel dire che fumo e lavoro
intellettuale si coniugano insieme. Là dove il caffè stimola, il
fumo calma; e le professioni intellettuali, che vanno diffondendosi
dal Settecento, hanno bisogno di entrambe le cose. Nel Seicento e
Settecento trionfa la pipa, che è poi il modo con cui lo fumavano i
Maya. Il sigaro la sostituisce; non è, come sarà nella iconografia,
solo il fumo dei padroni del vapore, ma di tutti gli uomini (Marx
fumava il sigaro).
Groucho Marx
Il tabacco resta a lungo
il simbolo della società patriarcale. La donna non fuma; lo farà
solo successivamente, dalla fine dell'Ottocento, e sarà un gesto
trasgressivo. Schivelbusch osserva una cosa interessante: il
passaggio da uno strumento all'altro, dalla pipa alla sigaretta,
implica un'accelerazione. La pipa richiede strumenti e tempo di
preparazione, si fuma lentamente; il sigaro è già confezionato: lo
si taglia e lo si infila in bocca; la sigaretta, per quanto rollata a
mano all'inizio, viene poi distribuita confezionata (la prima
macchina che la confeziona è del 1878). Per il fumatore del XX
secolo il tempo di durata di una sigaretta è di 5-7 minuti e
contiene lo stesso potere di concentrazione e rilassamento di un
sigaro.
Il mondo va sempre più
in fretta. Tutto si velocizza e contemporaneamente gli oggetti d'uso
si rimpiccioliscono. Con la sigaretta nasce il fiammifero. Tuttavia
per lungo tempo non si potrà fumare nei luoghi pubblici. C'è poi
una quarta modalità oggi scomparsa: il tabacco da fiuto. L'uomo
roccocò ha la sua tabacchiera in tasca, fondamentale in società; si
diffonde con la cioccolata, altro bene di lusso. La usano prelati,
abati e persino monaci. Napoleone ne è un consumatore assiduo. Si
afferma con la società della conversazione, poi tramonta. La
favolosa storia del tabacco, dalla sua diffusione dagli altopiani
dell'America centrale e poi la coltivazione in America, non dobbiamo
dimenticare che è collegata con lo schiavismo. Così come quella
della canna da zucchero: 11 milioni, secondo stime approssimative, i
neri deportati dalle coste dell'Africa per coltivare il tabacco,
diventato in breve tempo, un prodotto americano.
Roland Barthes
Vizio o necessità? La
domanda non ha trovato ancora una risposta definitiva. Certo il fumo
fa male, la nicotina è tossica: la dose di nicotina che un fumatore
abituale inala in un giorno, se assunta in una volta sola, è
mortale. Allora perché tutti fumano? La moda, come per gli altri
generi voluttuari. Un'ipotesi è che, come il caffè, suo opposto e
complementare, il tabacco risponde alle nuove esigenze del lavoro
intellettuale. «La parte del corpo umano che più interessa alla
borghesia — scrive Schilverbusch — è il cervello ». Difficile
pensare Jean-Paul Sartre o Hannah Arendt senza la sigaretta in bocca;
così Roland Barthes, accanito fumatore, che ha descritto il modo di
tenere la sigaretta ai lati della bocca proprio delle persone della
sua generazione.
Eliminato il lavoro
fisico, dismessa la caccia e i tornei pre-moderni, nella vita segnata
dall'accrescimento della tensione nervosa propria delle metropoli, il
fumo diventa indispensabile. Fumano gli operai e gli scrittori, le
donne e gli uomini, gli impiegati e i portuali. Le guerre moderne lo
rendono necessario: viene distribuito con l'alcol ai soldati. Là
dove c'è bisogno di tranquillità, c'è il fumo, senza poi parlare
dell'aspetto orale-erotico che aspirare soddisfa. Ma questa è già
un'altra storia.
La repubblica – 20
agosto 2016
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